domenica 1 gennaio 2023

31 dicembre 2022: fine di un anno e di un papa

Se n’è andato il 31 dicembre, come a chiudere un anno controverso, foriero di paure e di incertezze, che la guerra russo-ucraina iniziata il 24 febbraio ha generato in tutto il mondo. Benedetto XVI, al secolo Joseph Ratzinger, ha “voluto” così e si è spento nella sua residenza di Mater Ecclesiae lentamente come una candela in consunzione. In tutti questi anni in cui è stato, per la prima volta nella storia, papa emerito, espressione questa mutuata dal linguaggio laico, ha vissuto come avvolto nel silenzio, interrotto ogni tanto da notizie il più delle volte false o gonfiate, ora su questo ora su quel problema di carattere religioso o teologico. Certa stampa non ha mai smesso in questi quasi dieci anni di attribuirgli giudizi per cercare di metterlo in contrasto con papa Francesco, nel tentativo di trasformare il papa emerito in un antipapa. Diversi lo erano davvero per cultura e indole ma mai a nessuno dei due è venuto in mente di contraddire l’altro, ognuno correttamente al proprio posto. Mons. Vincenzo Paglia, nel corso di uno speciale su Rai 2, si è spinto a dire che papa Francesco ha compiuto quello che Benedetto XVI aveva iniziato. Anche questa probabilmente è una forzatura, tesa a raddrizzare la curvatura delle altre di segno opposto. Era nato nel 1927 in un paesino della Baviera, aveva 95 anni. Per dirla con Dante, “fece il gran rifiuto”, come Celestino V più di settecento anni fa. Anche Papa Ratzinger fu preso di mira non da un Bonifacio VIII, improbabile ai tempi nostri, ma da tanti piccoli bonifaci ottavi. I suoi nemici lo attaccarono fin dal primo momento. Lo chiamavano Pazzingher, storpiando il suo nome, perfino quei sacerdoti che non condividevano la sua ortodossia. Lo scandalo Vatileaks lo fece soffrire e forse convincere a rinunciare. Quando nella stessa famiglia si arriva a tanto vuol dire che ne devi trarre le conseguenze. E le sue furono radicali. Ingravescente aetate, disse, per trovare una ragione la più rasserenante possibile. Non gli perdonavano il suo essere conservatore, tedesco, rigoroso, finissimo intellettuale e teologo, abituati ad avere da Giovanni XXIII in poi papi progressisti e comunisti. Avevano tentato anche con Giovanni Paolo II, ma il papa polacco era più giovane, di altra tempra e più combattivo. Lo accusarono di aver provocato un grave incidente diplomatico con la sua lectio magistralis a Ratisbona, quando accusò gli islamici di aver usato la spada contro chi non era mussulmano. Come capo di uno Stato non poteva lanciare simili accuse, ma lui era un professore e quel che disse in quell’occasione era vero. Non fu smentito, ma che non era opportuno che lo dicesse. Gliene hanno dette di tutti i colori, perfino di essere gay, di essere stato nella Hitlerjugend, di aver coperto prelati pedofili, un autentico linciaggio. Si dimise nel 2013, e pronunciò in latino quella sua dichiarazione quasi bisbigliando. Mai prima parole così silenziose avevano creato nel mondo tanto rumore. Le dimissioni, a dire il vero, non le aveva mai escluse. Ne aveva parlato in un libro il vaticanista Marco Politi, Joseph Ratzinger. Crisi di un papato del 2011; si sarebbe dimesso quando non fosse stato più in grado di svolgere il gravoso compito a cui lo aveva chiamato il Signore. Era conscio che il papa oggi deve far fronte ad impegni anche fisici inimmaginabili prima, come il viaggiare per il mondo a portare la testimonianza della chiesa. L’esempio del suo predecessore Giovanni Paolo II, rimasto al suo posto fino all’ultimo istante della sua vita, benché martoriato dal male che lo aveva progressivamente annichilito, era da lui inarrivabile. Un “semplice e umile servitore nella vigna del Signore” si definì appena eletto papa, benché consapevole dei gravosi compiti a cui si accingeva. Uno degli obiettivi fondamentali della sua missione era stato da lui individuato nel dover fare pulizia nella chiesa, giunta ormai ad un punto non più sopportabile di sporcizia. Lo disse nel corso dell’ultima Via crucis di Giovanni Paolo II, portando la croce al suo posto. Un’autentica dichiarazione di guerra. Un’impresa che forse avrebbe dovuto compiere senza annunciarla, poiché la chiesa – ce lo dicono i suoi secoli di storia – ha sempre saputo anticipare i propugnatori di pulizia e batterli o costringerli alla resa. Benedetto XVI ad un certo punto dovette accorgersi di non essere idoneo a quel compito, vuoi per l’età che lo aveva reso debole, vuoi per la pericolosità dei suoi nemici. Ma il gesto di dimettersi per certi aspetti gli rende il dovuto. La guerra da lui dichiarata la sta proseguendo il suo successore, politicamente assai più scaltro di lui, che sta affrontando i nemici interni della chiesa uno alla volta, “a pezzi”, per dirla con una definizione da lui usata per altre circostanze. In questo senso Mons. Paglia non ha torto quando dice che Francesco sta continuando ciò che Benedetto aveva iniziato.

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