sabato 14 gennaio 2023

Brasile, colpo di Stato o messa in scena?

Domenica, 8 gennaio, quando da noi era sera e a Brasilia era pomeriggio, migliaia di manifestanti pro Bolsonaro, il presidente sconfitto alle elezioni, hanno invaso e saccheggiato i palazzi del potere. Una moderna jacquerie o cos’altro? Il presidente neoeletto Lula ha gridato al colpo di Stato. Bolsonaro dalla clinica in Florida, dov’era ricoverato, ha detto di non saperne niente e ha preso le distanze da quanto accaduto. Due letture dello stesso evento: una massimalista, l’altra minimalista. Steve Bennon, lo stratega di Trump esperto di populismi, ha detto che il movimento è andato oltre Bolsonaro e che “i movimenti diventano più grandi delle persone e non restano sottomessi a loro”, concludendo “questo è il populismo” (Corriere della Sera, 11.01.23). E vale, secondo lui, per Trump e Bolsonaro ma anche per Meloni, Salvini, Farage e Le Pen. Lo stesso Bennon ha però poi detto che il caso dei trumpisti all’assalto di Capitol Hill di due anni fa è diverso. “Sul 6 gennaio ci sarà una grossa indagine della Camera e si scoprirà che è stata una FEDsurrection, una insurrezione istigata, pianificata ed eseguita da membri dell’Fbi, del dipartimento di Giustizia e del dipartimento di Homeland Security”. E perché, viene da obiettare, il caso di Brasilia non può essere paragonato a quello di Washington? Non può essere che anche a Brasilia tutto è stato “istigato, pianificato ed eseguito”? Si sa che i rivoltosi di Bolsonaro erano accampati nei paraggi dei tre palazzi assaltati da almeno due mesi. Perché a nessuno è venuto in mente di farli sloggiare per tempo? Sono domande che non vogliono ipotizzare parallelismi con quanto accaduto a Washington, posto che sia vero quanto afferma Bennon, ma semplicemente aprire un legittimo fronte di dubbio. La lotta politica da sempre è molto più complicata di quanto si voglia far credere. I trumpisti che arrabbiati per il presunto furto elettorale subito da Trump assaltano Capitol Hill è un’azione infantile nella sua semplicità e immadiatezza. E io che sono Carletto la faccio nel letto per fare un dispetto a mamma e papà. Così l’azione dei bolsonaristi a Brasilia, arrabbiati dalla presunta frode elettorale subita. Ma francamente l’una e l’altra, a cui la parte avversa ha voluto dare il nome di tentativo di colpo di Stato, sono di un’ingenuità sconcertante, tipica delle masse in preda ad esaltazione distruttiva. Queste non agiscono per raggiungere un obiettivo politico, ma per vendicarsi, distruggendo e deturpando i simboli di quel potere dal quale si sentono lese ed escluse. Basta leggere “Tecnica del colpo di Stato” di Curzio Malaparte del 1931, per accorgersi che non si può fare un colpo di Stato con alcune centinaia o migliaia di esagitati, facilmente spazzabili via dalle forze armate. Come minimo per credere nella buona riuscita del “colpo” è necessario avere dalla propria parte diversi centri di potere, organizzati fra di loro, fra cui prioritariamente le forze armate e i mezzi di informazione e di propaganda. Dunque il caso statunitense e quello brasiliano, se non sono espressione populistica spontanea, possono ricadere in un piano complesso e attentamente pianificato. Ma da quale delle due parti organizzato? Da parte di chi ha perso e vuole recuperare il potere con la violenza? O da parte di chi ha vinto e vuol dare al proprio avversario il colpo di grazia, quello di delegittimazione politica, e dimostrare di che pelle è fatto lo sconfitto? Nel primo caso è infantile pensare che si possa conquistare il potere con una manifestazione violenta, limitata allo sfregio dei palazzi che lo rappresentano; e dunque è meno probabile. Nel secondo caso l’intento di chi organizza la messa in scena di una rivolta guidata punterebbe a giustificare i successivi giri di vite del potere contro gli sconfitti, delegittimandoli ed eliminandoli da ogni futura contesa elettorale. Nel caso brasiliano è questa seconda ipotesi che non è peregrino pensare. La vittoria elettorale di Lula è striminzita, di fatto il Paese è diviso a metà. Il gravissimo attacco ai simboli delle istituzioni democratiche da parte dei bolsonaristi dà a Lula quel “vantaggio” che non ha avuto dal voto popolare e ne rende più tranquillo l’esercizio del potere giustificando la “repressione”. La tradizione secondo la quale golpisti e violenti stanno a destra, mentre democratici e legalisti stanno a sinistra annulla il divario elettorale fra le due parti e lo ripropone in maniera politico-culturale: da una parte i democratici, legittimati al potere, dall’altra gli antidemocratici, da mettere al bando. Nella lotta per il potere certi colpi non sai mai chi li compie, è sempre quel che segue a dirlo, spesso anche dopo molto tempo.

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