sabato 29 ottobre 2022

Meloni: nuovo giro, nuovo vincitore

Tra le frasi più significative pronunciate da Giorgia Meloni dopo l’insediamento a Palazzo Chigi, quale Presidente del Consiglio, rigorosamente al maschile, si fa notare quella sul fascismo. “Non ho mai avuto simpatia per i regimi dittatoriali”, aggiungendo “fascismo compreso”. Poteva non dirlo. Poteva fermarsi genericamente ai regimi dittatoriali. Ha voluto esplicitare il pensiero: fascismo compreso. Perché? Per compiacere i suoi avversari che non sanno come attaccarla e ricorrono ai soliti mezzucci? Se così fosse, se cioè avesse ceduto alla tentazione di compiacerli, sarebbe grave per la sua saldezza caratteriale, che finora l’ha contraddistinta. Agli attacchi di fascismo lei non ha mai dato importanza. È incontestabile che in passato di dichiarazioni di simpatia per il fascismo e per Mussolini in particolare ne ha fatte. Più di recente ha detto che il fascismo è materia per storici. Insomma, a dire il vero, un certo imbarazzo la questione glielo provoca. Ma, per negare l’evidenza – e lei lo ha fatto – occorre avere una ragione forte. E, allora, perché la sortita antifascista? Quale la ragione? Per spregiudicatezza, alla Enrico IV di Francia e di Navarra, che disse allegramente “Parigi val bene una messa”, lui che era calvinista? Non pare. A voler essere superstiziosi, non le converrebbe neppure, visto che il re francese finì per essere ucciso da un cattolico fanatico, offeso da tanta “sovrana” spudoratezza. Le ragioni sono due. Una è che si è resa conto che restare optime in certi ambienti è necessaria la forma. Nello specifico, è necessario dire che il fascismo è il male assoluto. Lei non l’ha messa proprio in questi termini, ma si è avvicinata. Di dichiarazioni del genere è probabile che ce ne saranno altre. La seconda ragione, assai più convincente e importante, è politica e non ha nulla a che fare con mancanza di carattere o spregiudicatezza. La Meloni si rende perfettamente conto che un giro della sua vita – ma non solo della sua – si è concluso. Quel partito, dal quale proviene, dopo tante tribolazioni, durate ben settantasei anni, è finalmente giunto al potere per vie assolutamente democratiche, dimostrando che tutte le persecuzioni subite erano pretestuose. Che ciò sia accaduto proprio ad un mese dal Centenario della Marcia su Roma è una di quelle coincidenze-scherzi che fa la storia. Il primo giro la Meloni lo ha concluso vittoriosamente. Il nuovo, quello iniziato dal suo insediamento, è un altro giro, che nulla o quasi ha a che fare col primo. Qui si tratta di governare, di dimostrare veramente che il fascismo è roba da storici e da industriali dell’editoria, che su Mussolini e il fascismo non finiscono di realizzare affari d’oro. Basta considerare tutte le iniziative editoriali, cartacee, televisive e cinematografiche di questi giorni, sorte per la circostanza del Centenario, in gran parte autentiche speculazioni economiche, come fanno i pasticcieri per le evenienze di Pasqua e Natale. Governare, si diceva. Al netto dei problemi da risolvere quotidianamente per la fisiologia dello Stato, della Nazione e della Società, dove pure la qualità e l’efficacia dei provvedimenti sono importanti, il nuovo giro riguarda un progetto politico che si fonda sulla conservazione dei più importanti valori di Dio, di Patria e di Famiglia. Un’impresa, ardua che si è voluto annunciarla con alcune importanti scelte, come a dire che dal mattino si vede il buon giorno. L’elezione dei due presidenti di Camera e Senato, Lorenzo Fontana e Ignazio La Russa, “giustamente” è stata definita dagli avversari come fortemente identitaria. Per la verità hanno usato il termine “incendiaria”, ma si può capire, data la non ancora elaborata rabbia per la sconfitta. Anche il cambiamento dei nomi di alcuni ministeri è un avviso, un annuncio, come spesso si dice in politichese, che però è significativo. Altro, poi, quel che seguirà alle promesse. Il primo dato, dunque, che va considerato di questo nuovo giro, non è comprensibilmente di raggiungere determinati obiettivi, fortemente identitari, ma di durare cinque anni, nel corso dei quali avviare – questo è importante! – tutta una serie di inversioni di tendenze in materia dei su riferiti valori. Non si tratta, infatti, di obiettivi facilmente raggiungibili, né nel breve né nel lungo termine. Certi processi durano molti anni. Ma se questo processo non sarà avviato, se non si vedranno certi risultati, che comprovino l’avvenuta inversione di tendenza in leggi e provvedimenti, difficilmente la Meloni potrebbe vincere questo nuovo giro. Salvo che proprio per rimanere in sella non farà che abituarsi all’andazzo tipico del non fare e lasciare che la deriva iniziata dai partiti di sinistra dei precedenti governi continui. In questo caso, per tornare ad Enrico IV, Parigi non varrebbe più una messa ma una cento mille…e Dio sa quante!

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