domenica 2 ottobre 2022

Destra: finito un percorso se ne avvia un altro

Fuor da ogni intento propagandistico, che sia a favore o contro Fratelli d’Italia, il successo elettorale del 25 settembre del partito di Giorgia Meloni rappresenta l’ultimo tratto del postfascismo missino, essendo innegabile la derivazione genetica dal partito fondato il 26 dicembre 1946 da Almirante e camerati. Fu quella una scelta di testimonianza, non più disperata come era stata quella fascista di Salò, ma con una prospettiva, di avanzare in democrazia senza rinnegarsi. Questo voleva dire la Fiamma Tricolore con la scritta MSI: una speranza. Il tempo avrebbe fatto il resto. Da allora il partito ha conosciuto diversi tentativi di sopravvivenza, in ognuno dei quali come costante c’era il perseguimento della legittimazione per una partecipazione democratica al dibattito politico del Paese e ove fosse stato possibile al governo. Dopo il drammatico tentativo di inserimento democratico col governo Tambroni nel luglio del 1960, conclusosi coi moti di piazza della sinistra, importanti furono i tentativi di Arturo Michelini di fondare la Grande Destra coi liberali di Giovanni Malagodi e i monarchici di Alfredo Covelli alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso, fallito per l’indisponibilità del segretario liberale; l’iniziativa di Giorgio Almirante della Destra Nazionale – Costituente di Destra per la Libertà nella prima metà degli anni Settanta; la nascita di Alleanza Nazionale con Gianfranco Fini nel 1995 (svolta di Fiuggi) dopo un periodo di incertezze e la segreteria di Pino Rauti col tentativo di quest’ultimo di spostare a sinistra il partito; e infine, nel 2012, la fondazione di Fratelli d’Italia per opera di Ignazio La Russa, Guido Crosetto e Giorgia Meloni. Dal 1946 ad oggi quel che c’era da non rinnegare è andato sempre più scolorendosi anche per la scomparsa dei protagonisti di quell’avventura e dei loro sostenitori. Sarebbe tuttavia intellettualmente disonesto non riconoscere che, pur ammettendo sinceramente i molti e gravi errori fatti dal fascismo storico, primo fra tutti le leggi razziali, gli italiani di oggi che si riconoscono come di destra hanno coltivato una certa cultura di derivazione vagamente fascista sempre più fortemente innestata sul tronco della democrazia. Sono i valori fondanti di Fratelli d’Italia che il 25 settembre hanno avuto un formale riconoscimento da parte degli elettori. Ecco, la legittimazione a cui fin dal 1946 mirava il postfascismo è un dato acquisito. E ciò per una curiosa coincidenza è accaduto ad un secolo esatto dalla Marcia su Roma ovvero dalla presa del potere da parte del fascismo. Ma questo di Fratelli d’Italia non è un ritorno. È altra cosa: il 25 settembre 2022 non è il 28 ottobre 1922. Se a caratterizzare il fascismo è la violenza e se a caratterizzare la democrazia è il pacifico e libero concorso di forze politiche diverse, la vittoria elettorale di Giorgia Meloni è democrazia. Come sarà il nuovo corso? Il fatto che la Meloni formerà e guiderà il nuovo governo pone una serie di riflessioni su come declinare i valori della destra, che negli anni dell’opposizione sono stati in fiero contrasto con tutta una visione della vita della sinistra. Dico della sinistra e non democratica perché la sinistra non esaurisce la democrazia, né questa è di sinistra o non è. La prima riflessione è che operando in un contesto democratico, di cui si è convintamente sostenitori, suggerisce di rispettare la libertà e i diritti di tutti. Il che significa che sul piano dei diritti acquisiti ma dalla destra non condivisi non ci può essere alcuna marcia indietro, come da parte avversa si è sostenuto in campagna elettorale e ancora si sostiene senza nessun fondamento. Una politica di destra oggi non può che mirare al recupero di certi valori senza forzature. Secondo quanto ha detto la Meloni in campagna elettorale occorre mettere in essere politiche che impediscano ai giovani di scivolare o precipitare nelle devianze. Queste non possono essere considerate dallo Stato come normalità da amministrare con criteri assistenzialistici e ipocritamente pietistici, come fa la sinistra, ma mali da prevenire, da evitare. Una politica di destra non può non mirare alla diminuzione di aborti, di tossicodipendenze e di tante altre sconvenienze, quando non patologie, sociali. Il problema del calo delle nascite, per esempio, non può prescindere dall’aborto, dalle unioni civili e dalle tante forme di “famiglia” che non producono figli. La questione della migrazione clandestina, altro esempio, va affrontata sì nel contesto delle leggi internazionali e dell’Europa ma senza perdere di vista gli interessi nazionali immediati e di prospettiva. La cultura scolastica deve aprirsi ad una vera pluralità di posizioni, prima fra tutte la tradizione italiana col recupero della centralità della lingua, della letteratura e della storia. L’approccio metodologico in tutti i settori non può essere reprimere, ma scoraggiare per un verso e incoraggiare per un altro, mettendo in essere opportune politiche di valorizzazione e di perseguimento. A fronte della diversa prospettiva finora avuta la destra di governo non può che ritenere concluso il lungo percorso affrontato in ben 76 anni di storia. Da qui in avanti si torna sì all’avanzare senza rinnegarsi ma calato in un contesto diverso, non più ricerca di riconoscimento e di legittimazione, che in una democrazia dovrebbero essere scontate, ma esercizio di governo. Dovrebbe iniziare per la destra la fase construens. Se la Meloni saprà declinare i valori della destra che rappresenta con le metodiche democratiche e sortirà risultati positivi, il suo governo sarà la dimostrazione che davvero un lungo percorso si è concluso e che uno nuovo è stato iniziato, non solo per la destra ma per la democrazia in Italia.

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