sabato 15 ottobre 2022

Il sovvertimento certificato

Giovedì, 13 ottobre 2022, è un giorno speciale per l’Italia. A cento anni dalla Marcia su Roma, dalla presa del potere del fascismo, al Senato della Repubblica il sovvertimento delle elezioni del 25 settembre è certificato. Il “fascista” Ignazio La Russa è stato eletto Presidente del Senato, seconda carica dello Stato. Dopo il discorso di Liliana Segre, chiamata a presiedere l’assemblea della prima riunione della XIX legislatura, un discorso tutto antifascista, come era normale che fosse, ecco il discorso di insediamento di La Russa, un “fascista” mai rinnegante, mai pentito, benché, come era opportuno che fosse, defascistizzato per la circostanza. Il Senato, lo si leggeva nei volti degli antifascisti, era una camera ardente. Il morto era nei musi lunghi, nelle espressioni incredule, nel rammarico e nei ghigni di circostanza dei tanti antifascisti, che sull’antifascismo hanno creato le loro fortune politiche per ben 76 anni di Repubblica, loro, i loro padri e i loro nonni. Il morto non era però l’antifascismo, come verrebbe di dire per stare nella metafora, ma il potere politico che di antifascismo si è nutrito in tutti questi anni. A conferma della morte dell’antifascismo è arrivato il voto in favore di La Russa di una ventina di convenzionali antifascisti. Il fascismo e l’antifascismo restano due categorie politiche importanti, che hanno ed avranno sempre un senso, ma come strumenti di lotta politica sono due cadaveri eccellenti. Lo hanno capito prima i fascisti, fin dalla nascita della Repubblica, quando per loro non c’era orizzonte ed era chiaro che essere fascisti voleva dire soltanto conservare un minimo di dignità come uomini di fronte al dilagare spudorato e vergognoso dell’antifascismo. Non che non ci fossero antifascisti autentici, c’erano, e come! Ma erano una minoranza ed erano in gran parte gli stessi che avevano fatto dell’antifascismo durante il regime e per questo erano stati emarginati e perseguitati; c’erano antifascisti autentici ed erano i convertiti e i pentiti sinceri. Ma la stragrande maggioranza era costituita dai soliti che in genere si riconoscono nel pensiero dominante per aver più e migliori opportunità di affermazione e scalata sociale nei più vari settori della vita. Non c’erano più i fascisti veri. Lo hanno capito invece con ritardo e con difficoltà che fascismo e antifascismo sono morti gli antifascisti, perché non è facile rinunciare ad uno strumento politico che tanto latte ha munto. Lo si è visto durante la campagna elettorale che ha arriso a Giorgia Meloni, che gli antifascisti non hanno avuto il coraggio di accusare esplicitamente di fascismo, anzi hanno più volte detto che era controproducente darle del fascista, dal momento che in Italia, stando ai sondaggi della vigilia, aveva il 25% degli elettori dalla sua parte. Ci voleva del coraggio ad accusare di fascismo tanta gente. Qualche avveduto antifascista ha messo in guardia l’ambiente: se poi vince la Meloni non si può dare al mondo l’immagine dell’Italia come di un paese fascista. Ma era un calcolo che non hanno saputo gestire. In realtà la Meloni veniva continuamente bersagliata dagli antifascisti irriducibili per le sue performance comiziesche e le rimproveravano di essere doppia, di esibire un volto bonario e rassicurante nelle vesti istituzionali, e un altro, violento e aggressivo, in quelle di partito. Per non parlare di tutte le ingiurie rivoltegli dagli antifascisti scatenati dei centri sociali durante i suoi comizi, i quali cercavano l’incidente per passarlo poi di competenza ai loro “maggiori” per la solita speculazione. Il popolo italiano, il 13 ottobre, ha avuto modo di toccare con mano l’avvenuto sovvertimento nei due discorsi, della Segre prima e di La Russa poi. La Segre ha fatto un discorso tutto incentrato sulla sua condizione di ebrea deportata, sulla bellezza e la forza dell’antifascismo, sulla centralità del Parlamento, su quel sistema di libertà che le aveva consentito di arrivare un giorno ad essere seduta sullo scanno più alto del Senato della Repubblica. La Russa non ha rinnegato niente del suo passato ed accettato tutto del presente, che ha recepito dalle parole della Segre, ed entrando nello specifico ribadiva che le date storiche dell’antifascismo, del 25 aprile, del 1° maggio e del 2 giugno, sarebbero rimaste fondative della Repubblica a garantire la continuità di certi valori. Poteva dire e fare diversamente? La sua proposta di aggiungere anche tra le feste nazionali anche il 17 marzo 1861, data della proclamazione del Regno d’Italia, era solo una nota identitaria che nulla aveva a che fare col fascismo e con l’antifascismo, un omaggio al sovranismo, di cui il suo partito si fregia e si pregia. Un passaggio, questo, che è stato sottovalutato dagli osservatori, specialmente interessati dei partiti avversi. Invece è importante, perché l’Italia esiste come Stato sovrano dal 1861 non già dal 1945.

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