domenica 3 giugno 2018

Governo Lega-M5S, mezza Italia ha ragione di sentirsi offesa




In coincidenza del varo del governo Di Maio-Salvini, quando ancora il Premier Giuseppe Conte era a colloquio col Presidente della Repubblica, ci è arrivata la frustata in pieno viso del Presidente della Commissione Europea Juncker. Secondo Juncker dovremmo essere noi italiani ad occuparci dei problemi del nostro Sud, dovremmo lavorare di più, non essere corrotti e non dovremmo scaricare sull’Unione Europea le colpe delle nostre inefficienze. Mai sentita una cosa simile. Al confronto il sorrisetto complice della Merkel con Sarkozy nei confronti di Berlusconi di qualche anno fa fu un simpatico siparietto.
Ecco: il governo del cambiamento annunciato dai Grillini ha preso il via e come viatico c’è questa bruciante offesa nei nostri confronti da parte della massima autorità europea.
Taiani ha immediatamente chiesto a Juncker di smentire perché se fossero veramente state dette quelle parole sarebbero inaccettabili.
In politica le cose vanno così: uno dice quello che gli passa per la mente, poi smentisce e tutto riprende come prima. E così è stato. Juncker non ha smentito ma ha detto che le sue frasi sono state decontestualizzate e fatte apparire come ostili e offensive degli italiani quando erano soltanto paternalistiche e propositive.
Soddisfatti? Per il politicamente corretto, diciamo di sì. Che si può pretendere altro?
Ma, a parte l’imprevisto junckeriano, c’è che questo neonato governo, annunciato come l’inizio della terza Repubblica, come il governo del cambiamento, come il governo degli italiani e come tante altre cose, nella realtà è stato il governo che ha aperto una gravissima crisi istituzionale e un altrettanto gravissimo contenzioso con l’Europa. Dopo le parole del Commissario europeo Hoettiger, quelle di Juncker; e non siamo che agli inizi!
Mattarella ha fatto sapere che lui è contento per cinque motivi: primo, perché finalmente l’Italia ha un governo; secondo, perché è stata rispettata la volontà dell’elettorato; terzo, perché nel suo programma e nella sua composizione rispetta gli interessi nazionali e osserva buoni rapporti con l’Europa; quarto, perché sono state ribadite le prerogative del Capo dello Stato nella formazione del governo; quinto, perché ha pacificato il Paese in vista della Festa della Repubblica del 2 giugno.
Con tutto il rispetto non ci sentiamo d’accordo su nessuno di questi punti e soprattutto sull’ultimo, quello della pacificazione nazionale.
Se la pacificazione è una “parata”, un “rituale” e basta, allora si può anche dire: evviva, siamo in pace. E guardiamo tutti in alto mentre passano le Frecce Tricolori. Ma se la pacificazione è da intendersi reale, politica, no non siamo per niente in pace. E non lo siamo non perché non vogliamo – forse ci converrebbe – ma perché effettivamente non lo siamo. Dire una cosa per un’altra non è nostra abitudine.
Troppi vulnus sono stati inflitti alla Costituzione; troppa maleducazione e ignoranza sono state diffuse a piene bocche; troppa arroganza e prepotenza…troppa propaganda e soprattutto troppo potere dato ad una parte politica per un risultato elettorale che, ricordava Sabino Cassese a “Piazza pulita” del 31 maggio, è modesto e inferiore, in termini di voti, al 50 % dei votanti. Il che vuol dire che c’è in Italia un altro 50 % che si sente eccessivamente penalizzato dalla soluzione di questo governo. Più giusto sarebbe stato il ritorno al voto con un governo tecnico.
In questi tre mesi di trattative per formare il governo le procedure, le istituzioni e chi le rappresenta sono state prese a calci come da ragazzini si faceva per strada con le palle di pezza. Se quanto è accaduto col “contratto”, con i “diktat”, con i “programmi segreti”, con le assurde prese di distanza di forze della stessa coalizione fino a ritrovarsi una parte al governo e l’altra all’opposizione, con ministri raccattati in giro di qua e di là, buoni forse per essere assessori in qualche comune poco al di sopra di cinquemila abitanti, con le bugie sui ministri eletti dal popolo e via dicendo, allora, no, non siamo né d’accordo né in pace.
Ben sette dei diciannove ministri più il Presidente del Consiglio non sono stati eletti dal popolo, da quel popolo che secondo Salvini e Di Maio è sovrano. La verità è che il M5S non ha una classe dirigente all’altezza del compito e ha dovuto ripiegare su soggetti che vengono dall’odiato establishment. Tolti i ministri professori, non politici, gli altri sono raccogliticci e improvvisati. Come improvvisati sono alcuni ministeri, come quello per il Sud, vera patacca per tacitare i pupi, e quello per la famiglia e i disabili, pura propaganda.
Una riflessione a parte merita quel “grand’uomo” di Paolo Savona, che per tre mesi si è fatto strumentalizzare, divenendo oggetto di spinte e controspinte, scoppole e sgambetti, come un cachiello qualsiasi, fino ad accontentarsi di un ministero senza portafoglio, quasi fosse un principiante, un esordiente. Un vecchio saggio, quale dovrebbe essere uno di più di ottant’anni, con la fama di grande economista, si dovrebbe comportare diversamente. Se uno come lui sbava per una poltrona di ministro qualsiasi, che dovrebbero fare le caterve di neoparlamentari di fronte al rischio di essere mandati a casa senza ancora insediarsi sulle loro odiatissime poltrone?
Questo governo è figlio della rivolta dei tanti deputati e senatori di prima elezione che di tornarsene a casa non ne hanno voluto sapere. Molti di essi non hanno né arte né parte. Questo va loro riconosciuto: il M5S è stata la manna calata dal cielo. E va bene pure che tutto è prodotto dai vaffanculo di Grillo. Ma, per parafrasare il memento mori biblico, rifletti grillino: culus es et in culum reverteris.

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