L’Italia si è presentata al G7 di
Canada con un Premier nuovo di zecca, Giuseppe Conte. Uno dei suoi due padrini,
il pentastellato Luigi Di Maio, rivolgendosi ai suoi in Italia, ha detto: il
nostro Premier sta con gli uomini più importanti del mondo in Canada. La comare
lo dice alla vicina per darsi importanza. E lui? Lui, il trovato sotto un
cavolo nella tarda primavera di quest’anno, ha chiesto ai suoi omologhi di
comprenderlo, data l’inesperienza. La stampa italiana lo ha messo in prima
pagina accanto a Trump, il quale pare avesse detto: è un bravo ragazzo, farà
bene (Corriere della Sera, 10.6). Il
popolino ha recepito: abbiamo un capo del governo che ha la stima dei grandi della Terra e cordializza con loro da pari a pari.
Italia mia, chi ti ridusse a tale?
Si parlerà a lungo di questa e di
simili altre performance al ribasso della nostra troika (Salvini-Di
Maio-Conte). Chi più ne fa più ne offre al chiacchiericcio dei giornali e dei
talk-show, fino a quando gli italiani non avranno fatto il callo. Il Presidente
della Camera Fico che ascolta l’Inno nazionale con le mani in tasca è ormai un
lontano ricordo, sebbene resti un’icona. Del resto, che si chiede a questi
giovinotti se non di essere onesti, come hanno promesso? Cultura, preparazione,
competenza? Ma tutto questo si sapeva che sarebbe mancato. Un proverbio
popolare ricorda che “nessuno è nato
imparato”. Onesti, però, lo devono essere, perché se no, saranno mazzate,
come si usava una volta.
Anche su questo fronte, a dire il
vero, s’incomincia a nutrire qualche dubbio. Conte ha truccato il suo
curriculum millantando titoli; ma lo ha fatto quando neppure si sognava di
diventare il presidente del consiglio. Guicciardini diceva che è la carica che
svela l’uomo (magistratus facit hominem).
Aspettiamo pure il contrario, che l’uomo sveli le capacità del Premier.
E veniamo ai fatti concreti. Il
Presidente di Confindustria Vincenzo Boccia ha detto: basta ora coi titoli e
gli annunci, incominciate ad operare, incominciate coi fatti. Avverte: le auto tedesche, sulle quali Trump
potrebbe mettere dei dazi, spesso al 70 % sono fatte da componenti italiane.
Perciò inutile cercare comprensioni separate, ammiccamenti. L’Italia non può
separare il suo destino dall’Europa. Non è uno slogan, è la realtà.
Di Maio ne ha fatta un’altra.
Rivolgendosi all’elettorato dei 761 comuni che oggi, domenica, 10 giugno,
votano per il rinnovo di sindaco e consigli, ha detto che le amministrazioni
pentastellate godranno dell’appoggio del governo nazionale. Niente di nuovo.
Quando ero ragazzino e non mi perdevo nessun comizio al mio paese, anni
Sessanta, sentii un noto esponente della Democrazia Cristiana dire: cittadini,
potete votare per chi volete, oggi c’è libertà, ma se non votate un sindaco
democristiano scordatevi di avere degli aiuti da parte del governo. Dunque, che
obiettare a Di Maio? Che certe cose si combattono per eliminarle e non si
dicono per raccogliere voti. Si può perdonare l’inesperienza a chi è nuovo del
mestiere, ma non i vizi più consolidati. Il favoritismo di Stato non è
accettabile a nessun livello. I pentastellati non possono pensare che ora, solo
per il fatto che sono loro a elargirlo, è normale.
La piccola macchia d’olio, che
era la stampa favorevole ai grillini, si sta allargando. Il nucleo originario
resta sempre lui, Marco Travaglio de “Il Fatto Quotidiano”, il quale dice degli
spropositi quanto neppure lui saprebbe immaginare. Parla di “pregiudizi
universali”, come se tutto quello che finora è accaduto non costituisse materia
di giudizio. Insiste nel dire che occorre aspettare prima di giudicare questo
governo. E lui, quanto ha aspettato a giudicare i precedenti governi? Forse
Travaglio non frequenta gli eventi formativi della professione. La stampa non
deve aspettare, deve informare su quanto accade giorno per giorno, senza
occultare, minimizzare o esagerare.
Ma la macchia – si diceva – si
sta ingrandendo. Maurizio Belpietro de “La Verità” è stato folgorato sulla
via…anzi nell’andarsene via da Damasco. Il gruppo Caltagirone appoggia il
governo pentaleghista e ha messo alla porta Massimo Barbano dalla direzione de
“Il Mattino” di Napoli. Resistono, ma non si sa ancora per quanto, “La
Repubblica” e il “Corriere della Sera”. Chi conosce la storia d’Italia, sia
pure al livello del racconto montanelliano, sa che tutto questo è già accaduto.
E’ la fisiologia della politica, intesa come lotta per il potere.
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