In Francia, dopo la barbara
uccisione del povero parroco, Jacques Hamel, fedeli cattolici e fedeli
musulmani hanno deciso di stare insieme e partecipare in chiesa alla santa
messa. Solo per domenica 31 luglio? E come pregheranno insieme, date liturgie
completamente differenti?
Subito c’è stata l’emulazione dei
cattolici e dei musulmani italiani. Speriamo bene. Quando altro non c’è da
fare, è giusto perfino tentare il paradossale. Il cardinale Bagnasco si è detto
contento. Nessuno vuole la guerra e nessuno ha da guadagnare dal radicalizzarsi
di uno scontro che purtroppo è in atto.
L’evento, però, non deve farci
andar troppo lontano con la fantasia e deve farci tenere i piedi per terra. Lo
scontro religioso – non so come diversamente chiamarlo – non riguarda tanti
buoni islamici che si trovano in Europa nelle più varie condizioni, ma una
classe dirigente islamistica (Daesh o Isis, come la si vuol chiamare) che è
convinta di dover abbattere il regno degli infedeli, che siamo noi europei. Accusati
noi di essere andati in casa loro in tempi neppure tanto lontani e di aver
disegnato la carta politica delle loro popolazioni, dicendo: qui dovete stare
voi, e qui voi altri.
Non è il caso di addentrarci nel
groviglio delle ragioni, vicine e lontane, di questa contrapposizione, diciamo
soltanto che noi non siamo estranei e lo dimostra il fatto che agli atti di
guerra rispondiamo con atti di guerra. Alcuni di questi atti sono sotto gli
occhi di tutti, come i bombardamenti, altri sono più nascosti ma altrettanto
efficaci. La guerra, insomma, è inutile negarlo, c’è. Gli stessi terroristi
islamici giustificano i loro atti come vendicativi delle bombe che i nostri
aerei lanciano sui loro correligionari in tutta l’area dell’Iraq e della Siria.
Noi la combattiamo con cacciabombardieri e droni, per quello che vediamo e
sappiamo; loro con attacchi terroristici, improvvisi e imprevedibili.
E’ ovvio che il noi sta per noi
occidentali, non per noi italiani, che invece continuiamo a raccogliere
musulmani dal mare e portarceli in casa.
Il punto vero è come risolvere la
guerra delle redazioni giornalistiche, dei ristoranti, delle promenades, dei concerti, delle chiese.
Servizi segreti, agenti in strada ed altri strumenti di prevenzione e repressione
non bastano; anzi, il più delle volte non sono adeguati. Tanto soprattutto in
quei paesi, come Francia e Belgio, dove ormai la società si è così intrecciata che
il terrorista può essere anche lo studente, il compagno di scuola del figlio,
il fidanzato della figlia o della nipote e via discorrendo.
La differenza tra i nostri
attacchi e i loro sta nel fatto che loro sono avvertiti e in qualche modo
possono mettersi al riparo dalle bombe; noi no, siamo esposti sempre e
dappertutto: in treno o in pizzeria, sulla spiaggia o in ufficio. Insomma, per
farla breve, noi non dobbiamo schivare una pallottola o una bomba, ma una
pioggia di pallottole o di bombe perfino mentre stiamo in un bar. I terroristi
si vedono quando ormai è troppo tardi. Il terrorismo è devastante per questo.
Si capisce perfettamente allora
che il pregare insieme in chiesa o in una moschea è un bel gesto, ma non serve
a combattere il terrorismo, che in chiesa arriva per farti la festa.
In Europa ci sono paesi più presi
di mira di altri. La Francia e il Belgio, per esempio; ma tutti possiamo essere
colpiti. Ma se c’è una differenza tra noi italiani e i francesi o i belgi è
perché da noi la società ha una identità ancora più forte e riconoscibile.
Ebbene, come ci stiamo comportando? Esattamente come non ci dovremmo comportare
e cioè cercando di diventare come francesi e belgi e dunque essere esposti come
loro. Il nostro governo sta facendo di tutto per trasformare anche l’Italia in
un paese multietnico con tutte le conseguenze che vediamo nel mondo, Stati
Uniti d’America in primis, dove ormai in certi momenti è guerra civile. Come
definire le tante morti di giovani neri uccisi dalla polizia anche per cose da
niente? Come definire gli agguati ai poliziotti da parte dei neri, che li
attaccano per vendicare i loro “fratelli” uccisi dai poliziotti bianchi?
La risposta che dovremmo dare al
terrorismo islamico è in due tempi. Il primo è quello di stare alla massima
allerta per prevenire attacchi. E questo è compito tecnico che spetta ai
servizi di sicurezza, ricorrendo anche a premi a chi si rende utile in questa
caccia, come suggeriva Ernesto Galli della Loggia sul “Corriere della Sera” di
sabato, 30 luglio, che proponeva di mettere taglie sui terroristi. Il secondo è
politico, consiste nel ridurre al minimo la componente straniera, ivi
comprendendo anche la diversità di religione, anzi soprattutto di religione se
essa è quella musulmana.
Questa religione, è appena il
caso di puntualizzarlo, a differenza di altre, trova nei suoi testi i motivi
per guerre di conquista e di sterminio degli infedeli. E’ la componente più
radicale di questa religione; ma è sufficiente per far saltare il mondo. Non è la prima volta
che simili tentativi di conquista sono stati effettuati con la conseguenza di
lunghe e cruente guerre. Minimizzare il pericolo non serve, anzi è deleterio.
Il che non significa che siamo al punto di “armiamoci e partiamo”, ma non
possiamo neppure escludere in maniera assoluta l’opzione militare, mentre si
cercano tutte le vie politiche e diplomatiche, commerciali e finanziarie per
giungere ad una ricomposizione. Cosa, questa, che comporta una nuova
sistemazione di tutta l’area interessata, con nuove egemonie e nuovi equilibri.
Se, per giungere a questo, è bene
passare anche dalle sceneggiate religiose, dagli embrassons nous, va bene; ma stiamo attenti e non
sottovalutiamo ancora un pericolo che ci può essere fatale.