domenica 29 maggio 2016

La Costituzione che s'ha da fare


Sono del parere che un testo approvato da un organo politico non possa essere revisionato che dallo stesso organo politico. Mi spiego: se la Costituzione della Repubblica Italiana è stata elaborata e approvata dall’Assemblea Costituente eletta ad hoc, la sua revisione dovrebbe avvenire per mano dello stesso organo, appositamente eletto. Questo non è stato possibile. Ogni tentativo fatto negli anni passati (le famose bicamerali) è miseramente fallito. Troppi interessi immediati rendevano complicato il raggiungimento di un esito super partes e super tempora, come la Costituzione richiede. La revisione di forza, fatta dal governo Berlusconi, trovò l’opposizione preconcetta e violenta da parte dell’universo mondo antiberlusconiano, culminata col referendum abrogativo del giugno 2006. Ce le ricordiamo tutte le laiche rappresentazioni sulla Costituzione “più bella del mondo”, che non si tocca! Il ricatto di ieri da parte degli avversari di non partecipare alla discussione e alla votazione in aula per delegittimare la riforma è lo stesso ricatto degli antirenziani di oggi, che non hanno voluto né discutere né partecipare al voto. In Italia è così: basta il pan per focaccia!   
A parti rovesciate e con argomentazioni scambiate la revisione l’ha fatta il governo Renzi. Ma, a differenza dell’ira nazionale, che si abbattè con successo su Berlusconi e sulle sue cose, contro Renzi non ci sarà nessuna crociata. Ci sarà la nota opposizione arlecchinesca, che va da qualche veterocomunista a qualche suonato reduce della destra, oltre ai grillini, che, povere anime vaganti, si masturbano con le loro non verificate differenze. A ottobre perciò sarà l’ennesimo trionfo di Renzi. Non ci vuole molto a capirlo: nessuno dei circa mille parlamentari odierni vuole mettere a rischio il proprio seggio; ognuno strapperà la durata fino al 2018 unguibus et rostris. Il problema riguarda i cittadini normali, che, sia pure a fatica, intendono liberarsi da appartenenze, ormai improbabili, e ragionare sulle cose.
Nello specifico, chi è di destra, identitaria o sociale che sia, la deve votare o no questa riforma? Ecco, questo –  direbbe Shakespeare – è il dilemma.
Alcuni punti fondamentali di questa riforma sono stati temi costanti di tutte le parti politiche, di destra, di centro e di sinistra. Sveltire le procedure di legge attraverso l’eliminazione del bicameralismo, rafforzare l’esecutivo per rispondere ad esigenze politiche diverse su urgenza europea, ridurre i costi della politica non c’è chi da trent’anni non li predichi e non li faccia suoi come propositi politici da concretizzare.
Siccome qui si ragiona da un punto di vista di destra, giova qualche ricordo. Uno dei primi, se non il primo in senso assoluto a parlare di riforma della Repubblica fu Giorgio Almirante nei primi anni Ottanta e da questa sua proposta gli derivò, dopo anni di ostruzionismo, qualche riconoscimento. Almirante proponeva una repubblica di tipo presidenziale, con maggiori poteri al presidente, che fosse eletto direttamente dal popolo e avesse più potere decisionale. Sintetizzo per necessità scrittoria. Qualcosa di una simile repubblica – i tempi da quando certe cose le diceva Almirante  sono cambiati – c’erano nella riforma del governo Berlusconi, poi bocciata dal referendum, e ci sono nella riforma di Renzi, che si appresta ad affrontare il giudizio popolare.
Se non fosse perché siamo in Italia tutti dovremmo essere d’accordo, perché in fondo chi più e chi meno certe cose tutti abbiamo sempre detto di volerle e di condividerle. Ma siamo in Italia e, come diceva il buon Machiavelli, si fa quel che conviene fare hic et nunc. Tra volpi e leoni occorre essere volpe e leone, ovvero tra italiani occorre essere italiano. Se fai l’austriaco o lo svedese, sei fottuto.
E, allora, ci si chiede: a chi giova una simile riforma? La risposta è immediata: giova a Renzi. Il quale, forte anche di una legge elettorale, l’Italicum, tra premio di maggioranza e liste parzialmente bloccate, si assicura il potere per almeno altri dieci-venti anni.
Se questo è un bene o è un male per l’Italia neppure se lo chiedono gli italiani. Temono che il combinato disposto “riforma-Italicum” congeli la democrazia, la riduca ad un mortificante gioco paroliero. Un po’ come accadde nella Roma dei Cesari, quando l’oratoria, ovvero il confronto politico, non era più quella dei tempi repubblicani, viva e nutrita di temi ed interessi vivi e vivificanti, ma pura finzione accademica, una sorta di recitazione.
Preoccupazione fondata, a dire il vero. I meglio disposti, tra i sostenitori della riforma – e tra questi non ci sono davvero Renzi e i renziani – riconoscono che la riforma poteva essere diversa, migliore, ma qualsiasi legge – dicono – va declinata con le circostanze reali. Una diversa forma di revisione della Carta costituzionale non è stata possibile, non sarebbe possibile. La realtà è sotto gli occhi di tutti e nessuno ha il pudore di usare argomenti da cristiano. Renzi usa toni e argomenti da Menenio Agrippa, convinto di rivolgersi a dei bifolchi, e di rimando contro di lui – si rifletta su quello che dice Brunetta – si rovesciano stupidate del tipo: bisogna votare contro per mandare a casa Renzi.  

Di qui a ottobre saranno mesi di chiacchiere e di insulti, mentre nessuno si preoccupa di stampare il testo della riforma e volgarizzato con semplici spiegazioni per i cittadini elettori. Non sarebbe la soluzione di tutti i problemi, ma almeno si tenterebbe di coinvolgere i cittadini e di metterli nelle condizioni di farsi un’idea. Cosa ben lontana che immaginano i capi di stato maggiore delle truppe politiche, che al momento opportuno proclameranno la mobilitazione generale.  E, fucile in spalla, chi ha capito ha capito!   

Nessun commento:

Posta un commento