domenica 5 giugno 2016

Il vuoto di potere produce cambiamenti di costume


Ho sentito non ricordo più su quale canale Rai, credo “Rai Due”, sabato 4 giugno, un esperto affermare, in seguito all’episodio di quel genitore che a Cuneo ha teso un agguato al fidanzato del figlio omosessuale e lo ha riempito di botte, che l’omofobia è una malattia. Tralasciando ogni altro aspetto dell’inquietante episodio, ho colto un dato straordinariamente interessante: la trasformazione antropologica dell’italiano, realizzatasi in pochi anni; direi in meno di dieci anni, gli ultimi. Ciò che non era accaduto nei secoli precedenti, quando era l’omosessualità una malattia, è accaduto da poco, col ribaltamento delle posizioni: malato non è più l’omosessuale ma l’omofobo, cioè il suo esatto contrario.
Francamente era impensabile solo pochi anni fa che ciò potesse accadere. Ma, mentre prima si era propensi a rispettare gli omosessuali perché in fondo – si diceva – non avevano colpa alcuna del loro stato, perché appunto erano malati, oggi, a quanto pare, per i nuovi malati, ovvero per gli omofobi, non c’è comprensione alcuna. Sono malati e vanno puniti!
Non è difficile scorgere in questa nuova visione delle cose un profilo politico decisamente antidemocratico, tipico di un regime. Qui non siamo in presenza di una posizione diversa, che ha diritto di esistere, purché non rechi danno al prossimo, ma in una condizione giudicata ontologicamente patologica e criminale. L’omofobo, per il fatto di essere tale, non lo può neppure dire; se lo dice commette un reato. Se, poi, addirittura mette in pratica un gesto da omofobo, va incontro a pesanti condanne giudiziarie e alla gogna sociale.
L’aspetto che più stupisce è che in questi anni di trasformazione antropologica e sociale non c’è stato un potere forte ad imporre la trasformazione; anzi, direi che non c’è stato potere. Napolitano, con la sua doppia elezione presidenziale, è la prova lampante della latitanza del potere politico. Se ci fosse stata una classe politica di rispetto, sarebbe stato un altro il presidente della repubblica. Rieleggendolo, la politica ha sancito la sua debolezza.
L’altra prova della latitanza del potere politico è la surrogazione della magistratura. I giudici che possono stabilire l’adozione del figlio del compagno o della compagna, per le unioni civili, mette con le spalle al muro un parlamento che non è capace di elaborare e approvare una legge specifica.
Sicché viene di pensare che le grandi trasformazioni antropologiche e sociali non avvengono durante i regimi forti, ma paradossalmente nel vuoto di potere, quando l’individuo in sé e la società si abbandonano al vento della liceità diffusa e senza limiti, tipica dei periodi di sbandamento e di confusione.
Con l’avanzare dell’omosessualità e di tutte le sue connessioni, matrimoni adozioni gravidanze, è avanzato il transgender, che ha messo in discussione l’anagrafe. Non parliamo della chiesa, che oggi non sa più a quale…santo votarsi per far raccapezzare i fedeli tra una religione millenaria e uno stato che va giù a rotta di collo. Il Papa si è laicizzato, il più delle volte fa il magistrato (contro la corruzione), il sindacalista (contro lo sfruttamento dei lavoratori), il politico (accogliere ii rifugiati), rinunciando ad essere guida spirituale. Non è solo questione di assecondare una tendenza, che è quella dei diritti individuali anche in conflitto con quelli spirituali predicati da secoli e secoli dalla chiesa, ma anche di poter conservare un minimo di potere in una società che cerca di sfuggire a qualsiasi potere.
Il sospetto, però, che si tratti di un successo del cambiamento di superficie, come dire, per usare un proverbio popolare, quando il gatto non c’è il topo balla, è forte. Se immaginiamo dove possa portare questa tumultuosa caduta, accelerata anche da leggi morali europee, dai socials e da altri mezzi della più moderna tecnologia della comunicazione, non solo non riusciamo a vedere il punto d’approdo, ma non riusciamo neppure ad ipotizzarne uno. Solo la peste ha un effetto più devastante per la società dell'anarchia, quando essa si pone non come il raggiungimento di qualcosa ma come un porsi in continuo fieri.
La storia ha registrato già altre volte periodi di crisi dei valori e dei poteri, ma ha anche registrato la reconquista, quando gli effetti della trasformazione si sono rivelati dannosi non solo agli individui, presi per sé, ma anche alla società. 
Un altro effetto tra i più disastrosi di questa trasformazione, per le sue ricadute immediate e in prospettiva, è quello del diritto individuale della donna di poter prendere e lasciare un uomo come prende e lascia una borsetta. Un diritto rivendicato con iattanza come una conquista. L’effetto è, come purtroppo vediamo, il proliferare di femminicidi efferati, che turbano la coscienza personale e civile.

Anche a voler considerare queste povere donne, a volte accompagnate nella morte dai figlioletti, come le vittime sacrificali del progresso, è inaccettabile che si debba assistere a simili sacrifici per una scelta di fanatismo ideologico. Il femminismo fanatico che è per la libertà senza limiti e confini della donna, che fa considerare l’amore come una batteria che si può buttare quando esausta, obbedisce ad una ideologia che si scontra con la realtà. L’individuo, maschio o femmina che sia, non è mai solo sulla terra. Ogni sua forma di promessa con un altro non può essere unilateralmente sciolta in nome di una libertà individuale che per forza di cose produce del male o del danno all’altro. Non si discute il voler lasciare il partner per una ragione importante – e ci sono migliaia e migliaia di casi – si discute di poterlo lasciare per niente, così per aver conosciuto un altro più bello, più simpatico, più piacente o più facoltoso; e ovvio altrettanto vale se a lasciare la partner è lui. Dire: la donna è libera di lasciare a suo libero piacimento l’uomo, con o senza motivo, è tipico di una visione della vita che sta prendendo sempre più consistenza nel gravissimo vuoto di potere in cui ci troviamo.

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