Ho sentito non ricordo più su
quale canale Rai, credo “Rai Due”, sabato 4 giugno, un esperto affermare, in
seguito all’episodio di quel genitore che a Cuneo ha teso un agguato al
fidanzato del figlio omosessuale e lo ha riempito di botte, che l’omofobia è
una malattia. Tralasciando ogni altro aspetto dell’inquietante episodio, ho
colto un dato straordinariamente interessante: la trasformazione antropologica
dell’italiano, realizzatasi in pochi anni; direi in meno di dieci anni, gli
ultimi. Ciò che non era accaduto nei secoli precedenti, quando era
l’omosessualità una malattia, è accaduto da poco, col ribaltamento delle
posizioni: malato non è più l’omosessuale ma l’omofobo, cioè il suo esatto
contrario.
Francamente era impensabile solo
pochi anni fa che ciò potesse accadere. Ma, mentre prima si era propensi a
rispettare gli omosessuali perché in fondo – si diceva – non avevano colpa
alcuna del loro stato, perché appunto erano malati, oggi, a quanto pare, per i
nuovi malati, ovvero per gli omofobi, non c’è comprensione alcuna. Sono malati
e vanno puniti!
Non è difficile scorgere in
questa nuova visione delle cose un profilo politico decisamente
antidemocratico, tipico di un regime. Qui non siamo in presenza di una posizione
diversa, che ha diritto di esistere, purché non rechi danno al prossimo, ma in
una condizione giudicata ontologicamente patologica e criminale. L’omofobo, per
il fatto di essere tale, non lo può neppure dire; se lo dice commette un reato.
Se, poi, addirittura mette in pratica un gesto da omofobo, va incontro a
pesanti condanne giudiziarie e alla gogna sociale.
L’aspetto che più stupisce è che
in questi anni di trasformazione antropologica e sociale non c’è stato un
potere forte ad imporre la trasformazione; anzi, direi che non c’è stato
potere. Napolitano, con la sua doppia elezione presidenziale, è la prova
lampante della latitanza del potere politico. Se ci fosse stata una classe
politica di rispetto, sarebbe stato un altro il presidente della repubblica.
Rieleggendolo, la politica ha sancito la sua debolezza.
L’altra prova della latitanza del
potere politico è la surrogazione della magistratura. I giudici che possono
stabilire l’adozione del figlio del compagno o della compagna, per le unioni
civili, mette con le spalle al muro un parlamento che non è capace di elaborare
e approvare una legge specifica.
Sicché viene di pensare che le
grandi trasformazioni antropologiche e sociali non avvengono durante i regimi
forti, ma paradossalmente nel vuoto di potere, quando l’individuo in sé e la
società si abbandonano al vento della liceità diffusa e senza limiti, tipica
dei periodi di sbandamento e di confusione.
Con l’avanzare dell’omosessualità
e di tutte le sue connessioni, matrimoni adozioni gravidanze, è avanzato il
transgender, che ha messo in discussione l’anagrafe. Non parliamo della chiesa,
che oggi non sa più a quale…santo votarsi per far raccapezzare i fedeli tra una
religione millenaria e uno stato che va giù a rotta di collo. Il Papa si è
laicizzato, il più delle volte fa il magistrato (contro la corruzione), il sindacalista (contro lo sfruttamento dei lavoratori), il politico (accogliere ii rifugiati),
rinunciando ad essere guida spirituale. Non è solo questione di assecondare una
tendenza, che è quella dei diritti individuali anche in conflitto con quelli
spirituali predicati da secoli e secoli dalla chiesa, ma anche di poter
conservare un minimo di potere in una società che cerca di sfuggire a qualsiasi
potere.
Il sospetto, però, che si tratti
di un successo del cambiamento di superficie, come dire, per usare un proverbio
popolare, quando il gatto non c’è il topo balla, è forte. Se immaginiamo dove
possa portare questa tumultuosa caduta, accelerata anche da leggi morali
europee, dai socials e da altri mezzi della più moderna tecnologia della
comunicazione, non solo non riusciamo a vedere il punto d’approdo, ma non
riusciamo neppure ad ipotizzarne uno. Solo la peste ha un effetto più devastante per la società dell'anarchia, quando essa si pone non come il raggiungimento di qualcosa ma come un porsi in continuo fieri.
La storia ha registrato già altre
volte periodi di crisi dei valori e dei poteri, ma ha anche registrato la reconquista, quando gli effetti della
trasformazione si sono rivelati dannosi non solo agli individui, presi per sé,
ma anche alla società.
Un altro effetto tra i più disastrosi
di questa trasformazione, per le sue ricadute immediate e in prospettiva, è
quello del diritto individuale della donna di poter prendere e lasciare un uomo
come prende e lascia una borsetta. Un diritto rivendicato con iattanza come una
conquista. L’effetto è, come purtroppo vediamo, il proliferare di femminicidi
efferati, che turbano la coscienza personale e civile.
Anche a voler considerare queste
povere donne, a volte accompagnate nella morte dai figlioletti, come le vittime
sacrificali del progresso, è inaccettabile che si debba assistere a simili
sacrifici per una scelta di fanatismo ideologico. Il femminismo fanatico che è
per la libertà senza limiti e confini della donna, che fa considerare l’amore
come una batteria che si può buttare quando esausta, obbedisce ad una ideologia
che si scontra con la
realtà. L ’individuo, maschio o femmina che sia, non è mai
solo sulla terra. Ogni sua forma di promessa con un altro non può essere
unilateralmente sciolta in nome di una libertà individuale che per forza di
cose produce del male o del danno all’altro. Non si discute il voler lasciare il partner
per una ragione importante – e ci sono migliaia e migliaia di casi – si discute
di poterlo lasciare per niente, così per aver conosciuto un altro più bello,
più simpatico, più piacente o più facoltoso; e ovvio altrettanto vale se a
lasciare la partner è lui. Dire: la donna è libera di lasciare a suo libero
piacimento l’uomo, con o senza motivo, è tipico di una visione della vita che sta prendendo sempre più consistenza nel gravissimo vuoto di potere in cui ci troviamo.
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