domenica 15 maggio 2016

Renzi, il Vangelo e la Carta


Matteo Renzi ha ragione di ricondurre tutto a sé, sia nella buona che nella cattiva sorte, al punto che se la sua più importante impresa, la riforma costituzionale, non dovesse passare al referendum confermativo di ottobre, lascerà la politica. Ipse dixit.
Ovviamente non lascerà nulla. Il suo è il tipico modo di comportarsi dello spaccone. Ce ne sono di due tipi, di spacconi. Uno è quello che sa di valere poco e bluffa, si ostenta forte per far colpo sugli altri e far crescere il suo credito sociale. Se va, va; se non va, non ha perso niente. L’altro è quello che effettivamente ha una smisurata autostima e tiene a farlo sapere. Renzi appartiene al secondo tipo. Ma ha un difetto, che lo tradisce. Non riesce a gestire lo scarto tra ciò che è e ciò che rappresenta e teme che gli altri glielo contestino; è, come si dice, il suo complesso.
Come presidente del consiglio viene, nell’Italia repubblicana, dopo uomini come De Gasperi, Fanfani, Moro, Andreotti, Craxi, Berlusconi, per citare i più noti e importanti. Mai, neppure lontanamente, questo scarto è stato tradito da quei presidenti. E come loro: Togliatti, Nenni, Saragat, Einaudi, La Malfa, Scalfaro, Berlinguer, Almirante. Erano, quelli, assai più importanti, come uomini, di ciò che rappresentavano come politici. E stiamo parlando anche di presidenti della repubblica e di grandi leader, tanto più valorosi quanto più se la dovevano vedere con altri uomini della loro vaglia e in situazioni anche assai più difficili e drammatiche.
Si dirà: non si possono fare simili paragoni; e infatti non li facciamo. Vogliamo solo mettere in evidenza quello scarto caratteriale che c’è in ognuno di noi tra ciò che siamo e ciò che pensiamo di essere. Scarto che nelle persone mature e colte non traspare; in Renzi colpisce come un raggio laser negli occhi.
Dopo l’approvazione delle Unioni civili, modo di dire per nascondere i modi di fare, Renzi ha detto, come a rispondere alle critiche della Chiesa, che lui non ha giurato sul Vangelo ma sulla Carta. La sua solita smargiassata. Si liscia l’asso come al tressette, perché sa che la carta più forte ce l’ha il compagno. Lui l’asso se lo liscia con tutta quell’umanità che dalla legge sulle Unioni civili trae vantaggio; ne capta la benevolenza.
Gioca sul velluto, intorno non ha che rottamati e di fronte dei velleitari da rottamare. Neppure la Chiesa ha oggi granché da opporre all’ex sindaco di Firenze. Il quale si esprime per frasi fatte e ripetute fino alla noia. Del resto, che cultura ha mai potuto maturare? Le sue battute sembrano il punto d’approdo di tutto il suo sapere e operare, come se più che per la cosa in sé operasse per confezionarsi la battuta da esibire. Poco importa se sono soltanto delle banalità da bar dello sport. Questa me la preparo per la Chiesa – avrà pensato da tempo – et voila: non ho giurato sul Vangelo ma sulla Carta.
Ma la Carta è sicuro di conoscerla? O ha giurato su una qualsiasi? L’approvazione è passata, infatti, con l’ennesimo voto di fiducia, il nr. 53 in poco più di due anni, dal febbraio 2014 al maggio 2016, una media di 2,2 al mese che rende questo governo, ancor più dei precedenti, pur abusanti di questo “eccezionale” istituto, un’autentica dittatura. Sarà pure alla camomilla, ma sempre dittatura è. Io detto – dice Renzi – e voi eseguite.
Ora il voto di fiducia non significa che il governo è forte, caso mai evidenzia la sua debolezza; significa che non ha o che non controlla una maggioranza. La minaccia di passare allo scioglimento delle Camere, nell’eventualità di un voto negativo, spaventa i parlamentari che all’idea cadono in depressione. Sicché, non è un voto alla cosa in sé, neppure un voto al governo, ma un voto a se stessi: il seggio come psicofarmaco. Questa è la triste considerazione che va fatta. Un parlamento votato da una legge, bocciata come incostituzionale dalla Consulta, e perciò, se non formalmente, sostanzialmente composto di abusivi, vuole rimanere a dispetto di Dio e degli uomini fino all’ultimo. Renzi ne è il garante; Renzi è il forte di una masnada di deboli e depressi.   
I suoi presunti avversari, interni ed esterni, paventano derive autoritarie. Ma quando mai! Intanto non ci siamo coi tempi, perché la deriva autoritaria è già in atto, senza manganelli, polizia segreta, tribunali speciali, confini di polizia ed altro armamentario tipico delle dittature che non si vergognano di mostrarsi e di dirsi tali. Quella di Renzi è una dittatura, bella e buona.
Ma torniamo alla Carta, che, come uso, attraversa tutto il corpo umano, metaforicamente parlando, con grande disinvoltura. Al suo articolo 72, a proposito di approvazione di leggi, dice: “Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza”. Quale urgenza c’è mai stata in tanti voti di fiducia? Il voto di fiducia consente di scavalcare tutto l’iter dell’approvazione di una legge articolo per articolo, cancella gli emendamenti e impedisce il dibattito; una sorta di taglio del famoso nodo di Gordio con un colpo di spada.. Renzi ha posto la questione di fiducia perfino per leggi, come quella sulle Unioni civili, che incideranno anche antropologicamente sulla società italiana. Ha trattato un problema così complesso e grave come l’intervento per il crollo di un cavalcavia. Prepotenza o ignoranza?
Ma Renzi ha un’idea tutta sua dell’urgenza. Prima le cose non si facevano mai e, avendo egli capito perché non si facevano, ricorre al voto di fiducia che fa sfrecciare il governo sul traguardo come un bolide di Formula Uno. Ma, allora, per governare questo paese ci vuole la dittatura? La Carta non prevede nessuna dittatura, anzi è decisamente contro. Ma la Carta non poteva neppure prevedere uno come Renzi.

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