domenica 1 maggio 2016

Berlusconi a Roma fa er più


Il modo come Berlusconi è uscito dall’angolo in cui lo tenevano Salvini e la Meloni, l’uno per conto della Lega e l’altra di Fratelli d’Italia, ricorda come Omar Sivori, uno dei fuoriclasse della Juventus dei primi anni Sessanta del secolo scorso, riusciva, palla al piede, a liberarsi da un groviglio di avversari.
La vicenda romana, benché i protagonisti l’abbiano ingarbugliata con cambi di propositi, è di estrema semplicità e linearità. Candidato-sindaco a Roma per il centrodestra era stato inizialmente nominato dalla triplice Berlusconi-Salvini-Meloni Guido Bertolaso, il responsabile della protezione civile ai tempi di Berlusconi. Poi questi, sentiti i malumori del giorno dopo, aveva rinunciato, accampando le solite scuse di circostanza: mi voglio dedicare ad altro. Bertolascio uno! Successivamente era stato convinto a riaccettare, ma subito dopo Salvini e Meloni sono usciti allo scoperto e hanno detto, chiaro e tondo, che la sua candidatura non andava bene, che non reggeva al confronto con quelle forti degli avversari.
A questo punto iniziava un braccio di ferro tra Salvini-Meloni da una parte e Berlusconi-Bertolaso dall’altra, che doveva necessariamente finire, non col dorso della mano a toccare la superficie del tavolo, come accade nella gara sportiva, ma con la caduta definitiva del perdente, che doveva essere Berlusconi. Una sconfitta, la sua, che sarebbe dovuta essere un’uscita definitiva dalla scena politica.
Invece è accaduto che l’ex Cavaliere, con una mossa magistrale, ha spiazzato tutti, ottenendo da Bertolaso la rinuncia – Bertolascio due! – e dichiarando il sostegno di Forza Italia ad Alfio Marchini, come del resto auspicavano da giorni i moderati del centro, Casini in testa.
Quasi incredulo il duo Salvini-Meloni si è ritrovato a dover difendere il ko subito. E’ di tutta evidenza, infatti, che l’alleanza del centrodestra non esiste più, per lo meno non esiste come prima, non esiste a Roma. Se i due non vogliono compromettere la situazione delle altre città, in cui ancora sono tutti e tre insieme, devono ribadire che il centrodestra non è finito. Accettare la batosta romana, dunque, per evitarne altre in giro per l’Italia. Hanno morso ferro!
Ma la mossa di Berlusconi, che si trova alla vigilia degli ottant’anni, induce a rivedere l’intero stato di salute del centrodestra, per constatare purtroppo che si è prossimi al decesso. Marchini, infatti, non potrà mai essere finalmente l’erede di Berlusconi, il tanto atteso, per tutta la sua storia famigliare e personale. I due sconfitti della questione romana, a loro volta, non hanno né la statura né la credibilità per assurgere a veri leader nazionali. Salvini non avrà mai dagli italiani nessuna investitura nazionale né un riconoscimento del genere, perché rappresenta, per storia, categorie politiche di riferimento e carattere, gli interessi di una sola parte del Paese e gli umori dell’estremismo, a volte becero e violento, condannato dall’Europa in Italia come altrove. La Meloni è ben poca cosa, non tanto lei come persona quanto il seguito politico che le sta dietro.
Nella fase attuale, nel centrodestra, non si vede come un certo modo di pensare e certi interessi sociali possano trovare un gruppo dirigente ed un leader di forte e qualificata rappresentatività. Al momento il migliore, ancora una volta, si è rivelato lui, Silvio Berlusconi. Il che non consola nessuno e non facilita l’avvio di un processo veramente nuovo.
A questo aggiungasi il gran casino che ormai regna sullo scenario politico generale, in cui il centrodestra è ammagliato con alcune fasce del centrosinistra. Un governo a trazione Pd si mantiene in piedi sorretto da una parte dell’«opposizione» (Alfano-Verdini), mentre una parte della maggioranza fa la vera, anche se inutile e mortificante, «opposizione» (Bersani, Cuperlo, Speranza).
Il Movimento 5 Stelle aveva ragione di chiedere al Presidente della Repubblica di intervenire perché si definisse meglio il quadro politico. Gli italiani avrebbero ragione – il condizionale è d’obbligo – di sapere da chi sono governati per un verso e da chi sono rappresentati nell’importante compito di vigilare sulla maggioranza e sull’esecutivo per un altro. Sappiamo com’è andata a finire. Mattarella ha risposto di non avere un motivo costituzionalmente valido per intervenire in una questione che presenta tutti i profili di legittimità.
A dire il vero Mattarella avrebbe avuto ragione di dire: signori, la bussola è impazzita, non funziona, la colpa non è mia, ed io non ne ho una di ricambio. Potrei riparare quella che c’è, ma la Costituzione me lo impedisce. La situazione odierna lui l’ha ereditata. Cosa c’entra lui con un parlamento eletto con una legge incostituzionale? Cosa c’entra lui con l’incarico ad uno che neppure era stato eletto deputato o senatore? E cosa c’entra lui col famigerato patto del nazareno, che, a quanto si sente, ha responsabilità perfino se piove o se non piove?
Quando si verificano certe situazioni, escono fuori alla grande le persone risolute, spregiudicate, che sanno quello che vogliono e che conoscono i percorsi per ottenerlo. Ecco, appunto, i Berlusconi per un verso; i Renzi, per un altro. A sinistra come a destra, le leve del comando ce l’hanno i cosiddetti moderati: sono loro che alla fine decidono, lasciandosi dietro malumori, lamentele e minacce. Ma le chiacchiere non cuociono il riso (proverbio cinese).

Se è consentito chiudere con una battuta, che poi tanto battuta non è, forse quelli del centrodestra vanno cercando ciò che hanno già. Ma a lorsignori pare che il governo Renzi, con annessi e connessi, sia di centrosinistra?

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