Il modo come Berlusconi è uscito
dall’angolo in cui lo tenevano Salvini e la Meloni, l’uno per conto della Lega
e l’altra di Fratelli d’Italia, ricorda come Omar Sivori, uno dei fuoriclasse
della Juventus dei primi anni Sessanta del secolo scorso, riusciva, palla al
piede, a liberarsi da un groviglio di avversari.
La vicenda romana, benché i
protagonisti l’abbiano ingarbugliata con cambi di propositi, è di estrema
semplicità e linearità. Candidato-sindaco a Roma per il centrodestra era stato
inizialmente nominato dalla triplice Berlusconi-Salvini-Meloni Guido Bertolaso,
il responsabile della protezione civile ai tempi di Berlusconi. Poi questi,
sentiti i malumori del giorno dopo, aveva rinunciato, accampando le solite
scuse di circostanza: mi voglio dedicare ad altro. Bertolascio uno! Successivamente
era stato convinto a riaccettare, ma subito dopo Salvini e Meloni sono usciti
allo scoperto e hanno detto, chiaro e tondo, che la sua candidatura non andava
bene, che non reggeva al confronto con quelle forti degli avversari.
A questo punto iniziava un
braccio di ferro tra Salvini-Meloni da una parte e Berlusconi-Bertolaso
dall’altra, che doveva necessariamente finire, non col dorso della mano a
toccare la superficie del tavolo, come accade nella gara sportiva, ma con la
caduta definitiva del perdente, che doveva essere Berlusconi. Una sconfitta, la
sua, che sarebbe dovuta essere un’uscita definitiva dalla scena politica.
Invece è accaduto che l’ex
Cavaliere, con una mossa magistrale, ha spiazzato tutti, ottenendo da Bertolaso
la rinuncia – Bertolascio due! – e dichiarando il sostegno di Forza Italia ad Alfio
Marchini, come del resto auspicavano da giorni i moderati del centro, Casini in
testa.
Quasi incredulo il duo
Salvini-Meloni si è ritrovato a dover difendere il ko subito. E’ di tutta
evidenza, infatti, che l’alleanza del centrodestra non esiste più, per lo meno
non esiste come prima, non esiste a Roma. Se i due non vogliono compromettere
la situazione delle altre città, in cui ancora sono tutti e tre insieme, devono
ribadire che il centrodestra non è finito. Accettare la batosta romana, dunque,
per evitarne altre in giro per l’Italia. Hanno morso ferro!
Ma la mossa di Berlusconi, che si
trova alla vigilia degli ottant’anni, induce a rivedere l’intero stato di
salute del centrodestra, per constatare purtroppo che si è prossimi al decesso.
Marchini, infatti, non potrà mai essere finalmente l’erede di Berlusconi, il
tanto atteso, per tutta la sua storia famigliare e personale. I due sconfitti
della questione romana, a loro volta, non hanno né la statura né la credibilità
per assurgere a veri leader nazionali. Salvini non avrà mai dagli italiani
nessuna investitura nazionale né un riconoscimento del genere, perché
rappresenta, per storia, categorie politiche di riferimento e carattere, gli
interessi di una sola parte del Paese e gli umori dell’estremismo, a volte
becero e violento, condannato dall’Europa in Italia come altrove. La Meloni è
ben poca cosa, non tanto lei come persona quanto il seguito politico che le sta
dietro.
Nella fase attuale, nel
centrodestra, non si vede come un certo modo di pensare e certi interessi
sociali possano trovare un gruppo dirigente ed un leader di forte e qualificata
rappresentatività. Al momento il migliore, ancora una volta, si è rivelato lui,
Silvio Berlusconi. Il che non consola nessuno e non facilita l’avvio di un
processo veramente nuovo.
A questo aggiungasi il gran
casino che ormai regna sullo scenario politico generale, in cui il centrodestra
è ammagliato con alcune fasce del centrosinistra. Un governo a trazione Pd si
mantiene in piedi sorretto da una parte dell’«opposizione» (Alfano-Verdini),
mentre una parte della maggioranza fa la vera, anche se inutile e mortificante,
«opposizione» (Bersani, Cuperlo, Speranza).
Il Movimento 5 Stelle aveva
ragione di chiedere al Presidente della Repubblica di intervenire perché si
definisse meglio il quadro politico. Gli italiani avrebbero ragione – il
condizionale è d’obbligo – di sapere da chi sono governati per un verso e da
chi sono rappresentati nell’importante compito di vigilare sulla maggioranza e
sull’esecutivo per un altro. Sappiamo com’è andata a finire. Mattarella ha
risposto di non avere un motivo costituzionalmente valido per intervenire in
una questione che presenta tutti i profili di legittimità.
A dire il vero Mattarella avrebbe
avuto ragione di dire: signori, la bussola è impazzita, non funziona, la colpa
non è mia, ed io non ne ho una di ricambio. Potrei riparare quella che c’è, ma
la Costituzione me lo impedisce. La situazione odierna lui l’ha ereditata. Cosa
c’entra lui con un parlamento eletto con una legge incostituzionale? Cosa c’entra
lui con l’incarico ad uno che neppure era stato eletto deputato o senatore? E
cosa c’entra lui col famigerato patto del nazareno, che, a quanto si sente, ha
responsabilità perfino se piove o se non piove?
Quando si verificano certe
situazioni, escono fuori alla grande le persone risolute, spregiudicate, che
sanno quello che vogliono e che conoscono i percorsi per ottenerlo. Ecco,
appunto, i Berlusconi per un verso; i Renzi, per un altro. A sinistra come a
destra, le leve del comando ce l’hanno i cosiddetti moderati: sono loro che
alla fine decidono, lasciandosi dietro malumori, lamentele e minacce. Ma le
chiacchiere non cuociono il riso (proverbio cinese).
Se è consentito chiudere con una
battuta, che poi tanto battuta non è, forse quelli del centrodestra vanno
cercando ciò che hanno già. Ma a lorsignori pare che il governo Renzi, con
annessi e connessi, sia di centrosinistra?
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