domenica 3 aprile 2016

Il caso Regeni: un intrigo internazionale


Che sappiamo noi italiani di Giulio Regeni? Dopo due mesi dalla sua tragica morte non sappiamo assolutamente nulla di preciso. Chi era? Che faceva in Egitto? Chi lo ha catturato, torturato e ucciso? Niente. Sì, si dicono in Italia e nel mondo occidentale delle cose, date per certe. Che, purtroppo, somigliano tanto alla fiaba di Cappuccetto Rosso che capita nel bosco nelle grinfie del lupo. Ma qui non siamo in una fiaba, qui siamo in una tremenda realtà; in un intrigo internazionale, che forse non avrà mai una spiegazione.
In Egitto, secondo la Commissione Egiziana per i Diritti e le Libertà, dall’agosto del 2015 ad oggi ci sono stati 533 casi di sparizione forzata. Alcuni degli scomparsi sono stati visti in giro a distanza di giorni o di settimane con evidenti segni di torture. Di ben 396 spariti non si è saputo più niente (Corriere della Sera, 3 aprile).   
Da parte italiana si sa che Giulio Regeni era friulano, di 28 anni, ricercatore della Cambridge University, che era in Egitto per fare una ricerca sui sindacati liberi che osteggiano il regime del Generale Al-Sisi, dunque sull’opposizione al regime. Regeni scompare il 25 gennaio e viene ritrovato assassinato il 3 febbraio; è pieno di ferite con evidenti segni di tortura.
Da parte egiziana si sono dette troppe cose sulla sua morte: incidente d’auto, rapinatori, questioni di sesso e di droga, lite con un connazionale nei pressi dell’Ambasciata italiana. Insomma, si sono raccontate fandonie, regolarmente respinte come tali dall’Italia, dal governo, dalla famiglia, dall’opinione pubblica.
L’unica verità attendibile è quella avanzata da Al-Sisi, peraltro adombrata dal nostro Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera”: Giulio Regeni sarebbe stato ucciso da chi aveva interesse a mettere in difficoltà il governo egiziano con l’Italia. Significativo che il caso Regeni sia scoppiato mentre era al Cairo una delegazione italiana per concludere importanti affari economici, i cui lavori furono interrotti proprio per il ritrovamento del cadavere di Regeni in una fossa ai margini di una strada. Dunque: ucciso e fatto ritrovare. Plausibile l’ipotesi Al-Sisi, ma troppo scoperta, quasi didascalizzata, per essere vera.
C’è qualcosa che non quadra in questa ipotesi-spiegazione: perché il governo egiziano non ci dice chi ha rapito e ucciso Regeni se si tratta di nemici del regime, come sostiene Al-Sisi? Perché il governo del Cairo insiste nel depistare, nel raccontare delle balle, tali da offendere l’intelligenza e la sensibilità di un intero popolo? Non avrebbe forse interesse il governo egiziano a mostrare al mondo quali nemici lo combattono? Chi difende? Ovvio: difende se stesso.
La verità che si fa strada è che ad uccidere Regeni siano stati i servizi segreti del regime di Al-Sisi nell’esercizio delle loro funzioni di vigili difensori del loro governo e del loro paese.
Ma, allora, ci devono dire chi era per loro Giulio Regeni e perché incominciarono a seguirlo fin dal suo arrivo al Cairo; che cosa sapevano di lui e che cos’altro volevano sapere delle sue ricerche egiziane; perché lo hanno torturato e ucciso.
Regeni scriveva per il “Manifesto”, che è un giornale comunista, scriveva e pubblicava con pseudonimo perché aveva paura; comunicava con la sua Università inglese e sapeva di essere a rischio. Si rendeva perfettamente conto che la sua posizione in Egitto non era tranquilla e che correva seri pericoli. Allora è lecito chiedersi se operava spontaneamente nell’ambito delle sue ricerche di studio o c’era dell’altro.
Regeni era un ricercatore, ma forse deviato, forse pericolosamente al servizio, sia pure indirettamente, con agenzie di altri paesi collegati con la sua Università. Regeni poteva apparire ai servizi di sicurezza egiziani un “agente” straniero sotto copertura. E’ un’ipotesi, che avrebbe bisogno di essere approfondita e verificata, perché se è vero che le spiegazioni egiziane sulla sua morte sono troppe e false, è anche vero che le informazioni che abbiamo di Regeni sono troppo poche e incerte.
La conferenza al Senato da parte dei suoi genitori è stata di grande dignità e compostezza. La madre soprattutto, così calma e tranquilla da sembrare un’attrice in un film di Agatha Christie, ha minacciato che avrebbe fatto vedere le foto del figlio morto ove non avesse avuto la verità sulla sua morte. Ma è sembrato che le sue parole non fossero rivolte solo al governo egiziano, ma anche a quello italiano se esso non riuscirà a farsi dire la verità da quello egiziano.
Giustamente la famiglia di Regeni chiede di sapere la verità; come la chiediamo tutti in Italia e nel mondo libero. Ma sappiamo che quando sono in gioco interessi politici internazionali purtroppo si sacrifica ogni altro interesse per ragioni di Stato.
Le forze politiche italiane, sia le governative, sia le opposizioni, insistono per avere nei confronti dell’Egitto un atteggiamento duro fino a richiamare in Italia l’Ambasciatore o addirittura a rompere i rapporti diplomatici. Ma già contro questa ipotesi si sono espressi in tanti in Italia, per via degli enormi interessi economici che abbiamo con l’Egitto e per non perdere un amico alleato nella nostra campagna di normalizzare la Libia.

Il caso Regeni rischia perciò di rimanere un caso insoluto, che per forza di cose finirà per arricchirsi in prosieguo di tempo di storie “egiziane” e “italiane”, che con la realtà delle cose avranno sicuramente poco a che fare. Probabilmente se ne farà un film.

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