Ancora una volta il terrorismo
islamico ha colpito. A Bruxelles, il 22 marzo, all’aeroporto due kamikaze e
alla metropolitana una bomba hanno provocato più di trenta morti e circa
trecento feriti. Ma la ferita più grave, con tutto il rispetto per le povere
vittime, inferta all’Europa, è quella psicologica. Essa continua a inebetire
gli europei, politici e semplici cittadini. E’ spaventoso sentirli ripetere
ogni volta le stesse cose: vogliono farci rinunciare alla nostra civiltà, alle
nostre abitudini, alla nostra vita; e noi, per non dargliela vinta, continuiamo
a fare quello che sempre abbiamo fatto. E poi, politici e opinionisti, che se
la prendono col fascismo! Non riuscendo a capire quel che sta succedendo e non volendo
chiamare le persone coi loro nomi e coi loro predicati, finiscono sempre per
parlare di fascisti e di nazisti.
Che significa continuare a fare
quello che sempre abbiamo fatto? Per noi, comuni cittadini, significa
continuare a lavorare, viaggiare, divertirci frequentando bar, ristoranti,
discoteche, biblioteche, cinema. O, per lo meno, cerchiamo di illuderci di
poter fare tutte queste cose come se nulla fosse accaduto o potesse ancora
accadere.
Per i nostri politici significa
un’altra cosa: continuare ad accogliere islamici e imbottire sempre più le
nostre città di soggetti, non solo e non tanto estranei, ma potenzialmente
ostili e nemici.
Ogni volta che si verifica un
attentato, con morti e feriti, il primo pensiero politico dei nostri governanti
e dei media, che ne riprendono i pensieri e le parole, dopo quello emotivo, che
evidentemente è per le vittime, è per i pacifici islamici che vivono
tranquillamente in Europa ed esprimono loro solidarietà per lo stato d’ambascia
in cui si sentono. Nobili sentimenti! Chi lo nega? Ma qui il discorso è un
altro, tragicamente diverso. Qui è in gioco la sicurezza di milioni di
cittadini, che vivono costantemente a rischio di essere ridotti a brandelli da
un’esplosione improvvisa o falciati da una raffica di mitragliatore.
Ora, invitare i signori del
potere politico a ragionare non serve a niente. Tentò disperatamente qualche
anno fa Oriana Fallaci, incominciando una durissima requisitoria contro l’Islam
subito dopo l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001; e finì per
portarsi nella tomba sia la rabbia che l’orgoglio. Non riuscì semplicemente
perché chi non vuole capire non capisce nemmeno se fosse possibile
trapiantargli chirurgicamente il pensiero.
Ci sono ormai interessi, tanti e
tali, di carattere economico e finanziario, che non è più possibile fare marcia
indietro nel fenomeno della contaminazione islamica nei nostri paesi.
E’ vero: ci sono migliaia e
migliaia di islamici tranquilli, che si sono integrati magnificamente, che
rappresentano delle risorse importanti, sia economiche che culturali; nessuno
può negarlo. Ma la componente umana di una popolazione non è mai statica, è
sempre qualcosa di dinamico, di mutevole, di progressivo ma anche di
regressivo. E’ possibile che ci siano islamici che si convertano al
cristianesimo per completare un processo di piena integrazione. Ma è anche
possibile il contrario. Chi oggi compie gli attentati terroristici contro chi
ha accolto e accudito i loro padri o i loro nonni sono figli di islamici
tranquilli e integrati. Dunque, il problema non è se ci sono o non ci sono
islamici tranquilli e pacifici, ma se i figli o i nipoti di essi possono o meno
regredire alla loro condizione pre-migratoria, al loro essere nemici storici
della civiltà occidentale e cristiana.
Non c’è una risposta teorica
precisa ad una simile domanda. C’è però la constatazione di quanto sta
avvenendo, che non lascia dubbio alcuno. La presenza islamica in Europa è una
minaccia costante, comunque gli islamici si presentino al momento. Essi sono in
potenza dei nemici dell’Europa e del Cristianesimo.
Questo cercava di far capire la
Fallaci a chi, non che non l’avesse già capito, ma faceva finta di non capire,
perché altri erano e altri sono gli interessi degli europei che detengono il
potere in Europa, d’accordo coi loro omologhi americani.
La gente spesso arrabbiata e
inorridita – i movimenti populistici lo dimostrano crescendo in Europa e negli
Stati Uniti d’America – si chiede perché con tutta la potenza militare che
l’Occidente ha non va a fare piazza pulita delle centrali terroristiche di
questo nuovo stato detto del Califfato, non chiude il conto con questi barbari
che minacciano le nostre popolazioni; perché continua ad accoglierli; perché
non avvia un processo di restituzione dei migranti alle terre da dove sono
venuti. C’è dell’ingenuità in domande simili; ma il popolo – si sa – è ingenuo
e diretto.
La risposta è semplice: perché i
nemici non stanno in un posto altro, lontano dai nostri paesi, stanno nelle
nostre stesse città, negli stessi quartieri, pronti a colpirci come hanno fatto
finora. L’Occidente si è legate le mani favorendo l’immigrazione islamica; ora,
non solo non è in condizioni di combattere il nemico, ma addirittura nega di
avere un nemico, circoscrivendolo, quando proprio non può fare a meno di
vederlo, ai quattro terroristi che si fanno saltare in aria insieme a tanti
poveri cittadini ignari di trovarsi in prima linea perfino quando vanno al bar
per prendersi un caffè.
Paradossalmente più kamikaze di
quelli che si fanno saltare per uccidere i nemici della loro civiltà siamo noi.
E incominciamo ad esserlo nel momento in cui li accogliamo nei nostri paesi e
lasciamo a loro la scelta se diventare buoni cristiani o feroci saladini. Non è
una questione di rispetto della legge, come Ernesto Galli della Loggia,
sostiene sul “Corriere della Sera” di sabato, 26 marzo; no, qui la questione è
assai più complessa, si tratta di una religione, di un costume, di una visione
della vita – mi riferisco all’islamismo – che non ha niente a che fare con la
nostra religione, con il nostro costume, con la nostra visione della vita.
L’islamismo è qualcosa che con l’Occidente cristiano ha ben poco a che fare.
Una società in cui coesistono islamici e cristiani è una bomba che da un
momento all’altro può esplodere. Quando in Occidente si arriverà a capirlo,
forse sarà troppo tardi.
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