La legge sulle unioni civili,
ovvero convivenza riconosciuta tra due dello stesso sesso, ha superato lo
scoglio del Senato. Le sarà più agevole superare quello della Camera, dove c’è
una caterva di nominati, peraltro in maniera incostituzionale (lo ha detto la
Consulta), in grandissima quantità disposti a resistere resistere resistere il
più a lungo possibile dove stanno. Per ora è stato stralciato l’art. 5, quello
dell’adozione del figlio biologico del partner, confezionato con l’utero in
prestito, in affitto, in dono o come dir si voglia, la Stepchild adoption. Un figlio, dunque, prodotto di un semilavorato,
dopo una serie di gesti tecnici, dalla masturbazione all’impianto (sorvoliamo
sui dettagli).
E’ solo una frenata provvisoria,
opportuna, perché l’iter parlamentare è viscido e il rischio è una sbandata. Ma
non c’è dubbio alcuno che a quel risultato si arriverà. Basta considerare il
cammino osservato finora a partire dall’introduzione del divorzio ad oggi per
rendersi conto che tutto scorre come l’acqua in pendenza.
Dunque, addio figli di mamma, con quel carico di
significati che l’espressione aveva: di amore, di tenerezza, di pietà.
Un’espressione rigorosamente al femminile. Ricordo quando le donne, di fronte
ad uno che aveva subito una disgrazia o la morte, esclamavano: povero figlio di mamma! Un uomo non la usava
mai, perché non in possesso di tutte quelle doti di cuore di cui le donne una
volta erano esclusive depositarie. Sentire un uomo pronunciarla era come
sospettare che proprio maschio non fosse.
Essere figlio di mamma era una condizione assai più pregnante di quanto la
lettera possa dire. In talune circostanze, l’espressione “siam tutti figli di
mamma” era sinonimica di “siam tutti figli di Dio”. E perché, forse che la mamma
non è creatrice come Dio?
Alla mamma si accompagnavano le
espressioni più belle. Di stupore: mamma
mia! Di dolore: ahi ahi, mamma mia!
Si può avere qualche dubbio su ciò che disse il poeta tedesco Goethe prima di
spirare, se mehr Licht (più luce) o mehr nicht (più niente), ma non c’è
dubbio alcuno che chi è morto in guerra o sul lavoro, in un incidente stradale
o per un’aggressione subita, l’ultimo suo pensiero e le ultime sue parole sono
state per la mamma.
Una canzone di qualche anno fa
del gruppo musicale svedese Abba ha immortalato l’espressione “Mamma mia” e
l’ha fatta conoscere così in italiano in tutto il mondo. Un tormentone, che
però non ci si stanca di ascoltare. Ora i figli di mamma andranno in
estinzione. Si farà una legge per proteggerla? C’è da dubitarne.
Che una certa parte di
parlamentari insistesse per far passare anche l’adozione per pressanti
situazioni venutesi già a creare o che stavano per crearsi, lo dimostra il
fatto che all’indomani del voto al Senato è nato Tobia, figlio di Nichi Vendola
e di Ed Testa, il suo compagno di vita. C’era urgenza, c’era insistenza, c’era
determinazione. Poi hanno capito i giustizieri dei figli di mamma che forse sarebbe stato meglio non compromettere il
risultato raggiunto delle coppie civili: meglio oggi la gallina, che ci potrà
dare domani anche l’uovo. Ma è del tutto evidente che si trattava di approvare
una legge ad personas; mica persone
così, no importanti, perché Vendola sarà pure comunista ma ha capito che il
siam tutti uguali non esiste e non esisterà mai.
Di mamma – altra espressione
proverbiale – ce n’è una sola. Quando ce ne sono due vuol dire che la mamma
vera non c’è. Si è detto in questi turpi tempi di confusione che è molto meglio
che un bimbo abbia due madri o due padri in serenità di crescita che un padre e
una madre nel disordine e nell’inferno quotidiano di litigi e di tragedie. E’
meglio? Non so. Se tutto l’orizzonte dell’esistenza si contiene nel crescere
senza gridate, minacce e violenze, evidentemente sì, è meglio stare con due
madri o con due padri in tranquillità come bruchi sotto i cavoli. Ma non è
così. Premesso che perfino due madri o due padri possono ad un certo punto
litigare e rompersi i piatti in testa, separarsi e rimettersi con altri, avere
un padre e una madre è un valore unico, che non può essere surrogato da nessuna
altra condizione. Si è anche detto che è meglio che un bambino cresca con due
padri o con due madri anziché stare in un orfanotrofio. Anche qui, occorre
essere chiari. I bambini dell’orfanotrofio possono essere adottati da coppie
eterosessuali. Qual è il problema? Magari esemplificando le adozioni, che oggi
comportano difficoltà burocratiche incredibili. Da che mondo è mondo questo è
avvenuto, e non ci sono stati né traumi né tragedie. Ma darli in adozione a
coppie dello stesso sesso è una condanna per i bambini, dagli esiti
imprevedibili.
Oggi un omosessuale può dire: io
ho il diritto di avere un figlio. Lo si può capire anche se con qualche
difficoltà. Ma se domani il bambino, ad una certa età, chiede di volere la
mamma, che gli si risponde? Non ha più ragione il bambino di volere una mamma e
un papà che una coppia di omosessuali di volere un figlio? E perché certi
diritti non sono erga omnes?
Chi sostiene la trasformazione
antropologica della società nella direzione dell’omosessualità punta ad avere
dalla sua parte il tempo. Pensa: tra una generazione o al massimo due i giovani
neppure ricorderanno i tempi della mamma e del papà e per loro sarà normale
avere due madri o due padri; gli altri si saranno abituati. A quel punto gli
anormali, probabilmente anche da discriminare, saranno quelli che fino ad oggi
sono stati i normali.
Già oggi sono pochi ad avere il
coraggio di difendere le proprie idee in materia; i più se ne stanno zitti per
non dispiacere o per paura di poter essere personalmente coinvolti, non si sa
mai. Mentre dappertutto i gay possono fare liberamente e festosamente le loro
sfilate, chi manifesta per la famiglia tradizionale viene aggredito ed
insultato. Lo spirito del tempo è la forza di questa gente. Può essere che si
andrà fatalisticamente fino in fondo sulla strada intrapresa. Ma può essere
anche che a qualcuno torni imperioso il desiderio della mamma. Allora forse il
“voglio la mamma” diventerà un grido di battaglia.
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