La preoccupazione che anche
questo referendum, cosiddetto delle trivelle (17 aprile 2016), finisse come
quello sull’acqua del 2011 c’era. Allora si raggiunse e si superò il quorum,
anche se poi l’acqua, di riffa o di raffa, è andata a finire in parte in mano
ai privati, che era quanto il referendum voleva impedire. La si avvertiva man
mano che personaggi importanti, come i presidenti di alte e altissime
istituzioni, compreso l’ex Presidente emerito della Repubblica Napolitano, si
scomodavano a pronunciarsi sull’opportunità di andare a votare o sulla
legittimità di non andare.
D’altra parte per votare
l’abrogazione della norma che legittima lo sfruttamento dei giacimenti di
petrolio e di gas esistenti entro le acque territoriali fino al loro
esaurimento si erano pronunciati in molti: le nove regioni che avevano chiesto
il referendum, pur con qualche successiva defezione (l’Abruzzo, per esempio),
il Movimento 5 Stelle, Forza Italia, una parte del Pd, i socialisti nonostante
Nencini, associazioni ambientaliste, vescovi. C’era obiettivamente di che
preoccuparsi o di che sperare, a seconda dei punti di vista.
Il risultato, poco più del 32 %
di votanti, è che il quorum non è stato raggiunto; assai al di sotto di paure e
aspettative. E consideriamo che non tutti i votanti hanno detto SI, il 14 % ha
detto NO.
Cosa è accaduto? Si potrebbero
dare due risposte immediate. La prima è che in effetti il referendum era una
follia pura dopo che la questione delle prospezioni e trivellazioni in acque
territoriali erano vietate con la Legge di Stabilità del dicembre 2015. La
seconda è che quella che sembrava l’invincibile
armada referendaria si è dissolta come nebbia. L’impegno del Movimento 5
Stelle per la morte di Casaleggio è stato un po’ distratto dal referendum. I
vescovi e non pochi enti e circoli della società civile sono venuti meno quando
si sono accorti che la partita era stata caricata dai referendari di valenze
politiche precise, contro il governo. In campo sono rimasti i soliti
instancabili ambientalisti e i sinistri senza se e senza ma di Rifondazione,
dei centri sociali, di Sel e via sinistreggiando. Troppo poco per far
raggiungere comunque un risultato significativo. I 14 milioni di contrari alle
trivelle sventolato da Emiliano e i 16 da Brunetta – si riferivano agli stessi
– sono le classiche risposte di chi non vuole darla a vedere di aver perso; e
perso male per giunta.
Non so se altrove di uno che
riesce a spuntarla con più avversari si dice che se li mette nel taschino; beh,
dispiace doverlo ammettere: ancora una volta Renzi se li è messi tutti nel
taschino. Sembra proprio che ci sia una forza occulta che guidi i suoi
avversari a comportarsi in modo tale da finire bastonati, regolarmente, da lui.
Il Referendum tuttavia ha
dimostrato – ma serve ad un ciuco che non vuol sentire? – che è sbagliato
puntare sul referendum quando non c’è una ragione forte e sentita dal popolo;
sbagliatissimo quando si carica il referendum di significati impropri e
truffaldini; risibile quando per convincere a votare in un certo modo si portano
argomentazioni tanto ingannevoli quanto pedestri. Nel Referendum del 17 aprile
molti elettori sarebbero andati a votare e avrebbero votato senz’altro SI se
avessero avuto chiaro il fine e chiare le ricadute dell’esito. Invece i
referendari hanno prospettato scenari apocalittici, del tutto fantasiosi e
comunque lontanissimi dal verificarsi. Più concreti i sostenitori del NO
all’abrogazione, i quali hanno detto che se non proprio nell’immediato ci
sarebbe stata la perdita di posti di lavoro nell’ordine di diverse migliaia,
oltre al bisogno del gas e del petrolio che non avremmo avuto dai nostri
giacimenti.
Anche la cosiddetta trivellopoli
per il noto scandalo del petrolio della Basilicata si è rivelata a chi ragiona
sui fatti un pretesto, anche questo puerile. Che si fa, non si pianta un albero
perché i ladri possono rubare i frutti? Non si estrae più petrolio perché ci
sono i corruttori e i corrotti che ne approfittano per arricchirsi? Via, siamo
al XXI secolo e si cerca di carpire un voto ad un referendum con simili
patacche?
Questa tornata è stata vinta da
Renzi; è perfino di cattivo gusto dirlo. La vera partita si giocherà a ottobre
col referendum confermativo sulla riforma costituzionale. Allora non ci sarà bisogno
del quorum e sarà un confronto all’ultimo voto. Allora sì che Renzi corre il
serio pericolo di dover lasciare, per suo stesso impegno d’onore. Ma,
attenzione, se i suoi avversari sono quelli visti finora, “rischia” di doversi
dotare di una bisaccia; il taschino non bastando.
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