domenica 15 novembre 2015

Le stragi di Parigi e il suicidio dell'Europa


Prepariamoci i fazzoletti per le nostre lacrime, le garze per fasciare le nostre ferite, le casse per chiudere i nostri corpi martoriati. Prima o poi i terroristi dell’Isis colpiranno anche l’Italia. E’ tutto nell’ordine delle cose. Siamo su un piano inclinato, senza guide e senza freni. Siamo un paese simbolo. E se pure stiamo bene attenti a non abbandonarci ad imprudenze di tipo militare, alla Hollande o alla Cameron, non possiamo tirarci fuori da un sistema politico di cui facciamo parte integrante.  
A Parigi il terrorismo islamico, che alcuni negano o minimizzano, su cui c’è gente che fa della satira e dell’ironia – per sdrammatizzare, si dice – la sera di venerdì, 13 novembre 2015, ha mostrato il volto più protervo e micidiale: ha provocato in attacchi simultanei in punti diversi, circa centotrenta morti, più di trecentocinquanta feriti, alcuni molto gravi. Questa è guerra!
Non una bomba, collocata silenziosamente e di nascosto in un angolo buio di una sala d’attesa di una stazione o di un aeroporto, no: bombe, spari e grida che Allah è grande. Scene che ricordano l’arrivo di pistoleri a cavallo in certi film western di quando eravamo bambini tra grida e spari per terrorizzare gli abitanti.
Hanno colpito i luoghi dello svago occidentale: i ristoranti, lo stadio, il teatro-dancing, i simboli del nostro costume di uomini liberi e spensierati. Hanno voluto far sapere, questi nuovi guerrieri della notte, che la colpa era di Hollande per aver autorizzato i bombardamenti in Siria. Hanno detto che ora tocca all’America, all’Inghilterra, all’Italia. E c’è bisogno che ce lo dicano?
E noi? Noi abbiamo risposto con le solite geremiadi, mentre le nostre navi continuano a stare nel Mediterraneo a raccogliere altri migranti. E questo che c’entra? penserà qualcuno. C’entra, c’entra, perché tra quei migranti potrebbero esserci dei terroristi; e se pure non ce ne fossero al presente potrebbero esserci in futuro. La storia di questi ultimi anni ha dimostrato che ci saranno. I terroristi di oggi sono figli o nipoti dei migranti di ieri. I terroristi di domani sono i migranti di oggi.
Guai a dire che è in atto una guerra di civiltà! Faremmo loro un favore! E poi, che guerre di civiltà? Che pericolo possono portare tante donne, tanti bambini, tante persone affamate, infreddolite, mezzomorte? Sono tutte brave persone, innocue, che di qui a qualche anno saranno la salvezza della nostra economia. Che tra quella gente si possa nascondere il germe futuro del terrorismo neppure a pensarlo. Una volta bastava la favolistica o la saggezza antica a metterci in guardia da certi pericoli. Un contadino raccoglie una vipera mezzomorta per il freddo, la riscalda e la rianima e quella per prima cosa lo morde e lo uccide: vipera agricolae beneficium maleficio rependit. Il solito latinorum, penserà qualcuno. Ebbene sì! Serve per capire che quanto sta accadendo da una ventina di anni a questa parte in Occidente e nell’Europa è la prova del fallimento di un modello politico e sociale basato sull’ottimismo illuminista, cristiano e democratico: lo stato multietnico.
Ce ne siamo resi conto ormai; ma possiamo fare ben poco. Il nostro sistema economico, fondato sulla produzione e sul consumo, non può finire. Il tasso di crescita demografico in Europa è zero; abbiamo bisogno di lavoratori/consumatori per alimentare la produzione. Se non è possibile averne di nascita indigena, prendiamoli dall’Africa, dall’Asia. Non è importante che siano cristiani, che siano bianchi, purché abbiano braccia per lavorare e stomaco per consumare. Un po’ come il gatto di Deng Xiaoping: non importa il colore, l’importante che acchiappi il topo. Se poi tra mille immigrati consumatori ce ne saranno dieci, venti, trenta che saranno sollecitati dal loro richiamo identitario, pazienza! Ogni cosa ha un costo! Non si può fermare la storia.
Siamo giunti ormai – i segnali ci sono tutti – alla fine di una stagione, di una grande stagione: quella della democrazia. Abbiamo conosciuto l’assolutismo e le sue degenerazioni, la chiesa e le sue degenerazioni, il liberismo e le sue degenerazioni, il comunismo e le sue degenerazioni, il fascismo e le sue degenerazioni; siamo alle degenerazioni della democrazia. Sono in essere tutte le sue debolezze, le sue incertezze, le sue impotenze, le sue contraddizioni. Essa produce in ossequio alla sua ideologia i pericoli dai quali non sa poi difendersi se non negando se stessa. L’insistere a dire che non è una guerra di civiltà la dice lunga sulla sua condizione di saper valutare la realtà delle cose. Non vuole ammettere per non essere costretta ad accettare o la resa o la negazione di se stessa.
A Parigi, l’altra sera, è apparso chiaramente che ormai è in corso il suicidio dell’Europa civile e democratica. La stessa che per settant’anni ha vissuto all’insegna della lotta ad ogni forma di chiusura e di oppressione, all’insegna dei diritti umani senza distinzione alcuna, certa che la strada del benessere deve essere assicurata a tutti senza minimamente pensare a contropartite, a rischi, a regressioni. L’Europa, oggi nel mirino del terrorismo islamico, è una povera malata che crede di star bene e che per difendere il suo stato di benessere non ha alcun bisogno di scomodarsi minimamente. Chi la colpisce è qualche ingrato, qualche malvagio isolato che si può fermare con i normali strumenti di polizia; qualche pazzo che non può essere confuso con fedi religiose, con iddii, tutti peraltro ritenuti legittimi.
Non per nulla c’è stato chi alla televisione ha suggerito a tutti di uscire di casa, di andare nei bar, nei ristoranti, negli stadi, a ballare, a mangiare, a divertirsi, come se nulla fosse, perché dimostrare di aver paura, standosene chiusi in casa, vorrebbe dire ai terroristi dell’Isis che hanno vinto loro.

Già, proprio così: agli atti di guerra rispondiamo con atti di svago. Che la gente muore, è solo un piccolo insignificante dettaglio.

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