Prepariamoci i fazzoletti per le
nostre lacrime, le garze per fasciare le nostre ferite, le casse per chiudere i
nostri corpi martoriati. Prima o poi i terroristi dell’Isis colpiranno anche
l’Italia. E’ tutto nell’ordine delle cose. Siamo su un piano inclinato, senza
guide e senza freni. Siamo un paese simbolo. E se pure stiamo bene attenti a
non abbandonarci ad imprudenze di tipo militare, alla Hollande o alla Cameron,
non possiamo tirarci fuori da un sistema politico di cui facciamo parte
integrante.
A Parigi il terrorismo islamico,
che alcuni negano o minimizzano, su cui c’è gente che fa della satira e
dell’ironia – per sdrammatizzare, si dice – la sera di venerdì, 13 novembre 2015, ha mostrato il volto
più protervo e micidiale: ha provocato in attacchi simultanei in punti diversi,
circa centotrenta morti, più di trecentocinquanta feriti, alcuni molto gravi.
Questa è guerra!
Non una bomba, collocata
silenziosamente e di nascosto in un angolo buio di una sala d’attesa di una
stazione o di un aeroporto, no: bombe, spari e grida che Allah è grande. Scene
che ricordano l’arrivo di pistoleri a cavallo in certi film western di quando
eravamo bambini tra grida e spari per terrorizzare gli abitanti.
Hanno colpito i luoghi dello
svago occidentale: i ristoranti, lo stadio, il teatro-dancing, i simboli del
nostro costume di uomini liberi e spensierati. Hanno voluto far sapere, questi
nuovi guerrieri della notte, che la colpa era di Hollande per aver autorizzato
i bombardamenti in Siria. Hanno detto che ora tocca all’America,
all’Inghilterra, all’Italia. E c’è bisogno che ce lo dicano?
E noi? Noi abbiamo risposto con
le solite geremiadi, mentre le nostre navi continuano a stare nel Mediterraneo
a raccogliere altri migranti. E questo che c’entra? penserà qualcuno. C’entra,
c’entra, perché tra quei migranti potrebbero esserci dei terroristi; e se pure
non ce ne fossero al presente potrebbero esserci in futuro. La storia di questi
ultimi anni ha dimostrato che ci saranno. I terroristi di oggi sono figli o
nipoti dei migranti di ieri. I terroristi di domani sono i migranti di oggi.
Guai a dire che è in atto una
guerra di civiltà! Faremmo loro un favore! E poi, che guerre di civiltà? Che
pericolo possono portare tante donne, tanti bambini, tante persone affamate,
infreddolite, mezzomorte? Sono tutte brave persone, innocue, che di qui a
qualche anno saranno la salvezza della nostra economia. Che tra quella gente si
possa nascondere il germe futuro del terrorismo neppure a pensarlo. Una volta
bastava la favolistica o la saggezza antica a metterci in guardia da certi
pericoli. Un contadino raccoglie una vipera mezzomorta per il freddo, la
riscalda e la rianima e quella per prima cosa lo morde e lo uccide: vipera agricolae beneficium maleficio
rependit. Il solito latinorum, penserà qualcuno. Ebbene sì! Serve per
capire che quanto sta accadendo da una ventina di anni a questa parte in
Occidente e nell’Europa è la prova del fallimento di un modello politico e
sociale basato sull’ottimismo illuminista, cristiano e democratico: lo stato
multietnico.
Ce ne siamo resi conto ormai; ma
possiamo fare ben poco. Il nostro sistema economico, fondato sulla produzione e
sul consumo, non può finire. Il tasso di crescita demografico in Europa è zero;
abbiamo bisogno di lavoratori/consumatori per alimentare la produzione. Se non
è possibile averne di nascita indigena, prendiamoli dall’Africa, dall’Asia. Non
è importante che siano cristiani, che siano bianchi, purché abbiano braccia per
lavorare e stomaco per consumare. Un po’ come il gatto di Deng Xiaoping: non
importa il colore, l’importante che acchiappi il topo. Se poi tra mille
immigrati consumatori ce ne saranno dieci, venti, trenta che saranno
sollecitati dal loro richiamo identitario, pazienza! Ogni cosa ha un costo! Non
si può fermare la storia.
Siamo giunti ormai – i segnali ci
sono tutti – alla fine di una stagione, di una grande stagione: quella della
democrazia. Abbiamo conosciuto l’assolutismo e le sue degenerazioni, la chiesa
e le sue degenerazioni, il liberismo e le sue degenerazioni, il comunismo e le
sue degenerazioni, il fascismo e le sue degenerazioni; siamo alle degenerazioni
della democrazia. Sono in essere tutte le sue debolezze, le sue incertezze, le
sue impotenze, le sue contraddizioni. Essa produce in ossequio alla sua
ideologia i pericoli dai quali non sa poi difendersi se non negando se stessa.
L’insistere a dire che non è una guerra di civiltà la dice lunga sulla sua
condizione di saper valutare la realtà delle cose. Non vuole ammettere per non
essere costretta ad accettare o la resa o la negazione di se stessa.
A Parigi, l’altra sera, è apparso
chiaramente che ormai è in corso il suicidio dell’Europa civile e democratica.
La stessa che per settant’anni ha vissuto all’insegna della lotta ad ogni forma
di chiusura e di oppressione, all’insegna dei diritti umani senza distinzione
alcuna, certa che la strada del benessere deve essere assicurata a tutti senza
minimamente pensare a contropartite, a rischi, a regressioni. L’Europa, oggi
nel mirino del terrorismo islamico, è una povera malata che crede di star bene
e che per difendere il suo stato di benessere non ha alcun bisogno di
scomodarsi minimamente. Chi la colpisce è qualche ingrato, qualche malvagio
isolato che si può fermare con i normali strumenti di polizia; qualche pazzo
che non può essere confuso con fedi religiose, con iddii, tutti peraltro ritenuti
legittimi.
Non per nulla c’è stato chi alla
televisione ha suggerito a tutti di uscire di casa, di andare nei bar, nei
ristoranti, negli stadi, a ballare, a mangiare, a divertirsi, come se nulla
fosse, perché dimostrare di aver paura, standosene chiusi in casa, vorrebbe
dire ai terroristi dell’Isis che hanno vinto loro.
Già, proprio così: agli atti di
guerra rispondiamo con atti di svago. Che la gente muore, è solo un piccolo
insignificante dettaglio.
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