domenica 31 maggio 2015

Nozze gay: la società paccottiglia


C’è un nesso tra la dichiarazione di papa Francesco sui gay “chi sono io per giudicare?”, che a me sembra il massimo dell’ignavia, e la vittoria delle nozze gay in Irlanda di domenica 24 maggio? Un po’ sì e un po’ no. Un po’ sì, perché se il Papa è il vicario di Cristo sulla terra, vuol dire che, imitando Pilato, una vecchia conoscenza di Cristo, è come se avesse detto la questione non è di mia competenza e dunque “mi lavo le mani”. Un po’ no, perché il Papa oggi può dire quello che vuole, di lui la gente, a parte turisti domenicali a San Pietro e pinzochere abituali, se ne frega.   
Il voto irlandese, proprio nella domenica di Pentecoste, sembra essere disceso con lo Spirito Santo sulla terra. Il Segretario di Stato Pietro Parolin si è detto molto triste, aggiungendo “è stato una sconfitta per l’umanità”. Non è dello stesso avviso il cardinale Walter Kasper, che nelle alte gerarchie ecclesiastiche e nelle sfere teologiche rappresenta il concessionario di tutto, ha detto che “la Chiesa ha taciuto troppo” e che “bisogna discuterne”.
Paradossalmente, rispetto a come la penso nel merito, credo che abbia ragione Kasper. Concedere l’assenso alle nozze gay fa parte dell’umanità, non mi sembra una sua sconfitta, anche se lo ritengo nel disordine delle cose. Kasper, invece, ha detto bene: la Chiesa finora ha taciuto, deve discuterne. La discussione, diversamente dalla dottrina Renzi – chiedo scusa per aver mischiato il sacro col profano – contiene sempre qualche concessione. Vedremo presto come la Chiesa saprà adeguarsi alla società deregolarizzata, dove tutto è consentito e l’ordine non è né punto di partenza né di transito né punto d’arrivo.
Detto questo, esprimo sommessamente il mio punto di vista. Esso si articola in due momenti diversi.
Primo. La realtà vuole che ci siano i gay, i quali hanno tutti i diritti riconosciuti e concessi ad ogni individuo, non solo perché così vogliono il diritto positivo e il diritto naturale, ma anche per una forma di sincero rispetto dell’altro, starei per dire evangelico, quale che sia la sua dimensione corporea e spirituale. Se dovessimo accettare o meno l’altro per la sua pelle, per la sua statura, per le sue opinioni, staremmo freschi, torneremmo al punto zero della società. Anzi, a quel punto non potremmo neppure parlare di società, perché essa si caratterizza per essere un “luogo” dove c’è posto per tutti.
Secondo. Qui occorre mettersi d’accordo: vogliamo accettare la realtà nel suo stato di natura, la qual cosa sarebbe assurda e irrealizzabile, non potendo azzerare diecimila anni di storia, o vogliamo ordinarla secondo i suoi stessi principi (juxta propria principia) formula che rimanda per lettura epistemologica a Bernardino Telesio? Mi spiego: come si riconosce alla natura avere dei suoi principi in base ai quali spiegarla così va riconosciuto alla società avere i suoi principi in base ai quali ordinarla. E’ di tutta evidenza che mentre la natura può essere solo spiegata, ma non ordinata, poiché essa ha un suo ordine immutabile, la società deve essere necessariamente ordinata in base a mutevoli situazioni. Dunque, la seconda che ho detto: la società va ordinata; senza ordine non c’è società.
Oggi – lo vediamo tutti – i gay rappresentano un movimento emergente; essi perciò vogliono tutto ciò che la società (la legge viene dopo: res facit legem) concede ad ogni individuo. Sposarsi tra di loro, adottare bambini, accedere in tutto e per tutto al diritto di famiglia, eredità di beni e reversibilità di pensione comprese. Fin qui il ragionamento è matematico. I gay ci sono, in quanto individui hanno tutti i diritti, dunque se ogni individuo ha diritto di sposarsi con chi vuole, col permesso di Aristotile e della logica, essi possono sposarsi tra di loro. La Chiesa che c’entra? Già, chi è la Chiesa? verrebbe di dire con papa Francesco. Chi è la Chiesa per dire che è una sconfitta per l’umanità?
Discorso chiuso, allora? No, c’è sempre la società, il contenitore all’interno del quale s’inserisce la questione dei gay e pone una domanda: come s’immagina una società con i gay ai quali si concede tutto quello che si concede agli individui?
Non è il caso di scomodare formule abusate: società aperta (Popper) o società liquida (Bauman), con le quali si potrebbe pure stabilire un nesso, perché sia l’una che l’altra non escludono la regolarizzazione della società, pur con tantissime difficoltà sopraggiunte col moderno e soprattutto col post-moderno.
Qui non si tratta di ragionar per anni, ma per visioni di vita temporali sebbene a lunghissima prospettiva. Due, perciò, le ipotesi avveniristiche.
Prima. In una simile società i gay aumenterebbero vertiginosamente, dato che essi non sono tali solo per strutturazione fisica ma anche per condizione morale e per scelta. Se prima sono stati contenuti nel numero è perché sono stati socialmente repressi. La società del futuro sarebbe una società sempre più gayzzata, con la famiglia disintegrata, con le figure di padre e madre vaporizzate, con figli di nessuno, prodotti in tantissimi modi che la scienza provvederebbe a trovare. Sarebbe una società “paccottiglia”, in cui i diversi sarebbero proprio quelli che prima erano i normali. Essi potrebbero essere addirittura perseguitati e repressi, in una sorta di rivoluzione antropomorfica.
Seconda. La società potrebbe sviluppare degli anticorpi sociali capaci di difendersi e addirittura giungere ad una reazione fagocitando tutto ciò che nella società è fattore di disordine e ristabilire l’ordine compromesso, proprio come i fagociti nel sangue.

Ci sarebbe una terza ipotesi, più presentista. Sarebbe quella di vedere tutti recuperare il senso dell’equilibrio e della responsabilità, incominciando da papa Francesco, il quale dovrebbe smettere di fare il segretario dell’Onu aggiunto, “pensando a Cui somiglia”, che non è Ban Ki moon, ma Gesù Cristo. A proposito di “Pentecoste”, grazie a don Lisander!

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