domenica 26 aprile 2015

Renzi consente di capire gli italiani e il fascismo


Su analogie caratteriali tra Matteo Renzi e Benito Mussolini si discute da tempo, qualche volta solo per il gusto di esagerare e mettere in cattiva luce l’ex sindaco di Firenze. Il primo a parlarne seriamente fu Piero Ostellino sul “Corriere della Sera” finché la proprietà non decise di allontanarlo a causa del suo insistito e qualche volta greve antirenzismo. Poi l’accostamento di certi modi di fare di Renzi a quelli del Duce lo hanno fatto altri, in un crescendo di modi. Oggi è di dominio pubblico, dopo che i vignettisti e i comici l’hanno volgarizzato e ridotto a barzelletta, scaduto di tono ma non di efficacia. La satira – si sa – ha la capacità di arrivare diritta al punto. Ricordiamo le vignette di Forattini su Craxi in camicia nera e stivaloni, che alla fine resero simpatico il leader socialista; e quelle su D’Alema, raffigurato sempre da Forattini in divisa in un misto di sovietismo e nazismo, che ebbero però l’effetto di renderlo popolarmente antipatico.
Personalmente non credo che si possano fare analogie del genere. Si possono capire ma non condividere. Mussolini era un uomo, un’epoca, un fatto; Matteo Renzi è un altro uomo, un’altra epoca, un altro fatto. Si può scherzare, fare qualche battuta; nulla di più.
Ciò nondimeno l’evocazione di Mussolini e del fascismo per capire Renzi e il renzismo è importante per qualche riflessione più seria. 
Quel che a tutt’oggi non è stato ancora detto – non so se neppure pensato – è che il consenso di cui gode oggi Matteo Renzi, a livello di pubblici dirigenti, elettorato, media, consente di leggere in modo diverso il consenso che ai suoi dì ebbero Benito Mussolini e il fascismo. L’idea che è passata come verità è che Mussolini conquistò il potere dopo un periodo di violenze nel Paese e lo mantenne col bastone e con la carota, con un efficiente apparato poliziesco che utilizzava leggi repressive fatte ad hoc, e con delle promozioni a tutti i livelli, in una visione organicistica dello Stato. Chi dissentiva, nel migliore dei casi, non veniva promosso, nel peggiore subiva pene che potevano essere gravi (il carcere) e meno gravi (l’emarginazione sociale o il confino di polizia). In un quadro simile si può capire il grande consenso che ebbe.
Oggi, in Italia, non c’è nulla che somigli né al bastone né alla carota mussoliniani; e tuttavia Renzi gode dello stesso consenso, anzi di un consenso ben maggiore e ben migliore. Renzi non è stato nemmeno eletto; è capo del governo in quanto segretario di un partito (il Pd) che non ha neppure vinto le elezioni; si regge in Parlamento con un numero di deputati e senatori che la Corte Costituzionale, bocciando la legge elettorale con cui sono stati eletti, li ha “condannati” come illegittimi.  Se confronto si può fare – ma, a mio avviso, non si può – forse la posizione di Mussolini appare perfino più legittima di quella di Renzi.
Dato per scontato che i due restano diversi e che diversi sono i tempi, possiamo trovare però quel che unisce i due uomini e i due tempi nell’anello comune, che è il popolo italiano; soprattutto la sua attitudine ad adeguarsi alle più assurde trasformazioni.
Fino a qualche anno fa – ma sembra un tempo lontanissimo – la classe dirigente di sinistra godeva nel paese di una sorta di reputazione privilegiata. Piaceva l’uomo di sinistra per il suo rispetto del ruolo, delle regole, degli alleati, non sempre degli avversari, in una parola piaceva la sua eticità. Campioni di questa eticità erano gli Scalfari, i Prodi, i Veltroni, i Bersani, le Bindi, i Moretti (Nanni), gli Zagrebelsky e via elencando politici, magistrati, giornalisti, scrittori, artisti, professori. A questi signori venivano associati certi esponenti della curia, alti cardinali, un nome per tutti: il Cardinal Martini. Per cui si era formato un ceto politico-religioso-intellettuale che faceva dell’etica la sua cifra identitaria. Per certi aspetti, fermo restando il nucleo centrale di sinistra, l’involucro etico appariva di destra, di quella destra tante volte evocata da Indro Montanelli.
Dove sono andati a finire i superdemocratici di una volta, quelle personalità autorevolissime che facevano la differenza etica con quelli di destra, piuttosto pragmatici, un po’ cialtroni, un po’ maneggioni, spicci e strafottenti?
Neiges d’antan, si potrebbe dire con Villon. Bersani, la Bindi ed altri otto, solo perché non d’accordo con la legge elettorale che Renzi vuole far approvare, sono stati rimossi dalle relative commissioni parlamentari, come pupazzetti di nessun conto. E chi fino a qualche tempo fa li considerava esseri quasi superiori, comunque signori di etica, non dice nulla? Non solo tace, ma addirittura parla in favore di Renzi e dice che lo ha fatto per la democrazia, che è normale rimuovere tutti gli ostacoli posti nel percorso democratico. Proprio così, i dieci sostituiti nelle commissioni sono stati ridotti a pietre di scarto da togliere dalla strada delle riforme. Questa trasformazione culturale del popolo di sinistra spaventa. Dico spaventa non perché io mi spaventi o mi sorprenda; dico spaventa per usare un lessico in uso in un mondo a me per dire la verità estraneo. Ma certamente lascia pensare. Se oggi, pur potendo dissentire, pur potendo gridare il proprio sdegno per certe metodiche chiaramente illiberali e antidemocratiche, la coscienza civica ed etica tace, come non sospettare che il fascismo fu possibile non per le pratiche fasciste, di bastone e carota, ma solo perché c’era un popolo naturalmente portato a stare con la parte che in quel momento era vincente?     

Qualche sera fa su Rai Tre, in un programma in cui si rievocavano i tempi del fascismo e del nazismo, Paolo Mieli, oggi il papa laico di ogni funzione politico-culturale, disse al conduttore con molto poca riflessione: se invece della democrazia avesse vinto il nazifascismo noi due non saremmo qui a parlare di queste cose. No, caro Mieli, ho il sospetto che tu e il conduttore, se avesse vinto il nazifascismo, sareste stati lo stesso lì in televisione a parlare, magari per dire cose diverse da quelle che dicevate. Renzi non è Mussolini, ma gli italiani di oggi sono esattamente gli italiani di allora. Ci piaccia o non ci piaccia!

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