giovedì 2 aprile 2015

Coraggio D'Alema, omnia immunda immundis


L’ennesimo coinvolgimento illustre in intercettazioni telefoniche fa un po’ ridere, pensando – mi si consenta la battuta scontata – che tutto in Italia finisce a tarallucci e vino, pardon, a D’Alema e vino o al vino di D’Alema. Questa vicenda, infatti, ha risvolti comici, li ha perfino in un paese in cui si sguazza nella corruzione e si ride di tutto e di tutti.
Nell’inchiesta giudiziaria sull’ex sindaco di Ischia, Giuseppe Ferrandino del Pd, e sulla Coop. Cpl Concordia – questa parola porta davvero male! – è venuto fuori che a beneficiare degli abituali traffici del “do ut des”, base di ogni scambio e corruzione, è stato anche l’ex presidente del consiglio Massimo D’Alema, nella duplice veste di presidente della fondazione “Italianieuropei”, che pubblica una rivista e libri, e di produttore di vini di qualità. La Coop in oggetto avrebbe acquistato, infatti, da D’Alema una certa quantità di libri, a scopo finanziamento, e duemila bottiglie di vino per ottantasettemila euro.
Ora, siamo seri. D’Alema, da anni fuori dalla politica politicante, anche se continua meritoriamente a militare nel Pd, peraltro in posizione scomoda, continua in parallelo a fare cultura politica in maniera egregia. Lo si può dire senza essere necessariamente della sua parte politica. Nello stesso tempo aiuta la moglie a produrre e a vendere vini di qualità dell’azienda di famiglia La Madeleine. Che c’è di male in tutto questo? Aggiungo: che c’è di male se libri e vino vengono anche venduti ad una cooperativa con la quale in passato D’Alema ha avuto rapporti inerenti la sua attività politica? Il fatto in se stesso è assolutamente privo di elementi “patologici”, come ormai si dice in gergo. Verrebbe di esclamare manzonianamente omnia munda mundis; ma in Italia ormai è più facile dire il contrario omnia immunda immundis.
A tirar dentro la faccenda c’è un intercettato, tale Verrini, che dice al dirigente della Coop. Cpl Concordia Francesco Simone, riferendosi alle fondazioni da finanziare, tra cui “Italianieuropei”, «queste persone poi, quando è ora, le mani nella merda ce le mettono o no?», dando ad intendere che il favore del finanziamento fosse condizione per un favore di ritorno. Il linguaggio coprolalico rivela chiaramente che di favori sporchi si trattava.
E’ giusto a questo punto che la magistratura faccia le sue indagini e verifichi la natura di questi rapporti; non è giusto che dalle parole intercettate si giunga senz’altro ad esporre a ludibrio mediatico le persone coinvolte. Su questo tutti dovrebbero essere d’accordo. E noi esprimiamo solidarietà a tutti i malcapitati.
D’Alema, nella sua intervista al “Corriere della Sera” di mercoledì, 1 aprile, ha ammesso di aver venduto alla suddetta cooperativa libri e vino; e allora? Come fa una fondazione culturale a mantenersi se non attraverso i prodotti del suo esercizio, tra cui la scrittura, la stampa e la vendita della rivista e dei libri? Come fa un’azienda produttrice di vini a mantenersi e a crescere senza poter vendere il prodotto? Domande per alunni ritardati.
Fermo restando che gli sviluppi dell’inchiesta potranno far emergere altre cose, che oggi non conosciamo, allo stato dei fatti risulta che l’attività politica ed economica di una persona viene criminalizzata solo perché questa persona ha un nome importante, spendibile nella rappresentazione teatrale diretta, che tanto indigna e sotto sotto appassiona gli italiani.  
All’osservazione del giornalista Bianconi che la sua vicenda richiama quella dell’ex ministro Lupi, l’ex presidente del consiglio D’Alema ha risposto che ci sono delle differenze in quanto Lupi era un ministro in carica a contatto rischioso con aziende che facevano affari col suo ministero e lui invece un privato cittadino. Premesso che sul privato cittadino ci sarebbe da obiettare, perché uno come lui, dopo tanto reo tempo, non può mai invocare simile condizione, le due vicende si sovrappongono limitatamente alla pubblicazione delle intercettazioni, che è poi ciò che D’Alema contesta alla magistratura: «Non c’era alcuna necessità di utilizzare intercettazioni fra terze persone, senza valore probatorio, dove si parla di me de relato».
Allora emerge un altro aspetto della questione “intercettazioni” ed è che ognuno si para il proprio culo, per dirla volgare volgare, ma efficace efficace, e mentre tace quando a rischio è il culo degli altri, si butta le mani per coprirsi il suo quando tocca a lui. Invece sarebbe più giusto e credibile che tutti i politici decidessero una buona volta di approvare una legge che regoli finalmente la pubblicazione delle intercettazioni.  
Dopo tutto le intercettazioni sono incostituzionali (art. 15) e si giustificano nell’emergenza di combattere il crimine. Ora, si può anche capire che, come dicono i francesi, à la guerre comme à la guerre, e che stanti le guerre contro la criminalità organizzata, la corruzione e il terrorismo, si debba fare necessario ricorso alle intercettazioni; non si può tollerare che se ne faccia un uso improprio.
Che i politici come i cornuti se la godano quando tocca ad altri e si dolgano quando tocca a sé lo dimostra il fatto che ricorrono a tanti distinguo, come a dire per gli altri è ammissibile, per sé no. Lungi dal considerare l’hodie mihi cras tibi (oggi a me domani a te) essi sperano sempre che a loro non tocchi mai e si guardano bene dal fare una legge che regoli per tutti una materia così delicata ma anche impopolare.    

Si decideranno ora? C’è da dubitarne. D’Alema, peraltro, è inviso ai potenti del momento e se pure essi riconoscono che potrebbe aver ragione nel caso in specie, preferiscono godere della disgrazia che gli è capitata piuttosto che pensare di premunirsi ove dovesse toccare a loro. I tedeschi hanno un termine per indicare questo perverso sentimento, dicono Schadenfreude, che letteralmente significa piacere maligno per le disgrazie altrui. Noi italiani preferiamo non averne di questi termini rivelatori; e perciò la giriamo a farsa. 

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