L’ennesimo coinvolgimento
illustre in intercettazioni telefoniche fa un po’ ridere, pensando – mi si
consenta la battuta scontata – che tutto in Italia finisce a tarallucci e vino,
pardon, a D’Alema e vino o al vino di
D’Alema. Questa vicenda, infatti, ha risvolti comici, li ha perfino in un paese
in cui si sguazza nella corruzione e si ride di tutto e di tutti.
Nell’inchiesta giudiziaria
sull’ex sindaco di Ischia, Giuseppe Ferrandino del Pd, e sulla Coop. Cpl
Concordia – questa parola porta davvero male! – è venuto fuori che a
beneficiare degli abituali traffici del “do ut des”, base di ogni scambio e
corruzione, è stato anche l’ex presidente del consiglio Massimo D’Alema, nella
duplice veste di presidente della fondazione “Italianieuropei”, che pubblica
una rivista e libri, e di produttore di vini di qualità. La Coop in oggetto avrebbe
acquistato, infatti, da D’Alema una certa quantità di libri, a scopo
finanziamento, e duemila bottiglie di vino per ottantasettemila euro.
Ora, siamo seri. D’Alema, da anni
fuori dalla politica politicante, anche se continua meritoriamente a militare
nel Pd, peraltro in posizione scomoda, continua in parallelo a fare cultura
politica in maniera egregia. Lo si può dire senza essere necessariamente della
sua parte politica. Nello stesso tempo aiuta la moglie a produrre e a vendere
vini di qualità dell’azienda di famiglia “La Madeleine ”. Che c’è di
male in tutto questo? Aggiungo: che c’è di male se libri e vino vengono anche
venduti ad una cooperativa con la quale in passato D’Alema ha avuto rapporti
inerenti la sua attività politica? Il fatto in se stesso è assolutamente privo
di elementi “patologici”, come ormai si dice in gergo. Verrebbe di esclamare
manzonianamente omnia munda mundis;
ma in Italia ormai è più facile dire il contrario omnia immunda immundis.
A tirar dentro la faccenda c’è un
intercettato, tale Verrini, che dice al dirigente della Coop. Cpl Concordia
Francesco Simone, riferendosi alle fondazioni da finanziare, tra cui “Italianieuropei”,
«queste persone poi, quando è ora, le mani nella merda ce le mettono o no?»,
dando ad intendere che il favore del finanziamento fosse condizione per un
favore di ritorno. Il linguaggio coprolalico rivela chiaramente che di favori
sporchi si trattava.
E’ giusto a questo punto che la
magistratura faccia le sue indagini e verifichi la natura di questi rapporti;
non è giusto che dalle parole intercettate si giunga senz’altro ad esporre a
ludibrio mediatico le persone coinvolte. Su questo tutti dovrebbero essere
d’accordo. E noi esprimiamo solidarietà a tutti i malcapitati.
D’Alema, nella sua intervista al
“Corriere della Sera” di mercoledì, 1 aprile, ha ammesso di aver venduto alla
suddetta cooperativa libri e vino; e allora? Come fa una fondazione culturale a
mantenersi se non attraverso i prodotti del suo esercizio, tra cui la
scrittura, la stampa e la vendita della rivista e dei libri? Come fa un’azienda
produttrice di vini a mantenersi e a crescere senza poter vendere il prodotto?
Domande per alunni ritardati.
Fermo restando che gli sviluppi
dell’inchiesta potranno far emergere altre cose, che oggi non conosciamo, allo
stato dei fatti risulta che l’attività politica ed economica di una persona
viene criminalizzata solo perché questa persona ha un nome importante,
spendibile nella rappresentazione teatrale diretta, che tanto indigna e sotto
sotto appassiona gli italiani.
All’osservazione del giornalista
Bianconi che la sua vicenda richiama quella dell’ex ministro Lupi, l’ex
presidente del consiglio D’Alema ha risposto che ci sono delle differenze in
quanto Lupi era un ministro in carica a contatto rischioso con aziende che
facevano affari col suo ministero e lui invece un privato cittadino. Premesso
che sul privato cittadino ci sarebbe da obiettare, perché uno come lui, dopo
tanto reo tempo, non può mai invocare
simile condizione, le due vicende si sovrappongono limitatamente alla
pubblicazione delle intercettazioni, che è poi ciò che D’Alema contesta alla
magistratura: «Non c’era alcuna necessità di utilizzare intercettazioni fra
terze persone, senza valore probatorio, dove si parla di me de relato».
Allora emerge un altro aspetto
della questione “intercettazioni” ed è che ognuno si para il proprio culo, per
dirla volgare volgare, ma efficace efficace, e mentre tace quando a rischio è
il culo degli altri, si butta le mani per coprirsi il suo quando tocca a lui.
Invece sarebbe più giusto e credibile che tutti i politici decidessero una
buona volta di approvare una legge che regoli finalmente la pubblicazione delle
intercettazioni.
Dopo tutto le intercettazioni
sono incostituzionali (art. 15) e si giustificano nell’emergenza di combattere
il crimine. Ora, si può anche capire che, come dicono i francesi, à la guerre comme à la guerre, e che
stanti le guerre contro la criminalità organizzata, la corruzione e il
terrorismo, si debba fare necessario ricorso alle intercettazioni; non si può
tollerare che se ne faccia un uso improprio.
Che i politici come i cornuti se
la godano quando tocca ad altri e si dolgano quando tocca a sé lo dimostra il
fatto che ricorrono a tanti distinguo, come a dire per gli altri è ammissibile,
per sé no. Lungi dal considerare l’hodie
mihi cras tibi (oggi a me domani a te) essi sperano sempre che a loro non
tocchi mai e si guardano bene dal fare una legge che regoli per tutti una
materia così delicata ma anche impopolare.
Si decideranno ora? C’è da
dubitarne. D’Alema, peraltro, è inviso ai potenti del momento e se pure essi
riconoscono che potrebbe aver ragione nel caso in specie, preferiscono godere
della disgrazia che gli è capitata piuttosto che pensare di premunirsi ove
dovesse toccare a loro. I tedeschi hanno un termine per indicare questo
perverso sentimento, dicono Schadenfreude,
che letteralmente significa piacere maligno per le disgrazie altrui. Noi
italiani preferiamo non averne di questi termini rivelatori; e perciò la
giriamo a farsa.
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