La mattina di giovedì, 9 aprile,
al Tribunale di Milano, una persona, tale Claudio Giardello, di anni 57,
esasperata per come andava una sua vicenda giudiziaria, ha estratto la pistola
e ha sparato uccidendo un giudice, un avvocato e un suo ex socio in affari col
quale era in lite e ferendo altri occasionali presenti. Può essere che
quell’uomo avesse ragione nel merito della lite che stava affrontando e può
essere che avesse torto; non è questo il punto. Il punto è che ad un certo
momento ha percepito che la giustizia, coi suoi uomini e i suoi meccanismi, lo
stava penalizzando, lo stava conducendo alla rovina.
Quante volte abbiamo sentito dire
e sentiamo persone che hanno a che fare con la giustizia, angariate da ritardi,
cavilli burocratici, spostamenti di udienze, trasferimenti di giudici, combine
di avvocati, leggi sfacciatamente di parte, trascinate per anni e anni, impedite
di andare avanti con la vita, a volte famigliare, a volte pubblica, economica,
professionale, esplodere in affermazioni estreme: bisognerebbe mettere una bomba
e far saltare tutti in aria, giudici, avvocati e cancellieri! Ci vorrebbe un
mitra per farli fuori tutti pari pari! Un giorno mi fingerò pazzo e… E via con
altre simili minacce. Per qualcuno il giorno prima o poi arriva, è arrivato.
Non so se dal Presidente della
Repubblica in giù, fino al più modesto degli uscieri, queste invettive
violente, queste esplosioni di rabbia, queste grida di dolore civile, a volte anche
comiche e iperbolicamente colorite, come solo la fantasia popolare sa
esprimere, sono state mai sentite. Dubito. Si sentono nei corridoi dei
tribunali, nei bar, nelle piazze, dovunque la gente si fermi a parlare con
altri per raccontare le proprie disgrazie giudiziarie, i casi stranissimi delle
proprie piccole o grandi questioni con giudici e avvocati. Non c’è persona che
non ne abbia da raccontare in singolarità e incredibilità di casi.
Avere a che fare con la giustizia
in Italia è una disgrazia, soprattutto quando si è nel giusto, soprattutto
quando si tratta di piccole cose da niente che si trascinano per anni, fino a
dover perdere ben di più di quello che si sarebbe ottenuto semplicemente
rinunciando ai propri diritti o alle proprie ragioni, e che si sarebbero potute
risolvere in pochi giorni, al massimo qualche settimana, un mese. Avrà pure un
senso il detto popolare “meglio un tristo accordo che una causa vinta”, o no?
Quante volte un creditore è costretto ad accontentarsi di avere subito la metà,
un terzo, un quarto di quanto gli è dovuto anziché tutto ma dopo dieci,
quindici anni! Quante volte si deve cedere al mascalzone di turno che,
sfruttando le lungaggini e le tortuosità della legge, ti ricatta a volte anche apertamente
e con arroganza come se la legge non fosse fatta per la giustizia dei buoni
cittadini, ma per l’ingiustizia dei delinquenti! “Tu hai ragione, ma intanto
non te la riconosco, fammi pure causa, come andrà a finire lo vedrà chi vivrà”.
Chi vivrà! Orrendo a sentire simili infamie nel paese che si dice patria del
diritto.
La tragedia del popolo italiano è
che chi lo rappresenta ad ogni livello non conosce la realtà delle cose, della
gente e lascia che essa se la veda da sola, come sa e come può, fidando nella
sua proverbiale capacità di arrangiarsi, di sopportare.
La strage di Milano è il gesto
isolato di uno squilibrato? Non direi. I giornali in questi giorni hanno
ricordato diversi casi giudiziari finiti con violenze e uccisioni sul posto. Ma
se pure fosse un caso isolato, ciò non toglie che può essere anche il gesto di tanta
gente, che, dalla giustizia angariata, attraverso quel gesto, ha inteso
ribellarsi. Un gesto dunque criminale, ma anche simbolico. Non ci si può sempre
fregiare delle grandi imprese fatte dai singoli e interpretate come compiute da
tutto un popolo e non voler poi fare proprie anche le azioni delittuose se
queste trovano nella società perfino consenso. I grandi e piccoli eroi della
nostra storia, i Balilla, i Micca, i Toti (Enrico), i Battisti, i Sauro, che
una volta costituivano l’ossatura morale e civile dell’italiano tipo, del
cittadino e patriota esemplare, e venivano indicati a esempio ai ragazzini
delle scuole di prima formazione, in fondo avevano compiuto gesti isolati. E,
allora, come importanti sono i gesti dei singoli quando hanno un grande rilievo
esemplare in positivo, altrettanto importanti sono quando questi hanno un
rilievo negativo. Si tratta di volere e
di sapere leggere i fatti che accadono.
E’ più facile e più comodo che lo
Stato sia per la prima ipotesi e liquidare il gesto come di follia criminale;
sarebbe più auspicabile, però, che si sforzasse anche di andare oltre questa
chiave immediata per cercare le ragioni intime, profonde di quel gesto come di
tanti altri gesti compiuti in rivolta contro la giustizia iniqua.
Come cittadino mi son sentito
mortificato in questi giorni sentire persone di ogni età e di ogni ceto dire: “quel
pazzo ha fatto bene, non se ne può più di una giustizia che non funziona, che
fa politica, che litiga al suo interno, che non lavora, che non vuole le
riforme per non perdere poteri e privilegi. Ci vorrebbe un pazzo per
famiglia!”. Non ho sentito una solo persona condannare il gesto folle e
criminale di quel signore di Milano.
Raccontano i poeti – che sono
ciechi e vedono dove altri con occhi di lince non vedono – che gli uomini si
accorsero che l’età dell’oro sulla terra era finita quando la divinità della
giustizia se n’era andata. Un mito – come tanti – ma altamente significativo.
Non si può concludere tristemente che sulla terra non c’è più giustizia.
C’è la giustizia che i popoli sanno creare e organizzare. E’ la giustizia degli
uomini. Il popolo italiano ha una giustizia semplicemente incredibile per i
suoi risvolti di ingiustizia conclamata. Il gesto folle di quel signore
milanese che ha compiuto la strage è da condannare nella maniera più chiara e assoluta,
direi esemplare; ma corre l’obbligo di capire anche perché è stato compiuto.
Perché!
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