Poco più di un anno di
pontificato per Papa Bergoglio è poco per fare un bilancio. Se stessimo
parlando di politica diremmo che ci sono stati solo annunci. Ma l’annuncite,
forse, non è solo politica.
Giunto al centro della
cristianità «dalla fine del mondo», questo papa, dopo un banale «buonasera» da
non saper che dire, si è messo a parlare, ma non sempre dimostrando di saper
che dire. Difficoltà linguistiche? Anche, ma il più delle volte è incerto e
contraddittorio sui concetti, come quando insiste sul fatto che il Signore non
si stanca di perdonare e poi minaccia scomuniche a dritta e a manca: mafiosi,
corruttori, pedofili. Tuttavia si è imposto subito all’attenzione per alcuni
comportamenti, tutti rivolti all’accreditamento di una diversità pauperistica e
spontanea. L’aver scelto il nome di Francesco in omaggio-sintonia col Poverello
di Assisi è cosa che ha chiarito lui stesso quando si rincorrevano le voci che
quel Francesco potesse riferirsi a San Francesco Saverio, che conobbe
Sant’Ignazio di Loyola e fu gesuita, ordine al quale Bergoglio apparteneva. La
sua Porziuncola è Santa Marta.
Parole e modi di questo papa sono
coerentemente rivolti alla condanna della corruzione, della vanità, del lusso,
della carriera soprattutto degli uomini di chiesa. Determinato e decisionista,
ha conseguito i risultati migliori proprio sul fronte dello Ior, la banca
vaticana, e su alcune nomine ed
esclusioni relative alla curia, che lui non chiama promozioni o retrocessioni.
Diciamo che si è mosso bene sul fronte interno più squisitamente
politico-organizzativo, facendo un po’ di pulizia; e sul fronte esterno,
ponendosi come un riferimento attivo tra i potenti della Terra (appello per
scongiurare l’attacco americano alla Siria, preghiera in Vaticano coi due
leader della vicenda israeliano-palestinese) e guadagnandosi l’affetto della
gente, che in lui vede finalmente un papa che si può toccare, che si può
baciare, col quale poter parlare.
Un certo repulisti nella Chiesa
era inevitabile e aveva incominciato a farlo Papa Ratzinger, il quale – a
quanto si dice – abbandonò, compiendo un gesto rivoluzionario, resosi conto di
non avere le forze per tenere tutto sotto controllo, per intervenire a fare gli
opportuni cambiamenti, in presenza di collaboratori addetti alle pulizie che
risultavano essere più sporchi degli sporchi da eliminare. Papa Bergoglio ha in
effetti iniziato un percorso di rifacimento delle strutture portanti della
chiesa, intesa nel suo aspetto secolare. E di questo non c’è che riconoscergli
merito e augurargli di avere sempre la forza di decidere e di far eseguire le
sue decisioni.
Ma sul versante delle grandi
problematiche del mondo cattolico nulla appare alle viste. Celibato dei preti,
sacerdozio femminile, matrimonio gay con relative adozioni di bambini,
procreazione assistita, libertà di porre termine alla propria vita ormai
ridotta al puro stato vegetativo, accesso ai sacramenti da parte dei divorziati
e risposati, libertà di usare contraccettivi e di ricorrere all’aborto in caso
di maternità non voluta, procreazione eterologa; su tutto questo Papa Bergoglio
non ha ancora detto nulla, anzi ha assunto atteggiamenti controversi e
addirittura di generica presa di distanza da chi invece su tutte queste
problematiche ha sempre detto parole chiare. L’espressione “valori non
negoziabili” lo irrita. Su queste materie ha detto ai vescovi: fate vobis!
Vero è che Papa Bergoglio non
appare persona molto attrezzata sul piano dottrinale, gliel’hanno già fatto
notare; ma è molto avveduto sul piano politico. Ha fatto passare per democrazia
quella che è una prudente presa di distanza da comportamenti e decisioni
antipatiche. Ha detto: su come gestire le varie problematiche spirituali e
sociali decidano vescovi e parroci, a seconda della realtà in cui si trovano,
dando un imput di fondo: sia comunque la Chiesa un ospedale da campo.
L’immagine è suggestiva, sembra
quasi riprendere il Manzoni della Pentecoste:
«Campo di quei che sperano»; ma la
Chiesa così intesa è riduttiva. C’è un’umanità che soffre,
che va aiutata e assistita, fino a condurla per quanto possibile fuori dalla
zona della sofferenza. E’ un’immagine tanto forte che impedisce qualsiasi
obiezione. Sarebbe come rifiutare di curare una persona malata o ferita solo
perché si trova in uno stato politico, civile o religioso non conforme a certe
regole. Ma la Chiesa
è qualcosa di più, è il riferimento di tutta l’ecumene; e nell’ecumene non ci
sono persone immuni da problemi spirituali. Non è questione di soldi o di
successo. Anche i ricchi e i potenti hanno bisogno dell’ospedale da campo per
come Bergoglio intende la
Chiesa. Ci sono comportamenti, che offendono Dio e
l’uomo, che non si possono perdonare ai
poveri e ai deboli e non perdonare ai ricchi e ai potenti. Né d’altra parte si
può scambiare un problema spirituale per una malattia fisica, se non altro
perché all’uno ci si arriva per scarsa prudenza, che è una delle quattro virtù
cardinali, nell’altra si cade per cause assolutamente estranee e non desiderate
dalla persona. Papa Bergoglio dice che la Chiesa deve accogliere tutti. Non si può non
essere d’accordo. Ma un limite ci deve essere, se no la Chiesa perde la sua ragion
d’essere e Cristo-Dio è «via, verità, luce» solo nella Chiesa-ospedale, mentre
fuori è del tutto assente.
Il Papa deve rischiare
l’impopolarità. Lui non è “Francesco”. Lui non è quello che chiede, è quello
che concede. Ruoli e responsabilità diverse. Da lui l’universo cristiano
attende delle indicazioni relative alla vita di oggi. Spegnere la luce su
questo non è da Papa.
Su talune problematiche può
molto. Può benissimo adeguare certe norme tradizionalmente tabù del
cattolicesimo ad una realtà cristiana cambiata. Per esempio può concedere ai
divorziati di avere accesso ai sacramenti, anche quando sono risposati; può
aprire al mondo femminile senza per questo parlare di sacerdozio; può
autorizzare i preti che lo volessero a sposarsi senza per questo allontanarli
dal sacerdozio; può concedere il fine vita a chi è ridotto ad una larva umana.
Certo, accanto a queste aperture, necessarie e non in conflitto né col Decalogo
né col Vangelo, ci sono principi e valori irrinunciabili: vita e famiglia,
quindi condanna di aborto, d’innesti vari per procreare, di matrimoni
omosessuali. Il Papa dovrebbe gridare forte la necessità sia delle aperture e
sia delle chiusure, perché le une legittimano le altre.
Finché tace e spara estemporaneità per il piacere del plauso della gente
e dei media, grandi riforme non ne farà; e
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