domenica 7 settembre 2014

No, non è Francesco; non può essere lui!


Poco più di un anno di pontificato per Papa Bergoglio è poco per fare un bilancio. Se stessimo parlando di politica diremmo che ci sono stati solo annunci. Ma l’annuncite, forse, non è solo politica.
Giunto al centro della cristianità «dalla fine del mondo», questo papa, dopo un banale «buonasera» da non saper che dire, si è messo a parlare, ma non sempre dimostrando di saper che dire. Difficoltà linguistiche? Anche, ma il più delle volte è incerto e contraddittorio sui concetti, come quando insiste sul fatto che il Signore non si stanca di perdonare e poi minaccia scomuniche a dritta e a manca: mafiosi, corruttori, pedofili. Tuttavia si è imposto subito all’attenzione per alcuni comportamenti, tutti rivolti all’accreditamento di una diversità pauperistica e spontanea. L’aver scelto il nome di Francesco in omaggio-sintonia col Poverello di Assisi è cosa che ha chiarito lui stesso quando si rincorrevano le voci che quel Francesco potesse riferirsi a San Francesco Saverio, che conobbe Sant’Ignazio di Loyola e fu gesuita, ordine al quale Bergoglio apparteneva. La sua Porziuncola è Santa Marta.
Parole e modi di questo papa sono coerentemente rivolti alla condanna della corruzione, della vanità, del lusso, della carriera soprattutto degli uomini di chiesa. Determinato e decisionista, ha conseguito i risultati migliori proprio sul fronte dello Ior, la banca vaticana,  e su alcune nomine ed esclusioni relative alla curia, che lui non chiama promozioni o retrocessioni. Diciamo che si è mosso bene sul fronte interno più squisitamente politico-organizzativo, facendo un po’ di pulizia; e sul fronte esterno, ponendosi come un riferimento attivo tra i potenti della Terra (appello per scongiurare l’attacco americano alla Siria, preghiera in Vaticano coi due leader della vicenda israeliano-palestinese) e guadagnandosi l’affetto della gente, che in lui vede finalmente un papa che si può toccare, che si può baciare, col quale poter parlare.
Un certo repulisti nella Chiesa era inevitabile e aveva incominciato a farlo Papa Ratzinger, il quale – a quanto si dice – abbandonò, compiendo un gesto rivoluzionario, resosi conto di non avere le forze per tenere tutto sotto controllo, per intervenire a fare gli opportuni cambiamenti, in presenza di collaboratori addetti alle pulizie che risultavano essere più sporchi degli sporchi da eliminare. Papa Bergoglio ha in effetti iniziato un percorso di rifacimento delle strutture portanti della chiesa, intesa nel suo aspetto secolare. E di questo non c’è che riconoscergli merito e augurargli di avere sempre la forza di decidere e di far eseguire le sue decisioni.
Ma sul versante delle grandi problematiche del mondo cattolico nulla appare alle viste. Celibato dei preti, sacerdozio femminile, matrimonio gay con relative adozioni di bambini, procreazione assistita, libertà di porre termine alla propria vita ormai ridotta al puro stato vegetativo, accesso ai sacramenti da parte dei divorziati e risposati, libertà di usare contraccettivi e di ricorrere all’aborto in caso di maternità non voluta, procreazione eterologa; su tutto questo Papa Bergoglio non ha ancora detto nulla, anzi ha assunto atteggiamenti controversi e addirittura di generica presa di distanza da chi invece su tutte queste problematiche ha sempre detto parole chiare. L’espressione “valori non negoziabili” lo irrita. Su queste materie ha detto ai vescovi: fate vobis!
Vero è che Papa Bergoglio non appare persona molto attrezzata sul piano dottrinale, gliel’hanno già fatto notare; ma è molto avveduto sul piano politico. Ha fatto passare per democrazia quella che è una prudente presa di distanza da comportamenti e decisioni antipatiche. Ha detto: su come gestire le varie problematiche spirituali e sociali decidano vescovi e parroci, a seconda della realtà in cui si trovano, dando un imput di fondo: sia comunque la Chiesa un ospedale da campo.
L’immagine è suggestiva, sembra quasi riprendere il Manzoni della Pentecoste: «Campo di quei che sperano»; ma la Chiesa così intesa è riduttiva. C’è un’umanità che soffre, che va aiutata e assistita, fino a condurla per quanto possibile fuori dalla zona della sofferenza. E’ un’immagine tanto forte che impedisce qualsiasi obiezione. Sarebbe come rifiutare di curare una persona malata o ferita solo perché si trova in uno stato politico, civile o religioso non conforme a certe regole. Ma la Chiesa è qualcosa di più, è il riferimento di tutta l’ecumene; e nell’ecumene non ci sono persone immuni da problemi spirituali. Non è questione di soldi o di successo. Anche i ricchi e i potenti hanno bisogno dell’ospedale da campo per come Bergoglio intende la Chiesa. Ci sono comportamenti, che offendono Dio e l’uomo,  che non si possono perdonare ai poveri e ai deboli e non perdonare ai ricchi e ai potenti. Né d’altra parte si può scambiare un problema spirituale per una malattia fisica, se non altro perché all’uno ci si arriva per scarsa prudenza, che è una delle quattro virtù cardinali, nell’altra si cade per cause assolutamente estranee e non desiderate dalla persona. Papa Bergoglio dice che la Chiesa deve accogliere tutti. Non si può non essere d’accordo. Ma un limite ci deve essere, se no la Chiesa perde la sua ragion d’essere e Cristo-Dio è «via, verità, luce» solo nella Chiesa-ospedale, mentre fuori è del tutto assente.         
Il Papa deve rischiare l’impopolarità. Lui non è “Francesco”. Lui non è quello che chiede, è quello che concede. Ruoli e responsabilità diverse. Da lui l’universo cristiano attende delle indicazioni relative alla vita di oggi. Spegnere la luce su questo non è da Papa.
Su talune problematiche può molto. Può benissimo adeguare certe norme tradizionalmente tabù del cattolicesimo ad una realtà cristiana cambiata. Per esempio può concedere ai divorziati di avere accesso ai sacramenti, anche quando sono risposati; può aprire al mondo femminile senza per questo parlare di sacerdozio; può autorizzare i preti che lo volessero a sposarsi senza per questo allontanarli dal sacerdozio; può concedere il fine vita a chi è ridotto ad una larva umana. Certo, accanto a queste aperture, necessarie e non in conflitto né col Decalogo né col Vangelo, ci sono principi e valori irrinunciabili: vita e famiglia, quindi condanna di aborto, d’innesti vari per procreare, di matrimoni omosessuali. Il Papa dovrebbe gridare forte la necessità sia delle aperture e sia delle chiusure, perché le une legittimano le altre.
Finché tace e spara estemporaneità per il piacere del plauso della gente e dei media, grandi riforme non ne farà; e la Chiesa, alla fine del di lui pontificato, si ritroverà con meno credibilità e qualche santo in più. 

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