domenica 31 agosto 2014

Multiculturalismo o difesa della propria cultura?


Se uno ogni tanto trasecola vuol dire che è un individuo trasecolabile? Non lo so, so che io sono uno che trasecola. Non ne meno vanto, ma neppure mi abbatto. Colgo l’aspetto buono, che è di avvertire il pericolo quando sta per arrivare.
Io il pericolo islamista l’ho avvertito, come tanti altri in Italia e nel mondo, anche se molti fanno finta di non avvedersene. Una volta da noi si diceva che non si crede al santo finché non se ne vede la festa; ora la festa è arrivata.  Ce n’è altra di gente, che, per partito preso, continua a dire che c’è un Islam buono e un Islam cattivo e che per quello buono dobbiamo prendere le legnate da quello cattivo.
Fuori dalle celie, mi chiedo: come si fa di fronte alla minaccia concreta, che ormai riguarda l’intero pianeta, da parte dell’islamismo radicale, uscirsene coi soliti distinguo: ma la civiltà islamica, la vera, non vuole la guerra, non vuole l’egemonia, non vuole la prevaricazione; è invece per la pace, per l’incontro, per la collaborazione, per il vivi e lascia vivere? Dicevo, come si fa, quando ci sono nel mondo, in zone caldissime, focolai di guerre con scene di esecuzioni di massa, di raccapriccianti singoli sgozzamenti, con reclutamento nei paesi occidentali, ormai in preda ad una classe dirigente ideologicamente rimbambita, di terroristi pronti a morire per il Jihad? Mi viene alla mente l’immagine plastica di Cassius Clay, di quel grandissimo pugile, peraltro divenuto musulmano col nome di Muhammad Alì, che, mentre prendeva sassate micidiali in faccia dal suo avversario Joe Frazier, rivolto al pubblico continuava a far segni come per dire: no, non è niente, sono carezze. Finì al tappeto. E dopo è finito peggio.
Certo, non è elegante attaccare chi per anni ha predicato la cultura meridiana del vogliamoci tutti bene perché è nel bene che si coltiva il progresso, lo sviluppo, la pace; quella pace che è da sempre nel nostro dna – dicono. Come se il Mediterraneo non fosse stato nei millenni un mare di guerre, di scontri armati epocali! E, certamente, anche di pace. No, non è stato elegante Gianni Donno sul “Corriere del Mezzogiorno” del 28 scorso, quando con stringenti argomentazioni ha invitato i meridianisti del multiculturalismo, presente financo – dicono loro – nel mosaico della Cattedrale di Otranto, a darsi con la pietra in petto. E ha dimostrato di avere la coda di paglia e poche idee Onofrio Romano, che sullo stesso giornale, il giorno dopo, ha usato frasi tanto vuote quanto sprezzanti nei confronti di chi dice: signori, basta con le chiacchiere, qui siamo in piena aggressione islamista, non potete continuare a dire che l’Islam è per la pace quando bande di milizie armate in alcuni territori arabi si abbandonano a stragi orripilanti, ad esecuzioni spettacolari e raccapriccianti, quando la pancia dei paesi di civiltà giudaico-cristiana è piena di terroristi islamici.
Non è tutto l’Islam responsabile? E chi dice che è tutto l’Islam? Si rifletta sul visconte dimezzato di Italo Calvino: in ogni uomo una metà è buona e una cattiva. In ognuno si può risvegliare la parte cattiva e magari un povero migrante raccolto in mare e salvato, e in un primo momento sinceramente grato a chi lo ha salvato, può benissimo sentirsi emergere dentro l’islamista malvagio fino ad allora dormiente. Non è malanimo vedere in ogni buon uomo islamico in atto un terrorista islamico in potenza. Gli esempi quanto meno ci inducono a riflettere.
La nostra storia ci ha insegnato che ci sono periodi di pace e periodi di guerra. Il tempio di Giano si apriva e si chiudeva a seconda se c’era in corso una guerra o se si trascorreva un periodo di pace. E il leone di San Marco non aveva ora il libro ora la spada? Significa che nella nostra millenaria civiltà non c’è persona che non ami la pace, ma quando arriva il momento del difendersi o soccombere, allora occorre combattere. Non è peccato, non è reato: è un diritto naturale, che dall’individuo si trasferisce ad un popolo, ad una civiltà.  
Il problema che si pone oggi è di assumere comportamenti consequenziali all’emergenza in atto. Serve poco esibire la propria cultura, la propria erudizione, per non dire nulla o solo per dire aveva ragione chi vedeva il pericolo e torto chi non lo vedeva. Non si tratta di aver torto o ragione, si tratta di non fare la fine peggiore. La civiltà occidentale, che si riconosce nei valori giudaico-cristiani e nel modello politico liberaldemocratico, deve intervenire come meglio è possibile per scongiurare la bestia islamica che si è risvegliata, a causa delle incaute politiche degli ultimi anni sia degli Stati Uniti d’America sia dell’Europa. Solo degli illusi potevano gioire alle cosiddette “primavere arabe”; solo degli incapaci e dei presuntuosi potevano destabilizzare i paesi mediterranei dell’Africa senza prevedere il caos che sarebbe seguito.
Che fare, allora? Dichiarare guerra al mondo avverso? Non facciamo i cretini! Per fortuna non siamo ancora ad uno scontro alla pari, totale, ci sono margini di interventi circoscritti nei luoghi ma con la stessa filosofia politica.

Dobbiamo solo cambiare la politica finora seguita. Finora ci siamo lasciati guidare dalla dottrina di Obama e di Sarkozy, del lasciare i popoli arabi inseguire improbabili primavere o di eliminare dittatori che comunque in casa loro mantenevano l’ordine e avevano con noi buoni rapporti di vicinato e di affari. Bene, da ora in poi cerchiamo di seguire una politica più realistica, più concreta, più pragmatica, finalizzata alla pace e all’incontro ma senza illusioni. Se non possiamo essere per la pax romana, lasciamo perdere anche la pax americana, e guardiamo in faccia la realtà, soprattutto quella parte della realtà che al momento è più brutta e più minacciosa. Ne avremo di che salvarci.     

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