Quando le aggressioni al modello
di società e di vita nel quale il cittadino si riconosce sono continue e sistemiche,
per quanto subdole e fatte passare per inevitabile corso dei tempi e importanti
conquiste civili, non c’è altro da fare che ricorrere alla reazione, chiara e
consapevole.
Il periodo nel quale stiamo
vivendo è come un interregno: il re-modello è morto, ma il nuovo non c’è e
sembra che non debba esserci. L’impressione è che si viva in anarchia, privi di
leggi solide e condivise e soprattutto di autorità riconosciute.
Il mondo dei valori, dei costumi,
dei rapporti sociali in continuazione di anni è sottosopra. Donne vengono
privilegiate quasi per risarcirle da millenni di presunte angherie patite,
famiglie assurde nell’idea che possano contrarre matrimonio soggetti dello
stesso sesso, figli da generare secondo sistemi non naturali e in adozione da coppie
anche di omosessuali, uno svilimento continuo dell’adultità con privilegi per i
giovani e penalizzazioni per gli anziani, la cui soglia di inutilità sociale si
abbassa sempre più. Si sta espropriando il cittadino del diritto di vivere e di
ambire legittimamente per tutti gli anni della sua esistenza.
E’ proprio su questo punto –
esproprio di vita – che occorre puntare i piedi con forza. Si fa strada in
maniera sempre più insistente nelle riflessioni quotidiane, sollecitate da quel
che si vede, si sente e si legge, una mortificante verità: oggi, giunti all’età
di quarant’anni, non si può aspirare più a niente. E’ il punto d’arrivo, una
sorta di zona off limits. Quel che si
è riusciti a fare si è fatto, oltre non si può. Oltre c’è la morte civile, politica,
sociale. Oltre si pesa dannosamente sulla società. C’è chi addirittura vuole
affinare e legalizzare la morte procurata. Per emulare Lucio Magri o evitare
suicidi alla Mario Monicelli, dicono. Insomma, dopo quarant’anni vieni socialmente
suicidato; se vuoi puoi anche portare a compimento il suicidio anagrafico da
te, togliendo il disturbo con morte spontaneamente procurata. Lo Stato ti fa
quest’ultima assistenza.
Benché la durata e la qualità
della vita oggi facciano di un quarantenne un uomo al fiore della sua maturità,
un pensiero assai diffuso e condiviso vuole che venga rottamato, quasi fosse un
apparecchio obsoleto. L’idea di un progress infinito, che una volta
accompagnava l’individuo a promuoversi costantemente negli anni fino ad ambire
a cariche pubbliche sempre più importanti e di crescente responsabilità, si è
trasformata nella rassegnazione di uno stop a qualsiasi obiettivo dopo i
quarant’anni.
E’ l’effetto del giovanilismo,
che ha tanto contagiato la società dei nostri tempi. Una società liquida – dice
il sociologo polacco Baumann – in cui cambiano continuamente le forme della
politica e del potere, sicché l’esperienza fatta nel passato non serve più nel
presente e meno ancora nel futuro.
Per esemplificare, in politica,
che resta il campo di più attendibile promozione, a vent’anni si può ambire a
diventare un Renzi; ma uno dell’età di Renzi non può ambire a diventare un
Giolitti e neppure un Andreotti. Il sociologo venezuelano Moisés Naìm dice che
il potere dura così poco nelle mani di un soggetto, si sposta così
repentinamente da un soggetto ad un altro, da poter dire che il potere stesso è
finito.
Anche nel lavoro. Giunto ad una
certa età, a prescindere dalla propria volontà, dalle condizioni di salute e
dal comprovato valore, vieni pensionato, ossia vieni deprivato del ruolo
sociale e condannato a sentirti un peso sociale, una nullità dannosa, a cui si
augura una morte la più rapida possibile.
E’ una situazione surreale. Altro
che rivoluzione copernicana! Si è passati dalla ricerca del più e del meglio,
alla progressiva rinuncia perfino del meno e del peggio. Quel che prima era un
valore aggiunto, oggi è nocumento aggiunto. Non conta sapere, non conta aver
fatto esperienza, non conta aver dimostrato di possedere doti innate ed
acquisite. Conta l’esatto contrario: dover sapere, dover fare esperienza, dover
dimostrare di poter acquisire doti; e una volta fatto tutto questo, passare la
mano a chi viene per età dopo di te, al giovane inesperto di turno. E’
paradossale.
Come può un giovane di appena
trent’anni avere acquisito le conoscenze adeguate, dove e come può aver fatto
esperienza per valutare e agire secondo efficienza ed equilibrio?
E gli intellettuali di questo
paese, gli opinionisti, i commentatori politici, che fanno? Hanno fiutato il
vento contrario e tacciono. Bisogna stare sempre con chi vince – suggeriva il
buon Guicciardini – per evitare di dover rispondere di colpe altrui. Oppure
sono rassegnati allo spirito del tempo, succubi di sociologi, filosofi e nuovi
cangianti uomini di potere, che non danno più punti di riferimento sicuri.
Rottamare è diventato l’imperativo categorico.
Ovvio che quella di rottamare è
una moda dei nostri tempi. Passerà, come ne sono passate tante. Si tornerà a
quella bacchetta, invocata dal Pasolini luterano, che è la sola che spetta a
chi deve studiare, conoscere, fare tirocinio ed esperienza, perché è vero come
è stato sempre vero e come sarà vero che non si finisce mai di imparare. E
bisogna imparare. Nessuno ancora ha inventato l’infusione della scienza. Per
diventare persona adulta e capace occorre attraversare gli anni nella fatica e
nelle più varie situazioni di vita. La natura non concede surrogati.
Ma va da sé che le persone adulte
devono resistere a tentazioni di resa, devono essere cioè reazionarie. Devono
opporsi a simili mode, per almeno due motivi. Il primo è che è legge di natura
opporsi a quanti ti impediscono di essere e di realizzarti come vuoi. Secondo,
resistendo rendi ancor più forte e importante il tirocinio dei giovani e li
aiuti a diventare dei veri uomini. Qualcuno ti dice: togliti di mezzo e lascia
il posto ad un giovane? Risponderai che il giovane il posto se lo può prendere
non per grazioso omaggio o ope legis,
ma per conquista, dimostrando sul campo di
valere per sé e di essere alla società utile coi suoi anni più di quanto non lo
sia tu coi tuoi.
Solo la reazione oggi può aiutare
la società a recuperare il suo assetto, i suoi equilibri, la sua solidità; può
garantire una prospettiva di durata più lunga di una moda. Alle mode si deve
opporre la civiltà, che è sempre sedimentazione di cultura e trasformazione
misurata; così come ai regimi si deve opporre la libertà e la dialettica.
L’interregno non deve diventare regime.
Interessante il dossier di Focus che nell'ultimo numero fa il punto su una futura missione su Marte: sapevate che Marte ha un terzo della gravità terrestre, che la temperatura media è di circa –60 °C e che le radiazioni assorbite durante il viaggio corrispondono a una Tac ogni 6 giorni?
RispondiEliminaNe approfitti. Ma intanto si completi, con un altro...bla
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