Un processo degenerativo in
corso, dei rapporti politici e di partecipazione popolare alla politica, fa
pensare che oggi in Italia la strada della democrazia vada sempre più
restringendosi. Si potrebbe puntare l’attenzione sugli aspetti più
istituzionali: nomine dei Presidenti del Consiglio, difficoltà ad eleggere il
Presidente della Repubblica per conclamata anarchia nei partiti, abolizione di
uno dei due rami del Parlamento, iperattivismo del Presidente della Repubblica,
dimezzamento del Presidente del Consiglio che va e viene dal Quirinale a pie’
sospinto, sempre meno ricorso alle urne. Tutti sintomi già di per sé molto
gravi.
Ma ancora peggio vanno le cose
nel sociale. Si rifletta su un fenomeno che è davvero esemplare. Lo Stato
scarica su tutti i cittadini colpe che sono soltanto di alcuni specifici e
individuabili soggetti. Ora, finché si tratta di farsi carico di tutti i
problemi politici e sociali del Paese, secondo principi di appartenenza e di
solidarietà, come è giusto che sia, è un conto; ma se si tratta di farsi carico
di colpe che lo Stato non sa o non vuole attribuire a chi le ha commesse è un
altro.
Il Parlamento, il governo, le
istituzioni in genere pensano e operano non in funzione dei cittadini onesti,
laboriosi, corretti, che sono sicuramente la grandissima maggioranza, che hanno
bisogno di percorsi semplificati e rispondenti alle esigenze della modernità e
dell’efficienza per lavorare e produrre, ma di una ristretta minoranza,
costituita da mafiosi, corrotti e disonesti, i quali peraltro delle leggi dello
Stato si preoccupano solo per trovare il modo di aggirarle e vanificarle.
Per dirla papale papale, lo Stato
non affronta le mafie per sconfiggerle, non affronta la corruzione per
sconfiggerla, non affronta l’evasione fiscale e ogni altra forma di illegalità
per sconfiggerle, nei loro confronti ormai si è arreso; ma legifera in ragione
antimafia erga omnes, secondo una
malintesa morale cattolica di colpire il peccato e non il peccatore e spalma le
responsabilità e le conseguenze delle sue debolezze e incapacità sull’intero
corpo sociale. Il che vuol dire che lo Stato tratta i suoi cittadini come se
fossero tutti mafiosi, corrotti ed evasori. Le mille leggi della – come oggi la
chiamano – burocracy, con l’ennesimo
insulto alla lingua italiana, che costituiscono un groviglio di impedimenti, di
ritardi, di veri e propri reticolati di sbarramento al procedere spedito delle
pratiche per avviare un’azienda, per tentare un’impresa, per aprire un
esercizio commerciale, per intraprendere un’iniziativa editoriale, per far
progredire il Paese, si giustificano teoricamente con la lotta alla mafia, alla
corruzione, all’evasione fiscale; di fatto penalizzano tutti gli italiani
costringendoli a farsi democraticamente carico di colpe altrui. Conseguenza
finale e continua è che il popolo italiano vive in un sistema antidemocratico,
che penalizza i suoi cittadini costringendoli alla disoccupazione, alla povertà
e all’emigrazione. Dietro una parvenza di eccessiva democrazia, fatta di ogni
libertà e di abbattimenti etici, lo Stato italiano in cambio di ordine,
giustizia e progresso, elargisce licenziosità incredibili. Che sarebbero
specchietti per le allodole se non fossero fattori scardinanti della
connessione sociale.
Per un verso lo Stato afferma di
combattere la mafia, per un altro la esalta equipaggiando l’intero corpo
sociale di coppola e lupara. L’esempio più eclatante – che trova difesa persino
in persone intelligenti e colte, ma purtroppo non libere – è l’abolizione della
preferenza nella legge elettorale, per cui gli eletti di fatto sono dei
nominati. Questo e uno sproporzionato premio di maggioranza, in presenza di un
sistema monocamerale, dopo l’abolizione del Senato elettivo, escludono di fatto
dalla partecipazione politica il popolo nella sua interezza. Si dice: il voto
di preferenza consente alla mafia di eleggere suoi rappresentanti, come è stato
ampiamente dimostrato negli anni in cui vigeva il proporzionalismo perfetto.
Allora, per evitare che la mafia mandi in Parlamento e al Governo suoi
emissari, via il voto di preferenza, gli eletti vengono nominati dai leader
politici, i quali si assumono la responsabilità delle loro scelte. Almeno, in
teoria.
Si può chiamare democrazia una
cosa del genere? Un sistema che espropria i cittadini dei loro diritti? Un
sistema che fa pagare a tutti i suoi cittadini colpe che sono solo di alcuni?
Un sistema che lungi dal combattere per annientare i nemici dello Stato e della
società decide di convivere con essi in una sorta di guerriglia diffusa e
continuata i cui costi gravano sugli altri cittadini?
Se sì, allora i cittadini, che
nulla hanno a che fare coi mafiosi e che da essi intendono difendersi, hanno
non solo il diritto ma l’obbligo morale e politico di dirsi antidemocratici e di
rivendicare la libertà di coltivare il principio e di concretamente
esercitarlo.
Il fenomeno è di una gravità
assoluta. Qui non è in gioco la democrazia, intesa come partecipazione alla
vita politica del proprio Paese – è assodato che è già gravemente compromessa
da chi oggi la rappresenta ad ogni livello – ma è in gioco il proprio Paese, è
in gioco l’Italia. Sono in fuga non solo i giovani che non hanno e non trovano
un posto di lavoro, condannati di fatto a non avere un futuro, pur che sia, né
di capifamiglia, né di professionisti, ma anche le aziende, le imprese, le
intelligenze singole e collettive, che non trovano in loco condizioni di
vivibilità e di sviluppo, oberate da uno stato imbelle e ingiusto.
Se lo Stato non recupera
interamente la sua sovranità, senza pietismi calcolati di bassa lega
chiesastica, se non si decide ad annientare con la forza che gli è propria i
suoi nemici, che sono tutti coloro che guastano i rapporti di convivenza
politica, economica e sociale, il rischio che si vada incontro al peggio c’è. I
cittadini hanno bisogno di libertà, di partecipazione, di lavoro, di giustizia.
Se tutto questo è garantito, è garantita la democrazia; e i cittadini possono
tornare a dirsi orgogliosamente democratici e a comportarsi come tali. Se tutto
questo, invece, continua ad essere disatteso e vanificato nelle more di un
chiacchierume arrogante e cialtrone, tipico di certe rivalità contradaiole, la
strada della democrazia finisce in un vicolo cieco, dal quale si esce con
percorsi, per forza di cose, non democratici ancorché tesi verso una nuova e
più vera democrazia.
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