domenica 10 agosto 2014

Renzi, Ostellino e l'aurora boreale


Qualche sera fa a “In onda”, la trasmissione estiva de “La 7”, condotta da Alessandra Sardoni e Salvo Sottile, Gianni Cuperlo, ex presidente del Pd dimessosi in polemica con Renzi, e Paolo Mieli, ex direttore del “Corriere della Sera” e attuale presidente di “Rcs Libri”, si esibirono in uno stomachevole elogio di Renzi, duettando come certe coppie nei musical americani degli anni Cinquanta. Qualche sera dopo nella stessa trasmissione era la volta di Mario Adinolfi, ex deputato Pd, a masturbarsi verbalmente col mito Renzi, l’uomo nuovo della politica italiana, a cui riesce di fare quello che ai suoi predecessori e ai suoi contemporanei mai riuscirebbe di fare. Per diversità di cultura – insisteva – il compiaciuto e straripante (in senso verbale) Adinolfi, provocando la reazione di Stefano Fassina, altro Pd dimissionario in polemica con Renzi, che a stento riusciva a contenersi.
Non diverso è il comportamento di tanta stampa italiana, che o elogia apertamente Renzi o comunque non s’azzarda a dire cosa a lui sgradita. Sta nascendo in Italia la più assurda e ridicola delle montature mediatiche, quella di Renzi “uomo nuovo”, dalle capacità straordinarie, eccezionali, taumaturgiche, l’anti Schettino che aggira gli scogli e riesce a portare l’Italia fuori dalle secche della burocrazia, della lentezza, della vecchiezza e a metterla in gara con le più moderne potenze politiche ed economiche del pianeta.
Ricordo e associo per idee che lo scrittore Antonio Beltramelli agli inizi del Novecento definì Mussolini proprio con le stesse parole “l’uomo nuovo” e ne scrisse l’elogio in una biografia che reca lo stesso titolo. Altrettanto fecero, poi, altri giornalisti, scrittori, poeti, filosofi, storici, pittori, scultori, musicisti, scienziati, preti, sagrestani, muli e conducenti; per anni e anni usque ad finem.
Ricordo ancora che gli dei pagani, secondo la teoria razionalista del filosofo Evèmero (IV-III sec. a. C.), altro non erano in origine che semplici uomini, che, grazie alla fama, assursero al rango dell’Olimpo. Ora il posto della fama l’hanno preso i mass media e – ovvio – i loro operatori. I quali, come i loro “cantati” finiscono per diventare i nuovi “dei del potere”, così essi diventano i nuovi “cantori del potere”. Laudatores temporis acti creano i miti degli uomini, ieri di Mussolini oggi di Renzi.  
Confesso di horrescere associando Renzi a Mussolini. Non già perché io ritenga l’uno incommensurabilmente superiore all’altro – ovvio, il superiore è Mussolini! – ma perché mentre l’uno aveva il potere di piegare le coscienze degli altri e renderli servi, avendo conquistato il Parlamento coi suoi manipoli di Camicie nere e a conservarlo con metodi coercitivi, l’altro assiste all’asservimento di politici e giornalisti, opinionisti e studiosi, in divisa da boy-scout, chiamato al potere dal Maggiordomo di Palazzo, dopo che tutti i camerlenghi se la sono squagliata. In verità horresco associando gli italiani del tempo di Mussolini agli italiani del tempo di Renzi.
E’ vero, c’è chi, come Piero Ostellino, forse anche esagerando – ma nel gracidio di rane, val bene qualche cri-cri stonante di grillo – non esita a definire Renzi il “ragazzotto fiorentino”, con evidente sarcasmo; ma gli altri, anche quelli che per dignità di uomini e serietà professionale ne criticano gli esiti in politica, si guardano bene dall’attaccarlo per le sue intollerabili performance propagandistiche, quando insulta gli avversari politici o soltanto quelli che non la pensano come lui, e addirittura fanno della sua arroganza l’arma vincente della sua politica.
Perfino Angelo Panebianco ne mette in risalto gli aspetti positivi, ancorché solo annunciati, e tace colpevolmente sul resto. La qualcosa è uno sproposito per un osservatore politico attento. E il costituzionalista Michele Ainis, da qualche tempo in qua, la mette sullo scherzo e rifà il verso alla signora “Chesaramai” di cui parla Il Premio Strega 2014 Francesco Piccolo nel suo romanzo “Il desiderio di essere come tutti”. Non mi pare che Ainis, come Panebianco, eserciti il suo importante ruolo con serietà e severità.
Mi è venuto già altre volte di dire che non credo in un Renzi dittatore, per tante ragioni oggettive che lo impedirebbero. Non la pensa così Ostellino, che mette in guardia e si appella a Napolitano perché non rifaccia l’errore che fece Vittorio Emanuele III non firmando lo stato d’assedio richiestogli da Facta per stroncare la Marcia su Roma (“Corriere della Sera” del 9 agosto).
Secondo me il vero pericolo italiano non è Renzi, sono gli italiani. I quali stanno manifestando in maniera sempre più preoccupante la voglia di fare di Renzi una sorta di dittatore, da non chiamare magari “duce” per evidente inopportunità. Lo si vede, lo si sente, lo si vive, con disgusto da parte di pochi; con pigra acquiescenza da parte di molti; con rassegnazione da parte di moltissimi.
La riforma del Senato con la fine del bicameralismo perfetto non è di per sé una circostanza che favorisce la deriva autoritaria, ma nel modo come sarà combinata con quanto disporrà la nuova legge elettorale può renderla concreta e accelerarla. Di qui l’importanza che hanno avuto i 16 senatori del Pd, i 13 di Forza Italia, gli 8 del Ncd non votandola; oltre ai senatori del M5S, della Lega e di Sel, che addirittura hanno disertato la votazione. Di qui l’importanza dei giornalisti come Piero Ostellino, che, richiamandosi a Tocqueville, ricorda a tutti il ruolo che deve avere un giornalista in una democrazia liberale. Che è quello di vedetta, che può anche sbagliarsi a gridare al lupo al lupo per ogni nonnulla, ma viene meno al suo compito se vedendo avvicinarsi qualcosa, invece di lanciare l’allarme, se ne sta zitto o peggio ancora, scambiandola per l’aurora boreale, la guarda come incantato e se la gode ammirandola.  

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