Quando ci vuole, ci vuole! Il
governo italiano merita un plauso, ha detto no all’intervento in Siria quando i
venti di guerra soffiavano forte dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla
Francia. Poi si sono tutti placati. Ha detto no il Parlamento inglese, mettendo
in crisi il premier Cameron che era per l’intervento; ha detto no la Nato ; ha detto quasi no
perfino la Francia
della sempre proverbiale “furia francese”; e perfino gli Stati Uniti non sono
più così certi, anche se per “parola detta” continuano a minacciare. Sia negli
Stati Uniti che in Francia l’opinione pubblica si sta mobilitando per
scongiurare l’intervento. Solo la Germania con noi, fin
dall’inizio. Fa piacere che il proprio paese faccia scelte giuste, che portano
bene e prestigio.
Ma perché no all’intervento? Per
paura? Anche! In Libano ci sono i nostri militari, che sono lì a garanzia della
pace. Per prudenza? Certo! Il conflitto potrebbe deflagrare perché Russia e
Cina sono contrarie all’intervento e perché l’Iran altro non aspetta per
colpire Israele, a cui è estranea la filosofia cristiana del porgere l’altra
guancia. La Turchia ,
che ha problemi interni, è pronta a colpire e a trasferire fuori i guai di casa.
Ci piace pensare che il no italiano abbia avuto anche un motivo economico. Nelle
condizioni in cui si trova il nostro paese, spendere altri soldi, che peraltro
non ci sono, per partecipare all’intervento armato contro la Siria sarebbe stato uno
sproposito.
Ma “no”, soprattutto perché le ultime
lezioni di politica internazionale, a partire dall’Iraq fino alla Libia, attraverso
la Tunisia e
l’Egitto, hanno insegnato una cosa semplicissima. Le vicende interne di un
paese non sono mai così chiare come si vuole dar ad intendere; non lo sono in origine
e meno ancora nell’epilogo. La cosiddetta primavera araba dei soliti visionari
occidentali che vedono primavere ad ogni scàzzica di vento si è rivelata come
la più rapida e ingestibile destabilizzazione dell’intera Africa mediterranea,
con gravissimi problemi per i paesi colpiti. Si capisce niente in Tunisia? Si
capisce niente in Libia? In Egitto s’incomincia a capire qualcosa perché è
scattata la reazione militare per recuperare il paese alla sua tradizionale
posizione.
A noi italiani sarebbe convenuto
che Gheddafi campasse mille anni. Lo prendevamo per “fesso” come volevamo, con
qualche pagliacciata in casa nostra, ma allo stesso tempo ci assicuravamo
mercato e stabilità dirimpettaia. Con Gheddafi non arrivavano in servizio di
linea tutti i profughi, chiamiamoli così, dall’intero continente africano ed
ora dal Medio Oriente, che sono arrivati dopo la sua scomparsa. Gheddafi era
per noi italiani e occidentali un punto di riferimento sicuro. Ed oggi viene il
sospetto che sia stato fatto fuori proprio per questo. Se Berlusconi non fosse
stato il leader azzoppato e screditato che era presso i suoi colleghi europei e
l’opinione pubblica internazionale si sarebbe opposto all’attacco alla Libia,
perché in politica si fa ciò che è utile al proprio paese, non si fa ciò che
piace agli altri. Uno statista applica Machiavelli non Superman. In politica,
tra alleati, non si deve imporre ma neppure subire. L’eliminazione di Gheddafi
noi l’abbiamo subita e oggi ne paghiamo le conseguenze.
L’attacco chimico a Damasco, che
è cosa assolutamente intollerabile, non è certo e purtroppo non è accertabile
chi sia stato ad effettuarlo, se il regime di Assad o i ribelli, che finora
hanno dimostrato di saper tenere testa al regime e di avere anche teste
pensanti per adottare politiche militari fuorvianti. Nessuno oggi si sogna di
pensare che i ribelli siano forieri di primavere. Sono i rappresentanti più
fanatici del mondo musulmano, di Al Quaeda, ossia dell’organizzazione
terroristica mondiale più attrezzata, diffusa e pericolosa.
Gli americani si son risentiti
per i toni del nostro ministro degli esteri, la radicale Emma Bonino, perché
non sono abituati alle posizioni ragionate, non sono abituati a contare almeno
fino a dieci prima di prendere la corda e appendere il presunto colpevole
all’albero, come facevano nel Far West i loro progenitori. Ora gli Americani
rischiano di perdere la faccia un’altra volta, dopo le tante nel corso del
Novecento e di questo inizio di millennio. Dicono di lavorare per la pace.
Obama ha addirittura ricevuto il Nobel della pace, ma intanto accendono focolai
di guerra in tutto il mondo. La guerra, comunque accada, è la sconfitta della
politica. E gli Americani dovrebbero interrogarsi sulle ragioni della loro
incapacità politica di tenere buono il mondo. La loro superiorità militare ed
economica ha imposto una superiorità politica che non hanno.
A certe situazioni, come l’uso
della armi chimiche, non si dovrebbe arrivare. Purtroppo né gli Stati Uniti né
l’Europa riescono ad avere una politica di buoni ed efficaci rapporti con i
vari Stati sparsi nel mondo, specialmente con quelli che una volta venivano
definiti “canaglia”. Gli Occidentali hanno smarrito le doti politiche che
avevano una volta. Quel che sanno pensare e fare oggi è muovere subito portaerei
e minacciare ogni qual volta scoppia una scintilla, oggi in Siria, ieri in
Corea, l’altro ieri in Libia e domani chissà. Non ci sono più rapporti
confidenziali, fiduciari tra uomini politici di paesi diversi, per cui, a
volte, bastava che essi si parlassero per trovare la soluzione di un caso anche
spinoso.
In Siria si combatte da due anni.
Una cosa orribile e terribile, una guerra civile che né gli Stati Uniti
d’America né l’Europa sono riusciti a fermare, a ricomporre. Hanno assistito
con le mani in mano, come se la questione non li riguardasse. E invece li
riguarda, ci riguarda. Come ci riguardava la Tunisia , come ci riguardava la Libia , come ci riguardava
l’Egitto.
In Siria sta accadendo quanto
accadde in Libano un po’ di anni fa, tutti contro tutti, con un regime, che
sarà anche duro e odioso, ma è pur sempre il governo legittimo, che cerca di
salvare lo Stato e le sue istituzioni. Perché aspettare il momento per
giustificare un intervento al buio, che non si sa dove porti, e non intervenire
con la diplomazia per aiutare il popolo siriano a ritrovare la pace di cui ha
goduto per tanti anni? La risposta probabilmente sta nella crisi non solo di
uomini all’altezza delle situazioni ma anche delle istituzioni internazionali
che durano ormai da troppi anni e conservano strutture e regole vecchie di
settant’anni. Il diritto di veto che hanno le cinque potenze mondiali che
compongono il Consiglio di Sicurezza, le vincitrici della seconda guerra
mondiale, è anacronistico e invalida un’istituzione che potrebbe invece essere
più puntuale ed efficace nell’azione dissuasoria.
Il no dell’Europa all’intervento in Siria potrebbe essere l’inizio di
una svolta anche nell’ambito delle Nazioni Unite. Anche per questo il governo
italiano si merita un bravo in condotta.
Nessun commento:
Posta un commento