domenica 15 settembre 2013

Letta, per qualche giorno in più


Il governo Letta mi ricorda il titolo di un film e l’agonia di un governo. Il film è “Per qualche dollaro in più”, della serie western di Sergio Leone, con quel grandissimo attore che è Clint Eastwood. Il governo è il secondo di Romano Prodi, che visse qualche giorno in più grazie ai senatori a vita, mai così pietosamente utili, e perciò mai così insulsamente offesi dalla concorrenza del centrodestra.
Il voto della Giunta alle elezioni del Senato che si sta occupando della decadenza o meno di Berlusconi da senatore è stato rimandato a mercoledì sera, 18 settembre, dopo furibonde polemiche. Si è subito detto che il rinvio aveva salvato il governo. Ma, che differenza fa se il governo cade quattro giorni prima o quattro giorno dopo? Non si capisce, come non si capiscono tante altre cose in questo nostro Paese.
Non si capisce, per esempio, perché Letta porti avanti la politica degli annunci, dopo che proprio lui più volte l’aveva rimproverata all’ultimo governo Berlusconi. E sì che il Cavaliere poteva anche annunciare, dato che aveva “davanti” il tempo per far seguire qualcosa e “dietro” un mandato popolare: aveva vinto le elezioni. Mentre lui, Letta, non ha vinto un bel niente, ha una mano davanti e un’altra dietro; è espressione di un partito-arlecchino, che, dopo minacce di sfracelli contro l’odiato nemico Berlusconi, si è accoppiato col suo centrodestra, generando, come la mitica Pasife, un brutto Minotauro.
Ancora, non si capiscono i proclami di Letta sulla funzione storica del suo governo, che, a suo dire, non si limita a galleggiare ma a fare l’Italia vecchia-nuova. A Bari, parlando alla Fiera del Levante, ha detto che l’Italia non si farà dettare da Bruxelles il patto di stabilità, ma che se lo elabora e approva da sé, perché ormai il nostro non è un Paese sotto sorveglianza europea. Peccato che nel mentre lui dice queste cose scorrono sullo schermo televisivo i titoli che riportano i dati del nostro ritardo a uscire dalla crisi, delle nostre insistenti e persistenti difficoltà economiche. Poi, adeguandosi al clima di minacce e ricatti delle forze politiche della sua coalizione, avverte che se cade il governo si pagherà l’Imu e il patto di stabilità ce lo imporrà Bruxelles.
Sparare sul governo, però, è come sparare sulla Croce Rossa. E’ un governo nato per volontà di Napolitano, che a sua volta, come presidente rieletto, è figlio dell’impotenza politica. Sono cose che sappiamo, le abbiamo vissute solo alcuni mesi fa. Nessuno ce le ha raccontate, magari falsandole; no, le abbiamo proprio viste coi nostri occhi, sentite con le nostre orecchie, toccate con le nostre mani. Si tratta di una serie di provvisorietà, ad incominciare dalla presidenza della repubblica, per passare al governo. Provvisorietà pianificate e accettate, anche se avvolte da una normalità funzionale a farsi credere di lunga durata.
Il percorso è scoperto: presidenza della repubblica e governo durano giusto il tempo per far fuori Berlusconi e possibilmente fare una legge elettorale per votare subito dopo. Se così non fosse, la presidenza della repubblica, come tante altre volte è accaduto nella storia di questo Paese, avrebbe rimosso la causa che rende precario questo governo, ossia la condanna di Berlusconi. Berlusconi, assolto per non aver commesso il fatto o per prescrizione, avrebbe garantito lunga vita al governo Letta o avrebbe costretto gli “abatini” del Pd a impuntarsi contro di lui, per aprire ad una nuova fase. Nota 1: gli abatini, termine coniato da Gianni Brera, erano quei calciatori bravi e geniali ma gracili e vigliacchetti come Rivera, Mazzola, Bulgarelli, che spesso e volentieri tiravano la gamba indietro. Proprio come sono i tanti candidati a tutto che si aggirano oggi nel Pd. Niente da paragonare, sempre usando il lessico di Gianni Brera, a Riva “Rombo di tuono” o al duro Boninsegna detto “Bonimba”.
Forse Letta pensa di stare in una botte di ferro proprio perché a metterli insieme tutti, gli abatini del Pd, non fanno un discreto politico vero. Forse Letta si sente al sicuro per l’inconsistenza del gran chiacchierare di Grillo e dei suoi pentastellati. Nota 2: Li chiamano così i giornalisti amici, con un termine davvero spropositato, probabilmente con intento risarcitorio, dato che sono delle meteoriti vaganti in cerca di aggregarsi e formare davvero qualcosa. Forse Letta Enrico spera nella protezione dello zio Letta Gianni, uomo di grande influenza su Berlusconi. Non è un rapporto da niente. Berlusconi è un sentimentale. Fosse stato per lui avrebbe fatto Apicella ministro e don Verzè santo subito. Un dispiacere al suo fido Gianni non lo farà a cuor leggero.   

Dunque Letta aspetta e spera che dopo un giorno viene l’altro e l’altro ancora. Ma non c’è catena che non esaurisca i suoi anelli. La condanna di Berlusconi segnerà la sua fine, inevitabile. Può anche succedere che considerato decaduto dalla Commissione, Berlusconi venga poi salvato dal Senato che voterà in segreto, come vuole il regolamento. Ma qualora tanto si verificasse, il governo cadrebbe lo stesso, perché questo governo è nato con uno scopo, non dichiarato e perciò non manifesto. Se raggiungerà lo scopo tanto meglio, se non lo raggiungerà tanto peggio. Ma nell’uno come nell’altro caso per Berlusconi è la fine e per Letta nipote quanto meno la fine di questa esperienza. Rimarrà probabilmente come risorsa per altre similari soluzioni, perché Letta è di quei politici “a Dio piacenti e agli amici sui”, figura tipica di quella grande famiglia che è stata la Democrazia cristiana.

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