domenica 22 settembre 2013

Situazione politica: Pronti, via al nulla!


Nei giorni scorsi abbiamo visto e ascoltato quattro illustri personaggi della nostra quotidianità politica esprimere il proprio punto di vista su un medesimo argomento con incredibile difformità di valutazione e di giudizio. Argomento: rapporto tra politica e giustizia.
Abbiamo sentito Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia, difendersi dalle condanne penali, aventi ricadute politiche, attaccare la magistratura che, a suo dire, da vent’anni lo perseguita (50 processi). Abbiamo sentito Guglielmo Epifani, segretario del Pd, difendere lo Stato di diritto dagli attacchi di Berlusconi, che, a suo dire, non è più nella condizione di doversi difendere ma semplicemente di doversene andare. Abbiamo visto e sentito Enrico Letta, presidente del consiglio, difendere la magistratura, che fa il suo dovere e non perseguita nessuno. Abbiamo visto e sentito Giorgio Napolitano, presidente della repubblica, che dice basta contrapposizione tra magistratura e politica: vogliatevi tutti bene.
Tra i quattro, Berlusconi è isolato: gli altri tre gli danno torto, la magistratura ha ben operato, dunque nessuna persecuzione nei suoi confronti, si metta l’animo in pace e non se ne parli più.
Ma possono i tre illustri interlocutori fare questo ragionamento? Se lo hanno fatto e lo fanno significa che possono. Che domande! Ma la politica non è il regno della ragione e i collegamenti con l’intelligenza universale, di cui parlava Aristotele, si sono interrotti da tempo.
E, allora, no; non possono fare ragionamenti così drasticamente antiberlusconiani. Se non altro perché Berlusconi  sta saldamente nel gruppo dei quattro personaggi, tutti protagonisti e sostenitori, a vario titolo, del governo attuale, e dicono di essere d’accordo su un punto: il Paese prima di tutto. Se Berlusconi è organico al bene del Paese, come par di capire, nel momento in cui si sfilasse dal gruppo di “benefattori”, il governo cadrebbe. Se ciò accadesse, stando a quanto dicono tre volte al giorno ognuno di essi, sarebbe la rovina. Un rompicapo: tutti dicono che bisogna stare insieme per il bene del Paese e tutti, poi, fanno di tutto per dividersi.
Si dà il caso che in questo perseguire prioritariamente il “bene del Paese” il più pesto di tutti è Berlusconi; gli altri, Napolitano non rimette niente, è super partes, Letta ci guadagna, Epifani spera di guadagnarci.
Berlusconi, benché indicato e trattato dai suoi “sodali” come il nemico di sempre, non si sfila, non se ne va, anzi proclama il suo impegno per il suo partito, per il governo e per l’Italia. Forse Berlusconi sotto sotto sa di aver torto? Forse pensa che alla fine chi la dura la vince, come dice un proverbio, non estraneo al suo modo pensare? Questi forse e molti altri forse non aiutano a capire. Ci sono elementi di relativa oggettività per fortuna che illuminano la scena. Uno in particolare: Berlusconi si sente il meglio piantato di tutti.
Paradossalmente e a dispetto delle condanne giunte e di altre in arrivo, il più saldo sulla scena è il Cavaliere, tant’è che lui non si preoccupa dei suoi tre compagni di strada, che potrebbero perdersi a breve, ma di uno che al momento è fuori ed è in concorso di entrare nell’agone politico; pensa a Matteo Renzi. Il quale all’Assemblea del Pd di sabato, 21 settembre, ha detto ai suoi che è meglio governare da soli. Ma guarda, anche l’acqua calda gli è seconda!
Napolitano – che il Signore gli dia cento anni altri di vita! – non promette longevità politica, che è altra cosa dalla longevità biologica. Dunque, rispetto a Berlusconi, è più provvisorio. Epifani è geneticamente provvisorio, infatti è nato segretario politico del Pd per preparare il Congresso, cosa che non dovrebbe andare oltre gli inizi dell’anno prossimo. Letta è il più provvisorio di tutti, potrebbe non arrivare a mangiarsi il panettone, come quegli allenatori di squadre di calcio esonerati anzitempo. Lui dice che vuole giocare all’attacco; ma all’attacco di chi? Nel Pd, parole di circostanza a parte, è malvisto. E’ considerato un raccomandato, uno che per una serie di circostanze favorevoli si è ritrovato da grigio vice di Bersani a presidente del consiglio, così senza sapere né leggere né scrivere. Prendiamo le parole nel loro significato gergale, perché poi Letta il fatto suo lo sa, e lo sa bene.
Quel che si vede nelle immediate vicinanze – l’orizzonte è nascosto dalla nebbia – è un centrodestra e un centrosinistra in crisi. Il Pdl di fatto è regredito in Forza Italia. Di quelli che una volta venivano chiamati forse anche con una forzatura, ma senz’altro con immediata comprensione, neofascisti nemmeno l’ombra. La destra moderna ed europea di Fini è archeologia partitica. Gli altri sono gruppuscoli, che messi assieme non raggiungono la percentuale per superare lo sbarramento. Per fortuna c’è il transatlantico berlusconiano che rimorchia tutti; per lo meno è speranza di naufraghi.
Nel centrosinistra le cose non stanno meglio. Dopo il fallimento di Bersani, non si intravede una leadership attendibile. Si sarebbe dovuti andare ad elezioni anticipate alla fine del 2011, ma il partito evidentemente non era pronto. Manca una leadership, nonostante non manchino gli uomini. Per vincere il Pd aveva ed ha bisogno ancora oggi del Sel di Nichi Vendola, che, però, non concede nulla gratia et amore Dei. E, allora, il percorso diventa complicato, come già è accaduto in passato. Forse Renzi, quando dice che è meglio governare da soli non si riferisce soltanto ai nemici-amici del Pdl, ma anche agli amici-nemici vendoliani e sinistri in genere.

A fronte di questa frammentazione politica c’è la minaccia delle elezioni politiche anticipate, che potrebbero essere più vicine di quanto non sembri. Ma neppure per questa eventualità si è attrezzati. Manca un sistema elettorale adeguato alla circostanza, che dia indicazioni sicure di vittoria, che consenta stabilità governativa e che alla fine, come accade in questo straordinario Paese, non diventi il capro espiatorio di anonime responsabilità politiche. Come accade da un po’ di anni a questa parte col povero porcellum.  

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