domenica 25 agosto 2013

Berlusconi, tra tovaglie d'altare e temporeggiatori


A sentirli gli esponenti del Pd pontificare sulla giustizia, che è uguale per tutti, che non si baratta, che le sentenze vanno rispettate e applicate e via sfondando porte aperte, appaiono tutti come tante tovaglie d’altare. Purtroppo per loro oggi a sinistra manca l’altare, manca il partito in grado di prendere delle decisioni, di compiere delle scelte, di discuterle prima e di rispettarle poi. La grandissima minchiata fatta a proposito dell’elezione del Presidente della Repubblica, già grave in sé, è gravissima perché ha messo a nudo l’inconsistenza e l’inutilità di qualsiasi guida a quel partito che una volta, Pci o Dc, costituiva un modello di pluralità cogitativa all’interno e di compattezza operativa all’esterno. Oggi spera che la magistratura gli tolga di torno il nemico per avere libero il campo. Illusione: per un Berlusconi che muore, un altro ne nasce. Dovrebbero saperlo in quei paraggi.
Ma torniamo alle tovaglie d’altare, agli incorrotti e incorruttibili del Pd. Siamo in Italia, paese dove, da sempre, prima e dopo l’unificazione, non c’è stata tovaglia d’altare che non sia stata usata anche per libagioni e abluzioni. Far finta di trovarsi in un altro paese è storia di ipocrisie e di spregiudicatezze politiche. Neppure consentite ai tanti cachielli, più o meni Civati, sciolti di lingua ma scarsi di letture storiografiche e letterarie. Si dirà: ognuno pensa e parla secondo immediato e circoscritto interesse. Non è stato sempre così?
Ciò detto, bisogna ribadire che al punto in cui la questione Berlusconi è arrivata, condanna passata in giudicato, non doveva arrivare. No, qui non si fa questione di magistratura politicizzata – si sfonderebbero porte aperte sull’altro versante – semplicemente si ricorda che in Italia separazione e indipendenza dei poteri si risolvono in quel tessuto connettivo, dove, a certi livelli e in certe situazioni, abili e occulti tessitori hanno saputo ricamare soluzioni per evitare il peggio.
Vero, verissimo che Berlusconi, al punto in cui si è giunti, deve decadere da Senatore e non è candidabile. E’, questo, il livello giudiziario, sul quale oggi come oggi non si dovrebbe proprio discutere. Parlare di approfondimento della legge Severino o addirittura di non applicabilità per Berlusconi in quanto successiva ai fatti è pura cavilleria.
Berlusconi fa bene a non voler chiedere la grazia, ma fa malissimo a non dimettersi prima che il Parlamento si divida sulla sua decadenza provocando la caduta del governo.
Ma c’è un livello politico, e qui – come dicono i francesi - à la guerre comme à la guerre!  Qui il peggio non è stato evitato e pare che non sia più evitabile. Non perché di colpo in Italia sia scomparso il provvidenziale tessuto connettivo salva-situazioni di cui si parlava, solo che questa volta si è risolto in vantaggio di una parte politica. I tessitori più abili hanno prevalso sugli altri. La qual cosa ha inasprito lo scontro. L’altra parte, infatti, sperava, addirittura contava, che la questione si sarebbe in qualche modo risolta. Diciamola tutta: contava sull’assoluzione di Berlusconi o sul rifacimento del processo per qualcuno di quei vizi di forma, che la Cassazione non avrebbe fatto fatica a trovare. 
Le poste in gioco tuttavia sono diverse. Una è che si vuole arrivare a far cadere il governo Letta, che tutti dicono di voler salvare. Siccome – altro refrain – la fine del governo sarebbe una rovina per il paese, ognuna delle due parti si appresta e si affatica a far risultare l’altra responsabile del peggio. Se diamo per buona – e speriamo che così non sia – che al male di Letta segua il peggio abbiamo una ipotetica maggioranza, presumibilmente di sinistra, che si augura il peggio per trarre un vantaggio politico. Neppure questo è nuovo per l’Italia: cada Firenze purché con essa finiscano i ghibellini o i guelfi a seconda delle situazioni.
E’ pur vero che da una situazione se ne crea un’altra. Quale potrebbe essere l’altra? Qualcuno potrebbe fare il cunctator, cioè il temporeggiatore. Questo qualcuno potrebbe essere il Presidente Napolitano. Non a caso il Pdl a lui si rivolge per sollecitare un provvedimento o un semplice intervento che sblocchi la situazione. Il cunctator, di cui si diceva, prende tempo e più tempo passa più subentra nel popolo del centrodestra la rassegnazione all’uscita di scena definitiva di Berlusconi e alla necessità di puntare su un nuovo leader. Berlusconi, oggi, non è minimamente paragonabile al suo essere abituale, sorridente, ottimista, vanesio. E quando cerca di apparire com’era si riduce ad una maschera, una sorta di Donna Poponica, che suscita solo compassione nei suoi sostenitori, pregustazione della sua imminente fine nei suoi avversari.

Questo apre scenari a destra. Che è un’altra posta in gioco. La distinzione tra falchi e colombe è significativa e svela un livello di lotta per la successione. Apparentemente i falchi sembrano i più accreditati a succedergli perché suoi fedeli sostenitori, i suoi ultras; ma a considerarli sono quelli che all’apertura della successione sono i meno attrezzati, sono i perdenti. Essi, infatti, legano le loro prospettive alla persona del capo; ma il suo indebolimento è anche il loro indebolimento. E’ come tenersi ad un appiglio per non precipitare; se cede l’appiglio, cedono tutti quelli che si erano aggrappati. Le colombe, invece, hanno una prospettiva diversa, quella di un partito ben strutturato ed articolato; esse sperano proprio nella progressiva usura dell’immagine di Berlusconi per realizzare il loro progetto politico, un partito costruito su basi nuove, con nuove gerarchie, con nuove strategie politiche.  Non sono né traditori né profittatori, sono dei politici che ragionano ed operano con realismo e lungimiranza.

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