Un grande deve saper vincere e
perdere con la stessa dignità. Tanto più che i piccoli che gli stanno attorno
hanno una coerenza straordinaria nella loro miserabile ipocrisia. Non parlo dei
vicini, se pure ve ne sono in tempi di disgrazia, ma dei distanti e degli
opposti, che giungono perfino a riconoscere allo sconfitto, ormai ridotto
all’inoffensività, delle ragioni, che finiscono per alimentare il suo stato di sofferenza.
Berlusconi è stato finalmente
sconfitto. E’ una constatazione. La condanna inflittagli dalla giustizia lo
mette fuori gioco pressoché definitivamente, almeno a livello personale. E’ una
pietosa concessione dirgli che dopotutto può sempre fare politica agli arresti
domiciliari o tra un servizio sociale e l’altro. Ed è un insulto ventilare
l’ipotesi di richiesta di grazia al Presidente della Repubblica: meglio un
disgraziato ritto che un graziato prono. E poi, quante parti in commedia
vogliamo attribuire a Napolitano? Per favore, la grazia no!
Berlusconi deve prendere atto di
aver avuto una grande stagione della sua irripetibile formidabile vita e che
ora, alla fine, occorre onorarla con un gesto adeguato.
Ha costruito dal nulla un impero
economico, che ha dato ricchezza al Paese, ha migliorato le condizioni di vita
della gente, ha dato lavoro, gioia ed entusiasmo. Il bilancio è decisamente
positivo, lascia in forte credito. E’ storia, insieme con le chiacchiere di
omuncoli che mal hanno sopportato la dilatazione di questo grande. Ma in fondo
anche gli omuncoli hanno contribuito a farlo risaltare di più sulla scena.
Ha costruito dal nulla, con
materiali politici di risulta abbandonati come in una discarica, un partito che
ha governato il Paese per vent’anni sia pure in discontinuità e costantemente
in lotta politica e giudiziaria. In questo Paese, infatti, c’è una giustizia
che meriterebbe di essere processata da un tribunale serio, sia per come
tecnicamente e ambientalmente si esercita, sia per le tabe ideologiche e
morali, che la rendono politicamente schierata e nei singoli o inutilmente
padreternale o tesa a costruirsi carriere.
Ha condotto una vita da nababbo,
ostentando vizi e facendo dell’ostentazione un piacere aggiunto, fino a farsi
percepire come uno che può quel che vuole al di là del bene e del male, dentro
e fuori la legge, circondato da soggetti da basso impero.
Tre piani di vita vissuti
intensamente che lo hanno per quasi vent’anni esposto ad attacchi violenti, in
parte giusti e in parte comprensibili in un mondo in cui il suo stile di vita è
consentito purché i tre piani restino separati, come appartenenti a tre persone
diverse. Tutti e tre in uno fanno un soggetto insopportabile, e dunque da
eliminare.
Ora si trova nella situazione che
per un grande arriva puntuale, quella della sconfitta. Quel che ora è chiamato
a compiere non deve rispondere ad improbabili resistenze, come si ha
l’impressione che lui voglia fare o che da lui si pretenda. Mutuando l’invito
posto nel titolo del romanzo di Walter Siti, Premio Strega 2013, “Resistere non
serve a niente”, senza alcuna allusione, deve compiere un gesto di altruismo e
di magnanimità, che andrebbe a coronare l’esistenza di un combattente; dovrebbe
dimettersi da Senatore prima ancora di porre il Senato nella condizione di
doversi spaccare sul voto che lo riguarda e di conseguenza far cadere il
governo. La caduta del governo Letta non sarebbe la fine del mondo, ma nella
situazione in cui si trova il Paese, soprattutto in difetto di una legge
elettorale che dia un responso chiaro di governabilità, sarebbe un salto nel
vuoto. Il Paese è debilitato e presenta sintomi di una schizofrenia politica
dagli esiti rovinosi.
Ma un gesto di saggezza, direi di
grandezza, da parte di Berlusconi avrebbe anche una ricaduta politica positiva
per la sua parte. Nello schieramento opposto, infatti, c’è chi spinge a far
cadere il governo coi soliti stratagemmi di democristiana memoria. La
bizantineggiante Rosy Bindi va ripetendo che dopo la condanna della Cassazione
il governo Letta deve sottoporsi ad una sorta di rifiducia dal momento che la
prima fiducia si riferiva ad un quadro politico diverso dall’attuale, la
diversità essendo sopravvenuta appunto con la condanna di Berlusconi e la sua
decadenza da Senatore. Come se in questi ultimi mesi non si fosse ripetuto a tamburo
battente che la sentenza della Corte di Cassazione non avrebbe influito sulle
sorti del governo. Un furbo modo, quello della Bindi e compagni, di creare nel
Parlamento quella maggioranza auspicata da Bersani nel suo tentativo di
coinvolgere il Movimento 5 Stelle, se non proprio in una organica
partecipazione al governo, in un appoggio volta per volta su ogni singolo atto
dell’ipotizzato governo assembleare.
Quanto si è visto finora nel
partito di Berlusconi non lascia ben sperare. Lacrime, improperi, minacce,
dimissioni in massa, sono tutte manifestazioni di isterismo, neppure
giustificato dalla presenza di tante “amazzoni”. A maggior ragione Berlusconi
deve compiere il gesto delle dimissioni, per salvare non solo il governo e per
esso il Paese, ma anche la sua parte politica, in questo momento esposta a
rischi di suicidio.
I grandi compiono i gesti più
nobili e più significativi in condizioni di difficoltà. E’ la prova del nove di
quello spessore umano e politico a cui ambiscono.
Nessun commento:
Posta un commento