domenica 4 agosto 2013

Berlusconi, resistere non serve a niente


Un grande deve saper vincere e perdere con la stessa dignità. Tanto più che i piccoli che gli stanno attorno hanno una coerenza straordinaria nella loro miserabile ipocrisia. Non parlo dei vicini, se pure ve ne sono in tempi di disgrazia, ma dei distanti e degli opposti, che giungono perfino a riconoscere allo sconfitto, ormai ridotto all’inoffensività, delle ragioni, che finiscono per alimentare il suo stato di  sofferenza.
Berlusconi è stato finalmente sconfitto. E’ una constatazione. La condanna inflittagli dalla giustizia lo mette fuori gioco pressoché definitivamente, almeno a livello personale. E’ una pietosa concessione dirgli che dopotutto può sempre fare politica agli arresti domiciliari o tra un servizio sociale e l’altro. Ed è un insulto ventilare l’ipotesi di richiesta di grazia al Presidente della Repubblica: meglio un disgraziato ritto che un graziato prono. E poi, quante parti in commedia vogliamo attribuire a Napolitano? Per favore, la grazia no!
Berlusconi deve prendere atto di aver avuto una grande stagione della sua irripetibile formidabile vita e che ora, alla fine, occorre onorarla con un gesto adeguato.
Ha costruito dal nulla un impero economico, che ha dato ricchezza al Paese, ha migliorato le condizioni di vita della gente, ha dato lavoro, gioia ed entusiasmo. Il bilancio è decisamente positivo, lascia in forte credito. E’ storia, insieme con le chiacchiere di omuncoli che mal hanno sopportato la dilatazione di questo grande. Ma in fondo anche gli omuncoli hanno contribuito a farlo risaltare di più sulla scena.
Ha costruito dal nulla, con materiali politici di risulta abbandonati come in una discarica, un partito che ha governato il Paese per vent’anni sia pure in discontinuità e costantemente in lotta politica e giudiziaria. In questo Paese, infatti, c’è una giustizia che meriterebbe di essere processata da un tribunale serio, sia per come tecnicamente e ambientalmente si esercita, sia per le tabe ideologiche e morali, che la rendono politicamente schierata e nei singoli o inutilmente padreternale o tesa a costruirsi carriere.
Ha condotto una vita da nababbo, ostentando vizi e facendo dell’ostentazione un piacere aggiunto, fino a farsi percepire come uno che può quel che vuole al di là del bene e del male, dentro e fuori la legge, circondato da soggetti da basso impero.
Tre piani di vita vissuti intensamente che lo hanno per quasi vent’anni esposto ad attacchi violenti, in parte giusti e in parte comprensibili in un mondo in cui il suo stile di vita è consentito purché i tre piani restino separati, come appartenenti a tre persone diverse. Tutti e tre in uno fanno un soggetto insopportabile, e dunque da eliminare.
Ora si trova nella situazione che per un grande arriva puntuale, quella della sconfitta. Quel che ora è chiamato a compiere non deve rispondere ad improbabili resistenze, come si ha l’impressione che lui voglia fare o che da lui si pretenda. Mutuando l’invito posto nel titolo del romanzo di Walter Siti, Premio Strega 2013, “Resistere non serve a niente”, senza alcuna allusione, deve compiere un gesto di altruismo e di magnanimità, che andrebbe a coronare l’esistenza di un combattente; dovrebbe dimettersi da Senatore prima ancora di porre il Senato nella condizione di doversi spaccare sul voto che lo riguarda e di conseguenza far cadere il governo. La caduta del governo Letta non sarebbe la fine del mondo, ma nella situazione in cui si trova il Paese, soprattutto in difetto di una legge elettorale che dia un responso chiaro di governabilità, sarebbe un salto nel vuoto. Il Paese è debilitato e presenta sintomi di una schizofrenia politica dagli esiti rovinosi.
Ma un gesto di saggezza, direi di grandezza, da parte di Berlusconi avrebbe anche una ricaduta politica positiva per la sua parte. Nello schieramento opposto, infatti, c’è chi spinge a far cadere il governo coi soliti stratagemmi di democristiana memoria. La bizantineggiante Rosy Bindi va ripetendo che dopo la condanna della Cassazione il governo Letta deve sottoporsi ad una sorta di rifiducia dal momento che la prima fiducia si riferiva ad un quadro politico diverso dall’attuale, la diversità essendo sopravvenuta appunto con la condanna di Berlusconi e la sua decadenza da Senatore. Come se in questi ultimi mesi non si fosse ripetuto a tamburo battente che la sentenza della Corte di Cassazione non avrebbe influito sulle sorti del governo. Un furbo modo, quello della Bindi e compagni, di creare nel Parlamento quella maggioranza auspicata da Bersani nel suo tentativo di coinvolgere il Movimento 5 Stelle, se non proprio in una organica partecipazione al governo, in un appoggio volta per volta su ogni singolo atto dell’ipotizzato governo assembleare.
Quanto si è visto finora nel partito di Berlusconi non lascia ben sperare. Lacrime, improperi, minacce, dimissioni in massa, sono tutte manifestazioni di isterismo, neppure giustificato dalla presenza di tante “amazzoni”. A maggior ragione Berlusconi deve compiere il gesto delle dimissioni, per salvare non solo il governo e per esso il Paese, ma anche la sua parte politica, in questo momento esposta a rischi di suicidio.

I grandi compiono i gesti più nobili e più significativi in condizioni di difficoltà. E’ la prova del nove di quello spessore umano e politico a cui ambiscono.

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