venerdì 19 luglio 2013

Zizzi e la sua cornice poetica. A Sud del Sud dei Santi


Per pubblicare l’antologia A Sud del Sud dei Santi. Sinopsie, Immagini e Forme della Puglia Poetica. Cento anni di Storia Letteraria Michelangelo Zizzi è andato al Nord del Nord dei Santi: Faloppio in provincia di Como, dove un altro Michelangelo – tal Camelliti – è titolare della casa editrice “LietoColle”, dantesco alquanto. Una cornice davvero “nazionale”, una autentica consanteria, variazione di confraternita-consorteria. Consanteria (neologismo).
Ora, le antologie, in genere, irritano e fanno discutere per inclusioni ed esclusioni. Che antologia sarebbe quella che tenesse tutti contenti? Non vale perciò inquietarsi per l’ennesima inclusione-esclusione. De gustibus! E, del resto, non mi azzarderei a dire: questo non andava incluso e quest’altro non andava escluso. Non conosco tutti gli uni e non conosco tutti gli altri. In ogni antologia c’è chi c’è, non c’è chi non c’è, versione letteraria di quella calcistica dell’allenatore Boskov: è rigore quando arbitro fischia.
Zizzi ha detto in apertura che lui ha voluto monografare i quattordici migliori poeti della Puglia, con un criterio, quello che lui ha della lingua poetica, poi spiegata in prefazione. “La scelta relativa a quali autori monografare è interamente mia – dice il curatore – e l’ho effettuata con coscienza, consapevolezza critico-storica e fierezza”; per poi aggiungere: “questo non deve essere considerato un saggio accademico, ma un’altra cosa, quindi molto di più” (Piano dell’opera). Cosa, Zizzi?
Su che cosa sia questo libro torna Stefano Donno nel saggio introduttivo della Prima parte: il Salento. “Non è possibile – dice Donno – avere pretesa di scientificità, perché sovente un sentimento o una vicinanza verso questo o quel poeta, la voglia di uscire da una profonda infatuazione verso questa terra stride con lo sforzo di avere sempre sottomano quello che accade anche nel resto d’Italia. E limitante o piuttosto miope sarebbe inoltre il tentativo, in un contributo di questo genere, di farsi testimoni di un percorso meramente storico” (p. 37). Una professio fidei laica. Bravo!
Insomma, non mi piace menarla: questo libro non ha scientificità critico-letteraria e non è neppure un racconto storiografico, come pure si sottotitola, ma una raccolta di materiali per la storia, quella che altri scriveranno, i quali non potranno non tener conto che è stato scritto, come il curatore confessa “un po’ di qui e un po’ di là”, che qualcun altro potrebbe dire – locuzione per locuzione! – alla cazzo di cane. E’ risibile fare un indice analitico come fosse una tabula gratulatoria, senza il rimando alle pagine. Per evitare rapide consultazioni in libreria? Beh, il libro è pur sempre un prodotto commerciale.
Pignoleria, verrebbe di dire, per il piacere di dispiacere; ma dico di no, semplice osservanza di una legge non scritta, che corrisponde a quella scritta che obbliga chi produce marmellata o insaccati di indicare gli ingredienti. Un libro è un insaccato, un’antologia lo è ancora di più, deve presentarsi con correttezza e aggiungo con garbo, che difettano, invece, A Sud del Sud dei Santi. Dove si legge, peraltro, con gratuito cattivo gusto, di aver incluso “anche alcune claudicanze, i minori, i critici da quattro soldi che sovente si aggregano nella lussuria autoreferenziale delle accademie poetiche salentine, tarantine, baresi, foggiane. […] Così non abbiamo escluso i modi cortilenanti (neologismo) o comunque opachi di fare saggistica: dalla salumeria critica di un Giannone all’ordinaria analessi dell’ordinario Valli, alla balbuzie…di un Augieri”. (p. 33) Grazie, politica, che mi hai tenuto lontano dalle zizzerie!
Ma veniamo ad alcune futili osservazioni. Futili perché il duo Zizzi-Donno si è spiegato: nulla di scientifico, nulla di accademico. Diversamente sarebbero importanti.
La materia è vasta ed io, come dicevo, non li conosco tutti i monografati e gli antologizzati. Qualcuno, però, sì, mi è capitato di conoscerlo, benché di sguincio. Come professore di storia della letteratura italiana mi è stato giocoforza fermarmi alla prima metà del Novecento; come giornalista mi è capitato di varcare il Rubicone fino alle acque dei nostri tempi e luoghi. Ma neppure qui mi permetto di chiedere perché certi critici importanti neppure figurano nominati una sola volta. No, non mi metto neppure a segnalare le zoppìe di questo o quell’autore, l’assenza di quel saggio o di quell’articolo. Non servirebbe a niente. Non hanno detto Zizzi e Donno che non hanno fatto un lavoro scientifico? E, allora…
Una considerazione, però, va fatta. Possibile che noi salentini, per darci delle arie, dobbiamo ricorrere al solito barocco? La prosa di Zizzi, a partire dal titolo del libro, è pantagruelica, un’abbuffata di termini tecnici, il più delle volte inutili, spesso inventati e rivendicati come neologismi: le solite perle strane, baroque, appunto. Riemerge il solito provincialismo, il gusto e la ricerca di nascondere il vuoto, l’horror vacui, la furbizia di nascondere sotto un linguaggio astruso il vuoto di idee, la capacità di cogliere l’essenziale e di rappresentarlo con immediatezza e sintesi. Non per nulla Zizzi esalta la lentezza o come lui dice il “rallentamento”. Si potrebbe dire che in fondo valorizza e vende la sua merce. Ma rendiamoci conto che poesia – o lingua più in generale – non è lentezza, è rapidità, è chiarezza, è limpidezza, lampo, fulgurazione. Il rallentamento nasconde. La rapidità rivela. Con la rapidità si parla agli altri, col rallentamento ci si parla addosso.

Non lamentiamoci poi se i nostri poeti, compreso quello che Zizzi considera il dominus in assoluto, Carmelo Bene, dagli antologisti del Nord non sono neppure citati. O si è poeti o ci si atteggia. Se proprio non riusciamo a smettere di essere poeti, smettiamo almeno di atteggiarci.          

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