Per pubblicare l’antologia A Sud del Sud dei Santi. Sinopsie, Immagini
e Forme della Puglia Poetica. Cento anni di Storia Letteraria Michelangelo
Zizzi è andato al Nord del Nord dei Santi: Faloppio in provincia di Como, dove
un altro Michelangelo – tal Camelliti – è titolare della casa editrice
“LietoColle”, dantesco alquanto. Una cornice davvero “nazionale”, una autentica
consanteria, variazione di confraternita-consorteria. Consanteria (neologismo).
Ora, le antologie, in genere,
irritano e fanno discutere per inclusioni ed esclusioni. Che antologia sarebbe
quella che tenesse tutti contenti? Non vale perciò inquietarsi per l’ennesima
inclusione-esclusione. De gustibus!
E, del resto, non mi azzarderei a dire: questo non andava incluso e quest’altro
non andava escluso. Non conosco tutti gli uni e non conosco tutti gli altri. In
ogni antologia c’è chi c’è, non c’è chi non c’è, versione letteraria di quella
calcistica dell’allenatore Boskov: è rigore quando arbitro fischia.
Zizzi ha detto in apertura che
lui ha voluto monografare i quattordici migliori poeti della Puglia, con un
criterio, quello che lui ha della lingua poetica, poi spiegata in prefazione.
“La scelta relativa a quali autori monografare è interamente mia – dice il
curatore – e l’ho effettuata con coscienza, consapevolezza critico-storica e
fierezza”; per poi aggiungere: “questo non deve essere considerato un saggio
accademico, ma un’altra cosa, quindi molto di più” (Piano dell’opera). Cosa, Zizzi?
Su che cosa sia questo libro
torna Stefano Donno nel saggio introduttivo della Prima parte: il Salento. “Non
è possibile – dice Donno – avere pretesa di scientificità, perché sovente un
sentimento o una vicinanza verso questo o quel poeta, la voglia di uscire da
una profonda infatuazione verso questa terra stride con lo sforzo di avere
sempre sottomano quello che accade anche nel resto d’Italia. E limitante o
piuttosto miope sarebbe inoltre il tentativo, in un contributo di questo
genere, di farsi testimoni di un percorso meramente storico” (p. 37). Una professio fidei laica. Bravo!
Insomma, non mi piace menarla:
questo libro non ha scientificità critico-letteraria e non è neppure un
racconto storiografico, come pure si sottotitola, ma una raccolta di materiali
per la storia, quella che altri scriveranno, i quali non potranno non tener
conto che è stato scritto, come il curatore confessa “un po’ di qui e un po’ di
là”, che qualcun altro potrebbe dire – locuzione per locuzione! – alla cazzo di cane. E’ risibile fare un
indice analitico come fosse una tabula
gratulatoria, senza il rimando alle pagine. Per evitare rapide
consultazioni in libreria? Beh, il libro è pur sempre un prodotto commerciale.
Pignoleria, verrebbe di dire, per
il piacere di dispiacere; ma dico di no, semplice osservanza di una legge non
scritta, che corrisponde a quella scritta che obbliga chi produce marmellata o
insaccati di indicare gli ingredienti. Un libro è un insaccato, un’antologia lo
è ancora di più, deve presentarsi con correttezza e aggiungo con garbo, che
difettano, invece, A Sud del Sud dei
Santi. Dove si legge, peraltro, con gratuito cattivo gusto, di aver incluso
“anche alcune claudicanze, i minori, i critici da quattro soldi che sovente si
aggregano nella lussuria autoreferenziale delle accademie poetiche salentine,
tarantine, baresi, foggiane. […] Così non abbiamo escluso i modi cortilenanti
(neologismo) o comunque opachi di fare saggistica: dalla salumeria critica di
un Giannone all’ordinaria analessi dell’ordinario Valli, alla balbuzie…di un
Augieri”. (p. 33) Grazie, politica, che mi hai tenuto lontano dalle zizzerie!
Ma veniamo ad alcune futili
osservazioni. Futili perché il duo Zizzi-Donno si è spiegato: nulla di
scientifico, nulla di accademico. Diversamente sarebbero importanti.
La materia è vasta ed io, come
dicevo, non li conosco tutti i monografati e gli antologizzati. Qualcuno, però,
sì, mi è capitato di conoscerlo, benché di sguincio. Come professore di storia
della letteratura italiana mi è stato giocoforza fermarmi alla prima metà del
Novecento; come giornalista mi è capitato di varcare il Rubicone fino alle
acque dei nostri tempi e luoghi. Ma neppure qui mi permetto di chiedere perché
certi critici importanti neppure figurano nominati una sola volta. No, non mi
metto neppure a segnalare le zoppìe di questo o quell’autore, l’assenza di quel
saggio o di quell’articolo. Non servirebbe a niente. Non hanno detto Zizzi e
Donno che non hanno fatto un lavoro scientifico? E, allora…
Una considerazione, però, va
fatta. Possibile che noi salentini, per darci delle arie, dobbiamo ricorrere al
solito barocco? La prosa di Zizzi, a partire dal titolo del libro, è
pantagruelica, un’abbuffata di termini tecnici, il più delle volte inutili,
spesso inventati e rivendicati come neologismi: le solite perle strane, baroque, appunto. Riemerge il solito
provincialismo, il gusto e la ricerca di nascondere il vuoto, l’horror vacui, la furbizia di nascondere
sotto un linguaggio astruso il vuoto di idee, la capacità di cogliere
l’essenziale e di rappresentarlo con immediatezza e sintesi. Non per nulla
Zizzi esalta la lentezza o come lui dice il “rallentamento”. Si potrebbe dire
che in fondo valorizza e vende la sua merce. Ma rendiamoci conto che poesia – o
lingua più in generale – non è lentezza, è rapidità, è chiarezza, è limpidezza,
lampo, fulgurazione. Il rallentamento nasconde. La rapidità rivela. Con la
rapidità si parla agli altri, col rallentamento ci si parla addosso.
Non lamentiamoci poi se i nostri
poeti, compreso quello che Zizzi considera il dominus in assoluto, Carmelo Bene, dagli antologisti del Nord non
sono neppure citati. O si è poeti o ci si atteggia. Se proprio non riusciamo a
smettere di essere poeti, smettiamo almeno di atteggiarci.
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