Il massimo per un intellettuale è
la banderuola. Non sembri una provocazione! Un intellettuale non deve cambiare partito in seguito a
conversioni d’interessi, come il Girella
del Giusti. Dio ce ne scampi! Ma, come la banderuola si muove in ragione del
vento, egli deve girare in ragione della verità. La verità è il vento della
nostra banderuola. Essa è sempre nei fatti, mai fuori, li segue nel loro
succedersi, a volte senza un ordine o una logica. Occorre che si adoperi la discrezione di cui parlava il
Guicciardini, la facoltà di analizzare, di distinguere, di giudicare; volta per
volta, dato che mai una volta è come un’altra. Che diremmo se una banderuola
restasse ferma e insensibile al vento? Diremmo che si è arrugginita, saldata
sull’asticella. Diciamo la stessa cosa dell’intellettuale che si esprime per
partito preso, che segue una verità fuori dei fatti, precostituita, rispondente
ad interessi particolari.
In Italia la maggior parte degli
intellettuali segue il pensiero dominante, è saldata sull’asticella della
propria parte politica. Lo ha evidenziato di recente il caso Calderoli-Kyenge,
che ha inoltre ribadito l’asimmetricità del confronto politico-culturale.
Il caso. Uno dei punti più
controversi oggi in Italia a livello di dibattito è se mantenere la
cittadinanza esclusivamente per lo jus
sanguinis, ossia per l’appartenenza; o estenderla allo jus soli, ossia per il luogo di nascita, per cui se uno nasce in
Italia, ipso facto è italiano. E’ un
confronto fra due tesi rispettabili tant’è che se ne discute in ogni paese
europeo, il quale si regola secondo le sue ragioni storiche e politiche,
secondo le sue esigenze e sensibilità. Aggiungo che l’una posizione e l’altra
presentano aspetti positivi e aspetti negativi, nei quali non è facile trovare
il punto dirimente.
In Italia, però, il confronto non
è ammesso. Chi è per lo jus sanguinis
passa per un retrogrado, un barbaro, un malvagio, un insensibile, un razzista,
chiuso alla modernità. Dire che milioni di italiani sono per lo jus sanguinis trova i suoi avversari
pronti a considerarli incapaci di ragionar bene e perciò bisognosi di esser
presi per mano da chi sta in alto. Dopo più di due secoli da Immanuel Kant e
dal suo Illuminismo c’è ancora chi si ritiene in alto non per fare felici i
cittadini ma per portarli sulle sue posizioni politiche e ideologiche. Delle
due l’una: o l’Illuminismo è una colossale minchiata o i minchioni sono
infiniti.
Per lo jus soli sono le quattro massime autorità dello Stato: Napolitano
(Presidente della Repubblica), Grasso (Presidente del Senato), Boldrini
(Presidente della Camera) e Letta (Presidente del Consiglio), che – guarda caso
– sono della stessa parte politica. Ad esse addirittura è stata aggiunta la Kyenge , Ministro dell’Integrazione.
Come ognuno può vedere non c’è confronto, non c’è partita, chi dissente
rischia, se alza la voce e i toni, di essere denunciato per razzismo. Ragion
per cui nessuno dissente. I media sono tutti sulle posizioni del pensiero
dominante. Chi non lo grida, tace. Un simile sistema può anche essere detto
democratico, e così è considerato, ma l’intellettuale dovrebbe vedere che
invece è molto simile a quello fascista nel creare nel paese un pensiero unico
e nel non favorire condizioni di dissenso, anzi le sanziona.
Ma non è difficile smascherare
l’inganno. Il sillogismo è semplice. Siccome ieri il fascismo condannava
l’antirazzismo e oggi questa democrazia condanna il razzismo, fascismo e
democrazia si ritrovano perfettamente uguali nella condanna di ciò che non è
condiviso. Si dirà, ma razzismo e antirazzismo non possono essere messi sullo
stesso piano, non si può prescindere dalle loro finalità. Convengo, ma è
questione di opportunità. L’intellettuale-banderuola deve girare non secondo
opportunità ma secondo verità.
Il caso Calderoli-Kyenge è assai
serio, non solo per la doppia figuraccia di Calderoli, che è apparso assai più
simile lui all’orango che la
Kyenge , persona colta, equilibrata, squisita nei modi e nel
proporsi, poi costretto alla solita manfrina delle scuse; ma soprattutto perché
questo governo cosiddetto delle larghe intese ha voluto nell’esecutivo un
ministro come la Kyenge
col chiaro proposito di mettere un carico da novanta su una questione che
dovrebbe essere più serenamente discussa. Se di larghe intese si è davvero
trattato, vuol dire che il Pdl ha negoziato le cose, vuol dire che è stato
d’accordo per la Kyenge
e per lo jus solis in cambio di
qualcosa. Un commercium, insomma.
Ma è proprio questo ciò che vuole
il popolo in Italia? Liberi di credere o di non credere, ma molta gente nei
giorni più caldi del caso Calderoli – probabilmente di destra e di sinistra –
ha ripetutamente stigmatizzato le forze politiche di maggioranza di aver fatto
ministro una come la
Kyenge. La scelta è stata recepita come una forzatura, una
prepotenza, una imposizione. Colta o incolta, incapace o meno di ragionare, che
però vota, questa gente non se l’è presa né con Calderoli né con la Kyenge , se l’è presa con
chi l’ha fatta ministro.
Purtroppo oggi in Italia non
conta nulla chi non è in rete, chi non fa rimostranze presso le sedi
istituzionali, chi non appare in televisione. Oggi in Italia contano le
minoranze mediatiche. Gli altri non esistono. Gli altri, che perciò non vanno
più a votare.
Chi non è d’accordo con
l’evidente forzatura politica della Kyenge non ha molti mezzi e opportunità a
disposizione per manifestarlo, pesante com’è il clima di santa inquisizione che
c’è nel paese su alcune problematiche, per le quali addirittura si scomoda il
codice penale. Bene che gli vada chi dissente finisce per ritrovarsi dalla
parte di chi ingiuria, come ha fatto finora e come continuerà a fare Calderoli,
e di chi agita cappi, come hanno fatto quelli di Forza Nuova.
Anche qui mi viene di ricordare
che durante il fascismo chi dissentiva veniva emarginato, associato a gente di
malaffare, anche quando era un intellettuale e persona perbene, che non è – a
riflettere – la meno grave delle condanne. In ogni dittatura, mascherata o
meno, il silenzio non è assenso né consenso, è dissenso.
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