domenica 21 luglio 2013

Il caso Calderoli-Kyenge e il silenzio-dissenso


Il massimo per un intellettuale è la banderuola. Non sembri una provocazione! Un intellettuale non  deve cambiare partito in seguito a conversioni d’interessi, come il Girella del Giusti. Dio ce ne scampi! Ma, come la banderuola si muove in ragione del vento, egli deve girare in ragione della verità. La verità è il vento della nostra banderuola. Essa è sempre nei fatti, mai fuori, li segue nel loro succedersi, a volte senza un ordine o una logica. Occorre che si adoperi la discrezione di cui parlava il Guicciardini, la facoltà di analizzare, di distinguere, di giudicare; volta per volta, dato che mai una volta è come un’altra. Che diremmo se una banderuola restasse ferma e insensibile al vento? Diremmo che si è arrugginita, saldata sull’asticella. Diciamo la stessa cosa dell’intellettuale che si esprime per partito preso, che segue una verità fuori dei fatti, precostituita, rispondente ad interessi particolari. 
In Italia la maggior parte degli intellettuali segue il pensiero dominante, è saldata sull’asticella della propria parte politica. Lo ha evidenziato di recente il caso Calderoli-Kyenge, che ha inoltre ribadito l’asimmetricità del confronto politico-culturale.
Il caso. Uno dei punti più controversi oggi in Italia a livello di dibattito è se mantenere la cittadinanza esclusivamente per lo jus sanguinis, ossia per l’appartenenza; o estenderla allo jus soli, ossia per il luogo di nascita, per cui se uno nasce in Italia, ipso facto è italiano. E’ un confronto fra due tesi rispettabili tant’è che se ne discute in ogni paese europeo, il quale si regola secondo le sue ragioni storiche e politiche, secondo le sue esigenze e sensibilità. Aggiungo che l’una posizione e l’altra presentano aspetti positivi e aspetti negativi, nei quali non è facile trovare il punto dirimente. 
In Italia, però, il confronto non è ammesso. Chi è per lo jus sanguinis passa per un retrogrado, un barbaro, un malvagio, un insensibile, un razzista, chiuso alla modernità. Dire che milioni di italiani sono per lo jus sanguinis trova i suoi avversari pronti a considerarli incapaci di ragionar bene e perciò bisognosi di esser presi per mano da chi sta in alto. Dopo più di due secoli da Immanuel Kant e dal suo Illuminismo c’è ancora chi si ritiene in alto non per fare felici i cittadini ma per portarli sulle sue posizioni politiche e ideologiche. Delle due l’una: o l’Illuminismo è una colossale minchiata o i minchioni sono infiniti.
Per lo jus soli sono le quattro massime autorità dello Stato: Napolitano (Presidente della Repubblica), Grasso (Presidente del Senato), Boldrini (Presidente della Camera) e Letta (Presidente del Consiglio), che – guarda caso – sono della stessa parte politica. Ad esse addirittura è stata aggiunta la Kyenge, Ministro dell’Integrazione. Come ognuno può vedere non c’è confronto, non c’è partita, chi dissente rischia, se alza la voce e i toni, di essere denunciato per razzismo. Ragion per cui nessuno dissente. I media sono tutti sulle posizioni del pensiero dominante. Chi non lo grida, tace. Un simile sistema può anche essere detto democratico, e così è considerato, ma l’intellettuale dovrebbe vedere che invece è molto simile a quello fascista nel creare nel paese un pensiero unico e nel non favorire condizioni di dissenso, anzi le sanziona.
Ma non è difficile smascherare l’inganno. Il sillogismo è semplice. Siccome ieri il fascismo condannava l’antirazzismo e oggi questa democrazia condanna il razzismo, fascismo e democrazia si ritrovano perfettamente uguali nella condanna di ciò che non è condiviso. Si dirà, ma razzismo e antirazzismo non possono essere messi sullo stesso piano, non si può prescindere dalle loro finalità. Convengo, ma è questione di opportunità. L’intellettuale-banderuola deve girare non secondo opportunità ma secondo verità.
Il caso Calderoli-Kyenge è assai serio, non solo per la doppia figuraccia di Calderoli, che è apparso assai più simile lui all’orango che la Kyenge, persona colta, equilibrata, squisita nei modi e nel proporsi, poi costretto alla solita manfrina delle scuse; ma soprattutto perché questo governo cosiddetto delle larghe intese ha voluto nell’esecutivo un ministro come la Kyenge col chiaro proposito di mettere un carico da novanta su una questione che dovrebbe essere più serenamente discussa. Se di larghe intese si è davvero trattato, vuol dire che il Pdl ha negoziato le cose, vuol dire che è stato d’accordo per la Kyenge e per lo jus solis in cambio di qualcosa. Un commercium, insomma.
Ma è proprio questo ciò che vuole il popolo in Italia? Liberi di credere o di non credere, ma molta gente nei giorni più caldi del caso Calderoli – probabilmente di destra e di sinistra – ha ripetutamente stigmatizzato le forze politiche di maggioranza di aver fatto ministro una come la Kyenge. La scelta è stata recepita come una forzatura, una prepotenza, una imposizione. Colta o incolta, incapace o meno di ragionare, che però vota, questa gente non se l’è presa né con Calderoli né con la Kyenge, se l’è presa con chi l’ha fatta ministro.
Purtroppo oggi in Italia non conta nulla chi non è in rete, chi non fa rimostranze presso le sedi istituzionali, chi non appare in televisione. Oggi in Italia contano le minoranze mediatiche. Gli altri non esistono. Gli altri, che perciò non vanno più a votare.  
Chi non è d’accordo con l’evidente forzatura politica della Kyenge non ha molti mezzi e opportunità a disposizione per manifestarlo, pesante com’è il clima di santa inquisizione che c’è nel paese su alcune problematiche, per le quali addirittura si scomoda il codice penale. Bene che gli vada chi dissente finisce per ritrovarsi dalla parte di chi ingiuria, come ha fatto finora e come continuerà a fare Calderoli, e di chi agita cappi, come hanno fatto quelli di Forza Nuova.

Anche qui mi viene di ricordare che durante il fascismo chi dissentiva veniva emarginato, associato a gente di malaffare, anche quando era un intellettuale e persona perbene, che non è – a riflettere – la meno grave delle condanne. In ogni dittatura, mascherata o meno, il silenzio non è assenso né consenso, è dissenso.

Nessun commento:

Posta un commento