Se le parole bastassero ad
esorcizzare i fatti avremmo un Mario Monti che “sale” in politica e una chiesa
che “scende” in politica. Monti sale perché, nonostante le sue riserve
“materne” verso la politica, più volte pubblicamente espresse, in essa ripone
il suo grande sogno; che è poi il grande sogno di tutti. Giovanni Verga
collocava il potere politico, nel suo progetto dei Vinti, al quarto stadio, inferiore solamente all’Uomo di lusso. Ma per quest’ultimo ne
abbiamo avuto uno, Silvio Berlusconi, che basta e avanza. La chiesa, invece,
“scende”. Il Cardinal Bagnasco, presidente della Cei, è intervenuto per
benedire formalmente Monti; e lì è finita l’acqua santa. Non ce n’è per nessun
altro. Non per Berlusconi, ovviamente; non per Bersani e figurarsi per Vendola.
Gli altri sono omuncoli. Che volete che siano i Casini, i Fini, i Cordero di
Montezemolo, i Di Pietro e via repertando? Ho sentito recentemente Alfredo
Mantovano dire: Berlusconi non offenda. Si apprestava, l’uomo di Alleanza
Cattolica, a lasciare il Pdl. Fa bene. Fanno bene tutti. Il guaio è che in
Italia nessuno fa meglio: tutti bene, nessuno meglio. E il meglio è che quando
finisce un’esperienza, bella o brutta che sia stata, si torni al lavoro
proprio. Tu che facevi, il magistrato? Riprendi a farlo. Tu che facevi il
medico, riprendi a farlo. Invece tutti fanno bene: cambiano col cambiar di
luna, come arieggia il duca di Mantova nella
donna è mobile. E chi fa meglio? Nessuno, ma nessuno se ne fotte.
L’espressione è volgarmente fascista; ma quando ci vuole, ci vuole!
Salire o scendere, dunque, è
relativismo dinamico. Certo che Monti sale, ma per lo stesso motivo per il
quale la chiesa scende, perché Monti era in basso rispetto alla politica,
mentre la chiesa era in alto. Ma basta coi giochi di parole, che se pure
significano qualcosa, parole restano.
Quel che occorre considerare è il
fatto in tutte le sue articolazioni. Gli italiani vanno al voto, per due terzi,
più confusi che mai. Prendiamo il primo dei tre terzi, quello del centrodestra.
Il soggetto politico che lo rappresenta è – chiedo scusa per il gioco di parole
– impresentabile. Così com’è, è una sorta di armata allo sbando, con gruppi che
cercano di stare assieme per sopravvivere. Una sorta di banda che si ritira
alla spicciolata dopo un colpo andato a male. Con l’aggravante che non ha più
un capo. Ne avrebbe potuto avere uno, perdente-perdente, ma dignitoso e
speranzoso in una revanche. Era
Alfano. Ma questi è stato ingurgitato da Berlusconi come Cronos della mitologia
greca ingurgitava i suoi figli. Berlusconi sta lì per negoziare i suoi affari.
In cambio di un suo appoggio parlamentare sotto o sopra banco, chiede di essere
lasciato in pace. Tiene famiglia, e che famiglia! Bisogna capire. La Lega – lei non se ne rende
conto – ma è finita; ormai vivacchia. La sua carica propulsiva è finita nelle
more dei Bossi, padre e figlio, e dei tanti terroni complessati e ladruncoli di
polli che a lei si erano avvicinati per proteggersi dai sospetti. Gli ex
Msi/An, che storicamente rappresentavano una visione politica di mediazione tra
la destra dello Stato e la sinistra della Società, hanno smarrito gli strumenti
di bordo e alzano qualche straccio per farsi notare in alto mare da chi
potrebbe andar loro in soccorso, fuor di metafora da un certo elettorato. Ma se
tanti elettori si rivolgevano al partito neofascista – chiamiamo le cose coi
loro nomi – non lo facevano per la nostalgia dei labari e dei pugnali, delle
sfilate e delle folle oceaniche, ma perché trovavano le risposte alle proprie
esigenze di cittadini devoti allo Stato e di lavoratori alle prese coi propri
bisogni. Quell’elettorato oggi avrebbe ragione di rivolgersi più alla sinistra,
che almeno c’è, che alla destra, che non c’è più. Non è l’optimum, la sinistra di Bersani & Vendola, ma non c’è altro.
L’ecumene che vorrebbe
rappresentare Monti è un paesaggio norvegese tra scogli e fiordi, dove c’è di
tutto, dagli ex democristiani in pensione ai berlusconiani pentiti, dai
liberali agli uomini dell’economia e della finanza, dai grandi Commis d’État all’esercito di pinzocheri
e beghine che da sempre fanno quello che il prete dice. Il chiesume, la vera,
autentica, forza che fece vincere a De Gasperi le elezioni del 1948. Ecco,
abbiamo tirato fuori anche noi il De
Gasperi, di cui tanto si parla di questi tempi a proposito e più ancora a
sproposito. Monti lo scimmiotta, dice di essere un De Gasperi redivivo, ma non
ha la Democrazia
cristiana dietro e senza quel grande partito lui si può anche travestire da De
Gasperi, al massimo per carnevale. Certo, è un’operazione, quella di Monti e
dei suoi alleati, estremamente importante, tipicamente italiana. Lo è perché
con essa si tenta di impedire che la dinamica politica democratica, secondo la
quale ad una maggioranza politica riconoscibile che perde segua una maggioranza
politica altrettanto riconoscibile di alternativa che vince, si vuole proporre
una soluzione compromissoria, sincretica, tipica del trasformismo politico
italiano. Una cosa che poi non lascia individuare i responsabili di un
eventuale ennesimo pateracchio.
L’ultimo dei tre terzi, ossia il
centrosinistra, oggi rappresentato da Bersani & Vendola, rischia ancora una
volta di vedersi soffiato il successo politico, nonostante costituisca il
soggetto più coerente e compatto. Nei suoi confronti si sta scatenando in forme
diverse, forti da parte del centrodestra, morbide da parte dell’ecumene
centrista, una campagna delegittimante, intimidatrice, erosiva. Si agita
Vendola come uno spauracchio, l’elemento che potrebbe mettere in crisi
l’eventuale maggioranza governativa o ricattare il governo su questioni molto
sensibili, come tutta quella materia che investe i diritti degli individui,
della famiglia e dell’etica. Se la chiesa è scesa in campo – scesa, comunque si
voglia intendere questo verbo – lo ha fatto perché pensa che una vittoria
elettorale del centrosinistra potrebbe davvero dare la spallata al vacillante
edificio del complesso sistema bioetico del cattolicesimo. E che una vittoria
del centrosinistra stia nell’ordine delle cose è talmente evidente che il
centro evita lo scontro diretto e spera di catturare dopo le elezioni la
sinistra secondo collaudate formule italiane, morotee nello specifico. Perché, a
mio modestissimo avviso, non è di De Gasperi che oggi si dovrebbe parlare,
piuttosto di Aldo Moro. Qualcuno sa che furono uomini, se non proprio
diversissimi, adatti allo stesso ruolo in tempi diversi.