domenica 1 maggio 2011

Giovanni Paolo II, santo per cognizione di causa

Lo volevano fare santo subito i fedeli, sei anni fa. Giovanni Paolo II aveva vissuto gli ultimi anni in un calvario di sofferenza, che, se non aveva niente di miracoloso in sé – sicuramente c’è chi ha sofferto e soffre quanto e più di lui sulla faccia della Terra – aveva qualcosa che travalicava la condizione umana nella sua storicità. Qualsiasi altro essere umano si sarebbe dimesso dalla sua carica. Lui non poteva. Un Papa è tale usque ad finem.
La chiesa prevede che per essere beati e poi santi occorrono i miracoli, intesi soprattutto come guarigioni non spiegate dalla scienza e dunque per cause soprannaturali. Accadimenti riconducibili, per testimonianze vere, ad un personaggio preciso. Si è alzato ed ha camminato grazie all’intervento di Giovanni Paolo II. Stava per morire per un male progressivo ed irreversibile ed è poi guarito grazie alla preghiera di Giovanni Paolo II. Funziona così: ciò che la scienza non spiega è miracolo. La chiesa sancisce.
A volte c’è una componente di inconsapevolezza in questi fenomeni. Se un malato terminale si suggestiona al punto da credere che un tal uomo – nel nostro caso Giovanni Paolo II – lo può guarire, e guarisce, è miracolo compiuto da altri o piuttosto un miracolo autoprodotto? Comunque sia, l’attribuzione all’altro è legittima. Presentandosi un soggetto per ottenere qualcosa, non l’ottiene per sé ma grazie all’intermediazione, vera o solo esibita, di un essere superiore, al quale evidentemente nessuno può opporre un rifiuto, l’ottenimento non si può che ascrivere all’autorevolezza, ovvero al carisma, dell’intermediario. I miracoli, anche quelli per i quali si diventa beati e poi santi, sono faccende umane e solo umane, nel senso che accadono tra uomini nella realtà storica. E sono gli uomini a procedere nell’iter. Giovanni Paolo II è beato e sarà santo per simili miracoli.
Ma io credo in Giovanni Paolo II diversamente santo; credo nei miracoli come imprese, obiettivi che si raggiungono attraverso il coraggio, l’intelligenza e la forza, in continuità d’impegno umano; dove non c’è posto per autosuggestioni o per inconsapevolezze. Dove tutto è voluto e pianificato e le parti devono essere necessariamente due.
Credo nei miracoli che si spiegano. L’unificazione d’Italia fu un miracolo. Così ha detto Domenico Fisichella in un libro scritto per i 150 anni dell’Unità d’Italia, volendo significare la complessa e difficile situazione in cui essa era maturata; così intricata che solo un miracolo, qui inteso come iperbole, poteva sbrogliare. I santi di questo miracolo li chiamiamo padri della patria, eroi del risorgimento, martiri della causa. Il crollo del comunismo, in quanto sistema di potere, non di idee, è stato un miracolo. Ma il crollo non è avvenuto da sé. Qualcuno lo ha provocato. E non lo ha fatto con formule imperscrutabili, ma con la diuturna opera di scelte, di comportamenti, di gesti, di opere. Questo miracolo lo ha compiuto Giovanni Paolo II, la cui opera era tanto temuta dai sovietici quanto insperata dagli altri. Se pure non meritasse la beatificazione e poi la santificazione per altri miracoli, la meriterebbe senz’altro per questo.
Ne avrebbe potuti fare altri miracoli di questo genere? Ciò che non è accaduto non è conoscibile. Non c’è stata in Italia la guarigione dal male della mafia. Quel gran male che tormenta il nostro Paese e gli impedisce non solo di crescere ma di stare attore sovrano di civiltà fra altri nel mondo, contro cui Giovanni Paolo II si scagliò con anatemi divini, dopo l’attentato di Capaci, dura ancora. Qui il miracolo non c’è stato. Qui, per usare un’espressione dantesca, “la materia è stata sorda”. Prova che i miracoli sono possibili, anche i miracoli, quando a compierli si è in due: qui è mancato l’altro; è mancato il Paese.
Ma Giovanni Paolo II ne ha compiuti altri di miracoli. Un altro, soprattutto, meno palpabile ma altrettanto storicizzabile. Ha dimostrato che i calcoli politici degli adulti e degli interessati al confronto politico nel mondo non coincidono con le grandi aspirazioni giovanili. Accusato di aver in qualche modo legittimato l’immagine di Pinochet, mostrandosi insieme al dittatore cileno, sul balcone del Palazzo Presidenziale a Santiago, accusato di essere stato un conservatore e di aver impedito qualsiasi apertura in direzione di riconoscimenti in materia di bioetica, di coppie di fatto, di sacerdozio femminile, è stato comunque il primo papa dei giovani, il papa che ovunque andasse adunava folle sterminate di giovani osannanti in nuovi e fino a qualche anno prima inimmaginabili happening, da oscurare le grandi adunate degli anni Sessanta della beat-generation. I Papa-boys sono stati un autentico miracolo in un mondo sempre più secolarizzato e relativistico, ma anche sempre più problematizzato e sofferente. Li ha creati lui.
Ecco perché, al di là delle divergenze d’opinione, sempre lecite e sempre auspicabili, Giovanni Paolo II entra un po’ in tutti, credenti e non credenti, di destra e di sinistra, ricchi e poveri, perché egli si pone semplicemente come il Santo Patrono della Speranza e della Volontà.
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