domenica 30 gennaio 2011

Nichi Vendola o della normalizzazione

Non c’è dubbio alcuno che Nichi Vendola è un essere fortunato. In genere la fortuna si volgarizza con quella parte anatomica che s’associa da sempre agli omosessuali, oggi detti, con un termine più vago e carezzoso, gay. Qui nel Salento, poi, i termini relativi alla fortuna e a certe parti anatomiche diventano più coloriti e perciò per buon gusto meno riferibili. Ignoro i motivi di simile associazione; ma se così si dice, viva la saggezza popolare che non sbaglia mai.
Nel caso di Vendola, però, sul fattore fortuna e sulla parte anatomica che la volgarizza occorre insistere, perché quel suo essere omosessuale è componente importante del suo successo. “L’omosessualità – dice di se stesso – è un pezzo del mio scisma dalle «due chiese», dalla chiesa comunista e dalla chiesa cattolica”. Sarà, e gli fa onore; ma resta la sua vicinanza spirituale a ben due chiese, una vocazione bichiesastica, anche se solo per poi allontanarsene dall’una e dall’altra.
Sta di fatto che è stato così abile da trasformare un fattore tradizionalmente negativo, la diversità sessuale, in un fattore di positività, anzi di carisma. La gente oggi ha voglia di diversità. I normali hanno tradito le attese, si sono rivelati banali nelle loro esperienze di vita pubblica e privata. Forse fa eccezione Berlusconi, che, però, è scaduto nel burlesque, genere di spettacolo con donne e donnette, nude e seminude, che si muovono con intenti ed esiti comici e dissacratori fra corpi maschili sfatti e parti anatomiche di difficile resa plastica.
L’ingresso a Montecitorio di Vendola nel 1992 non fu liscio, c’era un contenzioso su quel seggio, risolto in suo favore perché la maggioranza era di centrosinistra e votò pro domo sua. E già questo la dice lunga, anche se è in coerenza con tutto il suo vissuto. Lui beneficia sempre di situazioni indipendenti dai suoi meriti, che pure ha.
Poi è indubbio che sappia fare. Così lui stesso sintetizza: “Ci sono sempre due vocazioni in me. Il Nichi Vendola ludico, anarchico, infantile, narcisista. E quello instancabile, organizzatore, sorvegliato speciale delle sue stesse passioni, investito dei suoi doveri pubblici. Che è capace di piegare la sua indole e di scommettere le scommesse più paradossali della sua vita”.
Attenzione a quel “sorvegliato speciale”. C’è in Vendola una componente inquietante, che lui fa passare per “ludico-anarchico-infantile”. E’ in quello sguardo torvo, tendente all’alto, accentuato da un viso tondo e paffuto che contrasta con le linee spigolose di chi mostra senza riserve quel che è. Nichi Vendola non ha ancora detto chi è. Nell’espressione tradisce una condizione che sente come sua connaturata, si sente un “sorvegliato speciale”. Ma, attenzione, avrebbe potuto dire banalmente: c’è un Nichi Vendola che sa dominare le sue passioni; invece ha rovesciato con un’abile manovra retorica i termini usando un genitivo soggettivo, con l’oggetto (passioni) che diventa soggetto e lui “sorvegliato speciale”. Si compiace sentirsi un eversore sociale: è il suo narcisismo.
Anche quel suo essere appena appena balbuziente è un tocco di pennello nella campitura. Il suo eloquio non è lineare, ma va per circonlocuzioni. Interrompe un periodo, apre un inciso e poi un altro, esercita rapide giravolte discorsive con sorprendenti metafore simboliche ed evocative, che destano stupore e coinvolgono emotivamente l’uditorio, come le ingegnosità barocche. Ma, alla fine, che ha detto? Boh! Piace, e tanto basta. C’è, tra i suoi esegeti, chi ne studia la lingua e la sintassi come fenomeno di comunicazione poetico-politica. Si ritiene lui stesso un poeta.
All’epoca del suo primo scontro con Fitto per la presidenza delle regionali mi sembrava un personaggio importante; sufficientemente colto, intelligente, faticatore, coerente e coraggioso. Per la presidenza della regione, pur con qualche riserva, e non di ordine banalmente fisico, poteva andar bene. E poi, confesso, io, elettore obtorto collo di Fitto, volevo rendere a questi più importante una vittoria che a me e non solo a me sembrava scontata. Invece non fu così, vinse il diverso, diventato bacino di tutte le confluenze rivendicazionistiche ed antiberlusconiane, qui nella Puglia si dicono antifittiane perché incardinate nel più banale degli uomini politici: Raffaele Fitto. Fu la vittoria della diversità sulla normalità. Ma già la prima vittoria alle primarie della sua area politica vs il postdemocristiano Francesco Boccia, altro normale, fu il frutto della sua connaturata fortuna, di alcuni brogli primar-elettorali, e dell’appoggio di tanta stampa locale che creava gli spot elettorali per farli passare come fatti di cronaca. Una mattina a Lecce sui monumenti più importanti erano appesi cartelloni con scritte che inneggiavano a Vendola e sparlavano di Fitto. Il giorno dopo i quotidiani locali riempirono pagine e paginoni con monumenti e slogan.
Altra fortuna sfacciata al suo secondo successo, dopo aver liquidato con irrisoria facilità il povero Boccia, nuovamente bocciato. Vendola se la vide con una figura modesta, una sorta di vittima sacrificale di Fitto, al quale non andava giù che un altro riuscisse dove lui aveva fallito. In questo fu aiutato dai nemici giurati della Poli Bortone, l’unica che avrebbe potuto contendergli, non dico sicuramente vincere, la presidenza della Regione. Ma sono tappe, queste, che nel vissuto dell’uomo di Terlizzi sono banali momenti della sua eccezionale fortuna.
Di recente un sociologo dell’Università di Bari, Onofrio Romano, ha scritto un saggio su Vendola e sulle famose “Fabbriche di Nichi”, che fuori dal linguaggio retorico sono dei comitati politico-elettorali a servizio permanente effettivo con lo scopo di fabbricare il consenso. Qualcosa che evoca i titoli di due famosi saggi, uno di Dino Biondi, “La fabbrica del Duce”, e l’altro di Renzo De Felice, “Gli anni del consenso”, entrambi riferiti a Mussolini.
A proposito dei dirigenti della “Fabbrica Zero”, un po’ la sede centrale di questa organizzazione, Romano scrive: “Quasi tutti hanno un rapporto di carattere professionale con la Regione Puglia: in gran parte si tratta di consulenti gravitanti all’interno degli assessorati più significativi, ma ci sono liberi professionisti che intestano all’ente una quota consistente delle loro parcelle, nonché membri di società e associazioni che lavorano con progetti finanziati dalla Regione. Di fatto, parte dell’attività professionale finanziata dall’ente viene condotta a beneficio delle Fabbriche”. Per Romano si tratta di strutture al cui interno si opera in un rapporto gerarchico ed utilizzano strumenti di marketing e pertanto “non si inquadrano in un modello di tipo democratico”.
Come dire che il diverso Vendola va sempre più normalizzandosi man mano che avanza verso la candidatura alla Presidenza del Consiglio. Ma il suo normalizzarsi lo fa scendere dall’Olimpo della sua diversità sui pascoli dell’Arcadia, dove tanti venditori di illusioni hanno pure conosciuto fasti ma anche infauste conclusioni. Nella sua area politica se ne sono accorti, e già incomincia a perdere colpi.
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