domenica 6 febbraio 2011

Amici di destra, ripensiamoci!

Berlusconi deve o non deve, prima o poi, lasciare? E’ una domanda che a destra ci si pone in maniera sempre più incalzante. Si tratta di trasformarla da muta in sonora. La nostra opinione è che deve lasciare. Non tanto per ragioni politiche, che in parte possono essere condivise e in parte no, quanto per ragioni complessivamente di opportunità nazionale.
Anzitutto la destra da cui parliamo e a cui ci rivolgiamo è quella ex missina ed ex aennina; anzi, per essere precisi, è il radicalismo di destra, quello che una volta faceva capo a Rauti. La nostra storia ci obbliga a non dimenticare i nostri padri e le nostre vicende patrie. Non è nostalgismo, ma consapevolezza che dietro le scelte ci sono sempre valori da difendere ed obiettivi da raggiungere.
Non siamo stati mai dell’avviso che le idee politiche siano come i vestiti che indossiamo e che cambiamo col cambiar delle stagioni e col cambiar delle mode. Per questo non abbiamo condiviso il modo come nel 1995 si chiuse un glorioso partito il Msi e si diede vita ad An, che pur conservava qualcosa della precedente esperienza. E meno ancora abbiamo condiviso lo scioglimento nel 2008 di An nel Popolo della Libertà, che di fatto ha precluso qualsiasi presenza politica, non tanto di uomini, quelli ci sono, quanto di idee a livello di governo.
La fase che stiamo attraversando è di confusione, ma non di smarrimento. Ci auguriamo, pertanto, una riorganizzazione, per ripartire finalmente sui nostri abbandonati binari. Per questo ci vuole un leader, che al momento neppure si intravede. Purtroppo!
Quello che c’era e che rappresentava la destra, per la lunga marcia effettuata, Gianfranco Fini, si è miseramente suicidato, con comportamenti non meno gravi, sotto il profilo politico ed etico, di quelli di Berlusconi. Ricordiamo a tutti, ed ai preti in particolare, che i vizi capitali sono sette, non uno. Alcune scelte ed alcune azioni di Fini hanno immiserito l’uomo e delegittimato il politico. Il suo trasformismo in direzione liberalradicale ha tradito la sua e la nostra storia ed ha rivelato un uomo arrogante e cinico, che ha una visione medievale della politica, in cui il capo fa e disfa e gli altri lo seguono. Il tradimento nei confronti degli elettori che lo avevano votato dimostra come l’uomo non ha seri convincimenti politici ed opera a seconda delle sue convenienze di carriera, convinto che solo i leader hanno una coscienza mentre i cittadini elettori no. Il suo cambiamento di schieramento e di programma ha svalutato e svuotato di significato il voto che è l’espressione stessa della partecipazione dei cittadini alla vita pubblica. Lo scarso senso delle istituzioni che ha dimostrato rimanendo incollato ad una carica che lui non è più oggettivamente in grado di onorare nella sua istituzionalità, ha dimostrato che l’uomo è culturalmente rozzo ed intimamente dispotico e prepotente. Il modo come ha alienato a beneficio del cognato una casa, che una generosa signora aveva donato al partito “per la giusta causa”, lo ha rivelato un meschino profittatore di quart’ordine o un povero turlupinato da osteria. Credere ancora in quest’uomo vuol dire essere allo sbando spirituale e mentale prima ancora che politico. Ma la sua uscita di scena pone seri problemi di leadership alla parte politica che rappresentava, ossia alla destra, cui sentiamo di appartenere.
Per noi la giustizia, l’etica, la legalità, il decoro sono valori non negoziabili, qualunque sia la stagione. Lo Stato, la Nazione e la Società sono le grandi sintesi che devono guidarci nell’operare quotidiano sia nel nostro esercizio professionale sia nel nostro agire politico. La nostra vita privata non deve in alcun modo condizionare quella pubblica. Non abbiamo mai creduto negli effetti benefici del tramonto delle ideologie; anzi ne vediamo gli effetti devastanti prodotti a tutti i livelli, anche in quelli non sospettati. Assistiamo ad una deriva antropologica da lambire scenari biblici.
Amiamo la libertà, ma non siamo liberali. Crediamo nella iniziativa privata ma siamo fermamente convinti che il ruolo dello Stato, specialmente in alcuni settori vitali per la nazione e per la società, non sia surrogabile. Ci riconosciamo nell’art. 41 della Costituzione, che riteniamo sia di preziosa irrinunciabile impostazione sociale. Nessuna impresa privata può essere tollerata se produce manifestamente danno sociale e mette a repentaglio la sicurezza dei cittadini.
Berlusconi deve lasciare perché i suoi comportamenti privati non sono assolutamente tollerabili, non solo nel merito ma anche e soprattutto per gli effetti collaterali, per quel che creano nel paese e nel mondo. Pur riconoscendo che la magistratura, in questi ultimi sedici anni, è stato il braccio giudiziario dell’opposizione o come tale si è comportata, riteniamo che la condanna nei suoi confronti debba essere assoluta e inappellabile. E se pure, ancora una volta, Berlusconi dovesse dimostrare di aver ragione dei giudici “politicizzati”, noi dobbiamo andare avanti sul piano politico a far sì che se ne vada e lasci la conduzione a persone più credibili e più presentabili. Non ultimo dei danni provocati, infatti, è che in Italia abbiamo una magistratura politicizzata e un Presidente del Consiglio giudiziarizzato.
Ma se è certo che debba lasciare è altrettanto certo che ciò deve accadere in maniera naturale, attraverso un passaggio elettorale e previa preparazione di una successione. I cambiamenti rapidi e traumatici portano male. E’ grave che i tanti leader dell’opposizione non l’abbiano capito. Il Paese ha bisogno sempre e in ogni circostanza di un governo. Il peggiore governo, il più tirannico, è sempre meglio della vacatio che produce disordine ed anarchia.
La destra, cui ci pregiamo di appartenere, non può – non è realistico pensarlo – assumere da sola la guida di una maggioranza tale da esprimere un esecutivo coeso. Ce ne rendiamo conto. La stagione missina, relegandoci fuori del sistema, ci esimeva dal problema di inserimenti e di alleanze. Oggi sappiamo che alla guida del Paese possiamo arrivare con altri, che con noi condividono solo alcune cose. Quel che è importante è che la nostra politica non dimentichi di far valere le nostre istanze nelle sedi decisionali. Esse erano, sono e saranno sempre di una concezione politica in cui l’iniziativa privata venga favorita ma sempre negli interessi superiori dello Stato, della Nazione e della Società; che il merito venga premiato compatibilmente con la soddisfazione dei bisogni; che la libertà venga sempre dopo la legge, come una volta si leggeva nei manifesti col bando di arruolamento nella Polizia di Stato, quando era un corpo militarizzato: Sub lege libertas! Che non è una deminutio di libertà, ma la consapevolezza che la legge è condizione di libertà.
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