domenica 13 febbraio 2011

Mubarak e la democrazia desnuda

Dico subito che il modo come Hosni Mubarak, Presidente della Repubblica Araba d’Egitto, è stato liquidato e come il potere è passato nelle mani dei militari è grave e preoccupante. Ha tutti i caratteri dell’amerikanata. La politica di un paese non piace? Via, quattro colpi e il cambio è fatto. Ne abbiamo viste tante in questo secondo dopoguerra. Questa volta, poi, si è passato il segno, si è nobilitata la piazza con lo spirito di Martin Luther King. Quell’Obama, prima o poi, la sceriffata l’avrebbe fatta. E se no, come si sarebbe presentato alle nuove elezioni presidenziali? L’albero e il cappio sono l’icona di tanti film western. Ci voleva qualcuno da appendere.
Quel Mubarak non mi sta simpatico, come nessuno di quei capi di repubbliche arabe che, pur disponendo di enormi risorse finanziarie, tengono i loro popoli nella miseria. Ma quel che è accaduto resta un fatto gravissimo, non solo e non tanto perché ad un atto formalmente corretto, quello delle dimissioni del presidente Mubarak, ancorché non spontaneo e anzi estorto dalle pressioni della piazza, fomentata dai governi dell’Occidente democratico, quanto e soprattutto perché è seguita una palese violazione della carta costituzionale di quel paese, la quale prevede che alle dimissioni del capo dello stato il successore è il presidente dell’assemblea del popolo.
L’ex ambasciatore, storico e osservatore politico Sergio Romano ha detto che “converrebbe, per amore di chiarezza, chiamare ciò che è accaduto con il suo nome. Stiamo applaudendo un colpo di Stato militare” (Corsera, 13 febbraio). Dunque si è trattato di un golpe.
Pur non disdegnando le problematiche politico-costituzionali, ci viene di dire che l’aspetto più preoccupante di questa vicenda è il passaggio anomalo del potere ai militari, che potrebbe produrre esiti pericolosi sia in Egitto sia in tutta l’area medio-orientale. Sappiamo che quella è l’area politicamente ed economicamente più calda del mondo, dove il minimo movimento in uno dei paesi interessati può rompere l’equilibrio dei rapporti ed innescare processi di difficile contenimento. C’è, per esempio, l’islam, c’è il Canale di Suez, c’è il petrolio. Con Mubarak al potere la situazione era sotto controllo. Che cosa accadrà ora? Ascolteranno i Fratelli mussulmani le sirene americane ed europee o quelle più famigliari dell’integralismo islamico? Né possiamo trascurare il fatto che la crisi egiziana è giunta a ridosso di quella tunisina e potrebbe precedere altre di tutta la fascia mediterranea dell’Africa. Siamo in presenza di una strategia, i cui termini per ora sfuggono o sono taciuti, pur non sottovalutando le cause più immediate che sono la mancanza di democrazia partecipativa e l’ingiusta spartizione delle risorse nazionali, che hanno ingenerato per lunghi periodi una situazione sociale di grave sofferenza.
Per tornare al caso egiziano, sarebbe stato più corretto e più prudente garantire quel che Mubarak aveva promesso: gestione pacifica della crisi, modifica della costituzione in senso più democratico, nuove elezioni a settembre e suo ritiro dalla scena politica. Invece abbiamo assistito alla benedizione del golpe, se non vogliamo proprio dire alla sua preparazione, da parte di tutte le cancellerie democratiche, dalla prima, quella appunto americana, alle altre obbedienti nel mondo e in ispecie alle europee.
Ancora una volta abbiamo assistito a metodiche di tipo massonico. La Loggia centrale detta e quelle periferiche obbediscono. Non governi, liberi e responsabili, ma logge e loggette massoniche si sono rivelati i governi europei. La tanto decantata Europa Unita ancora una volta si è rivelata un’entità politicamente astratta.
Sergio Romano, che non dimentica la prudenza diplomatica, si limita a chiedersi “perché quasi tutti i governi democratici abbiano accolto un golpe con soddisfazione”. Ma la sua risposta, secondo cui i militari garantirebbero stabilità e il popolo ha sempre ragione, non convince. E’ la prima che ha trovato, evidentemente, per non dire quello che veramente pensa. I militari sono uno strumento di ordine, garantiscono la stabilità del loro potere su ordini ricevuti. Ma se non c’è chi gli ordini glieli dia, che fanno i militari? Si auto-ordinano o obbediscono ad una carta, che resta muta se qualcuno non la legge.
Sappiamo tutti cosa possono fare i militari al potere. Ed è incredibile che i governi politici e democratici abbiano dimenticato le esperienze cilena, argentina, cambogiana e via di seguito nell’interminabile geografia delle dittature militari nel mondo.
Quanto al fatto che il popolo ha sempre ragione, occorre mettersi d’accordo. Se la volontà è espressa attraverso libere elezioni è un conto, ma se è espressa attraverso la furia anarcoide e bestiale, quale abbiamo pure visto in Egitto nei giorni di più aspra contestazione, con l’assalto perfino al Museo, è un altro. Questo potrebbe suggerire analoghe soluzioni, diventare una moda. Qualche idiota nostrano lo ha addirittura auspicato per l'Italia; come a dire mubarakizzare Berlusconi.
La fine traumatica di ogni potere – e non si vede perché il caso egiziano debba essere diverso – produce periodi di anarchia e di disordine, nel corso dei quali c’è lo scannamento delle parti per assicurarsi il potere, con l’incognita che quel che segue può essere peggio di quel che c’era prima. Il caso iraniano, con la fine della monarchia dello Scià e il ritorno di Komeini, avrebbe dovuto indurre i capi dell’Occidente, cosiddetto libero e democratico, a maggiore prudenza. O c’è ancora chi crede che l’Iran degli Hayatollah e dell’attuale presidente Acmadinejad sia da preferire a quello dello Scià Reza Palahvi? Domanda che vale tanto per le condizioni interne di quel paese quanto per le condizioni di tutta l’area medio-orientale.
Ora già siamo noi a subire le prime e immediate conseguenze. Migliaia di profughi si stanno riversando sulle nostre coste, producendo una situazione di emergenza umanitaria, con quel che seguirà a breve.
[ ]

Nessun commento:

Posta un commento