domenica 27 febbraio 2011

Islam all'attacco: dopo Tunisia ed Egitto, la Libia

Politici interessati ed osservatori, un po’ al seguito e un po’ ben andanti di proprio, vorrebbero far passare le rivolte nordafricane con conseguenti colpi di stato come desiderio di libertà e di democrazia di quei popoli. E’ una lettura tanto interessante quanto scontata. Gli uni e gli altri rappresentano su piani diversi la stragrande maggioranza della gente, bisogna riconoscerlo. Sono quelli che per pigrizia utilitaristica allargano la forbice mentale non prima di ieri e non oltre domani; un tre giorni, al massimo. Una valutazione che non tiene conto del passato e non vuole compromettersi sul futuro.
Ancora una volta, ad aprirci gli occhi è la nostra tradizione politica realistica, di cui abbiamo insuperati maestri, la quale invita a guardare alla storia, cioè ai fatti.
Quelle masse che si sono scatenate in Tunisia, in Egitto e in Libia contro i rispettivi governi probabilmente non hanno consapevolezza di quel che fanno. Le masse sono corpi privi di testa; la testa sta altrove. La testa ha mosso sapientemente alcuni tasti ed alcune leve e ha messo in moto quelle masse, che urlano e chiedono di migliorare le condizioni di vita, sollecitate da bisogni reali e da diritti legittimi. Lo fanno gridando libertà e democrazia, che sono valori tradizionalmente occidentali, ma che oggi, anche per colpa o merito della globalizzazione, sono diventati universali.
Ma la testa di quelle masse è l’Islam, una grande cultura, la stessa che ha capito l’Occidente cristiano ed europeo meglio, ma molto meglio di quanto non siano riusciti gli occidentali a capire l’Islam. Ha capito, per esempio, che il modello occidentale sta conquistando quelle aree, più che geografiche, umane tradizionalmente dell’Islam, che la coca cola fa più tendenza di datteri e banane, che la minigonna tenta più del burqa, che la conquista morbida del mercato e della moda è più efficace di quella violenta degli scontri armati. La reazione di questi ultimi venti anni dell’Islam, in tutte le sue declinazioni, dimostra che è in atto una guerra contro l’Occidente. Questa guerra passa attraverso numerose vie: politica, terrore, immigrazione, rivoluzione liberale e sociale, colpi di stato.
Fino a qualche anno fa, prima di Obama, negli Stati Uniti d’America, colpiti in casa da questa guerra – ricordiamo l’abbattimento delle Torri gemelle nel 2001 – ha prevalso lo scontro frontale. Con Obama, benché costui non abbia potuto fare a meno di continuare la guerra in Afghanistan, ha preso sempre più consistenza una linea diversa, tra la scelta ideologica, democrazia e libertà d’esportazione anche a quei popoli, e la resa, dettata dalla paura di uno scontro finale che avrebbe i caratteri dell’Armageddon.
L’Europa, invece, assai più ragionieristica degli americani, un po’ per concludere affari, un po’ per sincera ideologia illuministica e un po’ – diciamolo pure – per paura, si è spalancata all’invasione islamica, fino a negare le proprie radici cristiane. Affermarle avrebbe significato una messa delle cose in chiaro, di importante valenza politica. Per altro verso i governanti europei hanno più volte involontariamente suggerito una nuova tattica agli islamisti: la guerra in casa del nemico. Non dicono i nostri governanti che i soldati europei in Afghanistan tengono impegnato il nemico in casa sua impedendogli di portare attacchi a casa nostra? Ora gli islamisti la guerra ce l’hanno portata alle porte di casa; poi, ce la porteranno in casa.
L’attacco islamista all’Europa si sta dispiegando in questo inizio di anno puntando proprio sull’abbattimento di quei regimi pluridecennali ormai funzionali alla politica europea di buon fruttuoso vicinato, ma penalizzante l’islamismo. L’Islam più aggressivo vuol punire l’Islam più vecchio e flaccido; quello che si è venduto agli occidentali ed ha i forzieri stracolmi di danaro e di preziosi.
Stati Uniti ed Europa hanno risposto alle sollevazioni popolari e al rovesciamento dei regimi in maniera, come si diceva in apertura, interessante ma scontata. Ma la situazione è grave. Alcuni paesi europei – e l’Italia primo fra tutti – aveva con quei regimi, che uno dopo l’altro stanno cadendo, vitali interessi economici, per non considerare la catastrofe delle centinaia di migliaia di profughi che si riverserebbero in Italia e a questo punto sperabilmente anche in altri paesi d’Europa. Insomma, par di capire che la libertà e la democrazia di questi popoli, che agiscono manovrati da teste pensanti nemiche dell’Occidente, valgono più dei nostri interessi politici ed economici.
Se così fosse sarebbe grave, ma almeno ci sarebbe il conforto di aver dato una mano a quei popoli per avviarli verso la modernità. Purtroppo, non è così. La storia, nemmeno troppo vecchia e lontana, ci offre esempi lampanti di involuzioni clamorose.
Nel gennaio 1979 in Iran lo Scià Reza Pahlevi dovette cedere alla piazza e lasciare il suo paese. E l’Occidente che fece? Disse che quella piazza chiedeva libertà e democrazia e aiutò l’ayatollah Khomeini, amorevolmente ospitato fino ad allora in Francia, a rientrare e ad instaurare un regime teocratico tra i più duri della seconda metà del Novecento, che ancora resiste. Lo Scià aveva da qualche anno avviato una politica di riforme modernizzanti di tipo occidentale. I politici e i governanti europei di allora, democratici doc, dissero invece che la rivoluzione iraniana era democratica, che voleva liberarsi di un despota. I fatti hanno dimostrato il contrario, e cioè che il vero processo modernizzante era quello dello Scià, mentre la piazza, se pure aveva avuto mai consapevolezza di lottare per la democrazia e per la libertà, si risolse per una reazione islamista.
E’ veramente libertà e democrazia ciò che tunisini, egiziani e libici hanno chiesto per rovesciare i regimi esistenti? Lo speriamo per loro e per noi. Ma la speranza qualche volta è la maschera della paura e qualche volta della convenienza. Ricordarcelo necesse est!
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