domenica 9 gennaio 2011

Lasciamo perdere Battisti, è molto meglio per tutti

Peggio del male in sé è il parlarne, specialmente quando produce memorie terribili e non c’è un comune sentire nazionale sulla stessa vicenda; ed anzi alle lacerazioni prodotte si aggiungono altre lacerazioni. E’ il caso della vicenda Battisti, di cui, ora per un diniego di estradizione, ora per un altro, si continua a parlarne col rischio anche di rovinare i rapporti internazionali del nostro Paese, ora con la Francia, ora col Brasile.
Il Presidente Napolitano lo ha amaramente ammesso: non siamo riusciti a farci capire dagli amici, vicini e lontani, su che cosa è stato il terrorismo in Italia e quali sacrifici ha comportato combatterlo e sconfiggerlo. In linguaggio diplomatico è il risentimento nei confronti di Francia e Brasile per averci negato il pluriomicida Battisti perché scontasse la pena in Italia.
Oltre tutto, in atmosfere celebrative dell’Unità d’Italia il nome di Cesare Battisti evoca altri personaggi, che meriterebbero ben altra rimembranza. Evoca Cesare Battisti, l’irredentista trentino, socialista, amico di Mussolini ai tempi de “L’Avvenire del lavoratore”, giustiziato dagli Austriaci nel 1916 per la sua italianità. Si ritrova circa un secolo dopo a dover spartire la completa omonimia, di nome e cognome, con un terrorista, pluriomicida e pluricondannato.
Si dice che Battisti sia oggi un bravo scrittore di noir, un genere che evidentemente ce l’ha nel patrimonio genetico e nel vissuto personale. I ragazzi di oggi, che non conoscono più la storia d’Italia, non sanno chi è Cesare Battisti “uno”, ma, a forza di sentir nominare tutti i giorni questo nome, sanno chi è Cesare Battisti “due”, il solo Cesare Battisti che conoscono.
Qualcuno dirà: si metterà fine a questa triste ed incresciosa vicenda nel momento in cui sarà estradato in Italia, dove sconterà i suoi quattro ergastoli, passati in giudicato.
Non sono d’accordo, non perché non ritenga che non debba scontare la pena – in fondo è da anni che vive in pena, un po’ in fuga e un po’ in prigione – anzi, ma perché per come potrebbero mettersi le cose in Italia col suo rientro si aggiungerebbe danno al danno; si aprirebbe un nuovo capitolo. Rischieremmo di sentir parlare di lui chissà per quanti anni ancora. Poiché – siamone certi – ricomincerebbe il solito tormentone della grazia, come è accaduto per Adriano Sofri, il leader di “Lotta Continua” condannato quale mandante dell’assassinio del Commissario Luigi Calabresi, oggi riverito editorialista de “la Repubblica”. Non fosse altro che per questa malaugurata ipotesi, facendo violenza al mio concetto di giustizia punitivamente educativa, ritengo che quel Battisti vada lasciato dove sta.
Non sembri incoerente. La vicenda Battisti ha aperto tre fronti di discussione, sui quali occorre riflettere con freddezza. Uno, è che chi commette delle azioni criminose, quali che siano i motivi ad averlo indotto, deve scontare la pena per una prioritaria esigenza sociale e per il rispetto delle vittime. Due, di fronte ad un fenomeno così complesso e articolato come fu il terrorismo va cercata una soluzione politica che i casi singoli comprenda e superi, una sorta di sanatoria sociale. Tre, non si possono mettere in crisi i rapporti internazionali per una questione che tutto sommato è di giustizia e di storia interna.
Sul primo fronte, sono del parere che chi commette un delitto e viene condannato debba scontare la pena fino in fondo, a prescindere da ogni e qualsiasi considerazione. E’ bensì vero che la Costituzione della Repubblica, all’art. 27, vuole che “Le pene […] devono tendere alla rieducazione del condannato”. Ciò non esclude che debbano essere scontate. Nel vivere la pena, il condannato non solo può rieducarsi, ma può diventare un esempio per gli altri.
Quanto al secondo fronte, alla teoria cossighiana della “guerra civile”, per cui bisognerebbe trovare una soluzione politica, non si può non rilevare che essa riduce quella complessa vicenda ad una guerra circoscritta a belligeranti politici ed esclude la società. In via di principio è sbagliato aprire varchi nella sovranità dello Stato, creare discontinuità, delle zone franche, all’interno delle quali giustificare delitti nei confronti dello Stato stesso, delle sue istituzioni e di privati cittadini. Vorrebbe dire che lo Stato, concedendo e concedendosi una qualche vacatio, viene meno ad uno dei punti fondanti del patto sociale: l’amministrazione della giustizia. E ciò è assolutamente inammissibile. Le forze politiche “belligeranti” possono riconoscere torti e ragioni, avere pentimenti o altro, ma non possono pretendere di creare un vulnus allo Stato, che deve imporre sempre il dominio della legge. Per certi aspetti il fatto che Battisti sia fuori d’Italia e che non ce lo vogliano estradare non è giusto ma conveniente. Se fosse in Italia sarebbe peggio, verrebbero fuori le più accese tesi innocentiste o colpevoliste, giustificazioniste o intransigenti. Non dobbiamo dimenticare che furono migliaia i firmatari del manifesto in suo favore. Il danno che ne deriverebbe sotto il profilo politico sarebbe ancor più grave di quello umano prima e giuridico poi.
Il terzo fronte si differenzia dai primi due perché riguarda i rapporti esterni dello Stato. Qui sono in gioco altri e più importanti interessi. La Francia, per esempio, è una nazione sorella, fa parte da sempre della Comunità Europea. Diverso è il discorso della Carla Bruni: per fortuna non siamo tutti figli di sua madre. Col Brasile abbiamo rapporti economici tra i più importanti. Incrinare i buoni rapporti con questi due Paesi sarebbe sbagliato. Certo, resta lo schiaffo che ci rifilò la Francia qualche anno fa, quando fece graziosamente scappare Battisti, e lo schiaffo del Brasile, che addirittura ci nega l’estradizione con ragioni offensive e lesive della nostra dignità.
Se l’Italia fosse il paese che le autorità politiche brasiliane sospettano, e cioè un paese rancoroso e disposto comunque a farla pagare a Battisti, non sarebbe poi un’impresa impossibile raggiungerlo in casa loro e fargli fare la fine che merita. Come hanno sempre fatto e come tuttora fanno certi paesi, tra comunismo e banditismo, a cui quel Lula si è sempre ispirato.
L’Italia, invece, è così civile che mentre richiede l’estradizione, per un’insopprimibile esigenza di civiltà giuridica, spera che non gliela concedano per una cinica convenienza politica. Ma Lula questo non lo può capire!
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