domenica 1 agosto 2010

Fini verso l'ultima camicia

E’ davvero strano che si continui ad accreditare Gianfranco Fini come uno che ha una precisa idea di democrazia e che per questa idea, assolutamente diversa da quella di Berlusconi, ha tanto fatto che alla fine è riuscito a rompere il capolavoro politico che lui stesso aveva contribuito a creare.
Di quale idea si tratti non è dato saperlo. Se lo chiedono, incerti, politologi e osservatori vari. Una democrazia parlamentare, dice qualcuno, in opposizione alla democrazia plebiscitaria di Berlusconi (Michele Ainis, La Stampa del 31 luglio). Ma non convince, è una risposta che sta più nell’astratto di un’ipotesi di favore che nella realtà della storia di questi ultimi vent’anni.
La verità è che nessuno sembra più ricordare la vicenda politica di Fini e tirare il filo della matassa. Non si tratta di amnesia spontanea; è che nessuno, magari anche per non mortificare quello che oggi sembra il più forte antagonista dell’onnipotente, vuole far passare il Presidente della Camera per quello che è: un opportunista che non indugia minimamente a cambiare, rinnegare e tradire, pur di fare un passo avanti verso le “magnifiche sorti e progressive” del suo io politico. Le idee politiche per lui sono camicie che cambia come l’occasione suggerisce. Uno, che mentre accusa Berlusconi di cacciare dal partito chi dissente, ai suoi dice: se qualcuno di voi dirà una parola fuori posto lo caccio via. Che sembra una barzelletta. Uno che, eletto da una maggioranza politica alla Presidenza della Camera, non avverte il dovere morale e politico di dimettersi quando quella maggioranza lo ha sfiduciato, in quanto non più al di sopra delle parti, ma pars in partibus.
Perché, allora, ha cambiato l’ultima camicia? Semplice: pensava due anni fa che la successione a Berlusconi nel partito unico e nel governo fosse scontata, commettendo un errore di valutazione incredibile, perché poi,  attribuisce a se stesso meriti che il più delle volte sono frutto di fortunate coincidenze. Un buco nella cuffia per uscirsene lo trova sempre. Le cose, in realtà, non si sono messe come lui pensava. La Lega ha fatto man bassa dei voti di An, dopo che questo partito era stato sciolto nell’acido del PdL, e addirittura del Pd; ha conquistato posizioni nel Parlamento e perciò nel governo. L’uomo forte e in predicato di succedere a Berlusconi è Tremonti, l’indiscusso ministro dell’economia, competente e capace, apprezzato in tutto il mondo, blindato dalla Lega, una risorsa del Paese, del governo e dello stesso Berlusconi. Fini si è visto chiuso in una istituzione dorata, politicamente fuori gioco, e ha incominciato così a menare calci. Ha riscoperto la questione morale, si è ricordato di essere stato missino e giustizialista, ha sfruttato ogni occasione per assumere posizioni contrarie al partito di appartenenza; ha rivendicato visibilità politica; ha sparlato di Berlusconi e poi dei berlusconiani, per mettere in difficoltà la maggioranza. Ha creato, insomma, una situazione dalla quale non si poteva uscire se non con una rottura. E rottura è stata, nella logica del tanto peggio tanto meglio.
Mi piacerebbe pensare, con quel vizio tutto italico di fare analisi dietrologiche, che l’operazione di Fini venga da più lontane e nobili motivazioni. Penso a chi vorrebbe frenare la corsa della Lega verso un federalismo pericoloso per la tenuta dello Stato unitario, proprio nell’anno in cui si celebra il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Penso a chi vorrebbe travolgere Berlusconi con un'onda anomale, per fargli chiudere una volta per tutte la sua esperienza politica. Mi piacerebbe che fosse così. Magari così potrebbe anche risolversi se dovesse cadere il governo o se si dovessero determinare eventi che oggi è impossibile prevedere. Ma mi è difficile crederci davvero, aderente come sono e come bisogna essere a quel che è stato e a quel che è, senza supposizioni e senza fughe in avanti.
Quest’ultima impresa di Fini probabilmente si spiega in un contesto politico di disordine, in cui in difetto di idee e di programmi, prevalgono logiche di capi e capetti, che organizzano autentiche bande in attesa di entrare in qualche transitoria coalizione. Come spiegare l’esistenza dell’Udc, quell’organizzazione politica guidata da quella “persona seria” di Casini? E l’esistenza dell’Api di Rutelli? Ed oggi l’esistenza di “Futuro e Libertà”, che sembra pari pari l’opposto della storia politica dalla quale proviene Fini “Passato e Dittatura”? Nessuno vuole essere secondo e perciò si crea una sua piccola banda.
C’è, tuttavia, un’ipotesi da tenere in considerazione, a voler essere buoni, che in qualche modo corregge l’ipotesi negativa di un opportunista voltagabbana. Si dice che quella di Fini sia una destra moderna ed europea. Diamogli pure credito. Ma in che cosa questa destra si differenzierebbe dalla sinistra altrettanto moderna ed europea? Se andiamo a vedere, al di là del profilo di potere in cui sembrano sciogliersi i contrasti, i grandi dibattiti che sono sorti in questi ultimi anni su questioni che attingono e attengono la coscienza individuale, troviamo un’area politica indistinta, dove destra e sinistra sono sulle stesse posizioni: rifiuto di inserire le radici cristiane nella costituzione europea, riconoscimento delle coppie di fatto, procreazione assistita sottratta a qualsiasi riflessione morale, uso della pillola cosiddetta del giorno dopo, testamento biologico, riforme nella chiesa cattolica in direzione di matrimonio dei preti e sacerdozio femminile, liberalizzazione delle droghe. Un complesso di posizioni che nel corso degli anni passati, dai Cinquanta in poi, sono state battaglie dei radicali. La storia – si sa – non inizia ogni giorno, ma segue i giorni passati, in un continuum che non s’arresta. Fini era decisamente contrario ad ognuna di queste cose e al complesso di pensiero dal quale erano prodotte.
Ma è un’ipotesi di servizio, questa. Fini, per un suo congenito modo di essere, potrebbe solo avviarsi verso l’ultima camicia, quella che non potrà più cambiare, perché difficilmente ne avrebbe un’altra da indossare. Ma, a saperla!
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