domenica 29 agosto 2010

Fini e l'equivoco dei rautiani

Si chiama “Futuro e Libertà” il gruppo parlamentare creato da Gianfranco Fini, tornato leader di partito e “incompatibilmente” presidente della Camera. A settembre – dicono – si ufficializzerà la nascita del partito con questo nome. E’ soprattutto la parola “Futuro” che ha fatto rievocare un linguaggio politico già noto negli ambienti della destra; ma più che quello marinettiano, precisamente quello rautiano.
Pino Rauti, nel 1976, per fronteggiare il moderatismo retro di larga parte del partito che spingeva ad inserimenti nel sistema, che avrebbe portato di lì a poco alla scissione di Democrazia Nazionale, e per arrestare il lento declino del Msi-Dn (nelle elezioni del 1976 era sceso dall’8,68 al 6,12), fondò una corrente che chiamò “Linea Futura”. Lo fece con un documento molto articolato dallo stesso titolo, che presentò in Comitato Centrale, con chiare intenzioni di rilanciare il partito su basi politiche nuove. Un paio d’anni più tardi la corrente assunse il titolo “Andare oltre” e nel marzo 1979 Rauti fondò “Linea”, il quindicinale che avrebbe dibattuto e veicolato i nuovi contenuti.
Quali le novità di Rauti? Anzitutto va detto che il Msi, fin dalla sua nascita, dicembre 1946, si era occupato di grandi problemi social-nazionali (politica estera, sicurezza, sanità, previdenza sociale, lavoro, forze armate, scuola e soprattutto storia in chiave di difesa del fascismo). Dei problemi sociali più diffusi e minuti, direi frammentati e individuali, quelli, per intenderci, di ogni giorno e della nuova cultura (politiche giovanili, comunicazione, ambiente, tempo libero, ecologia, spettacolo, arte, cinema, musica, intrattenimento, narrativa, fumetti, poesia, teatro ecc. ecc.) nemmeno a parlarne, quasi fossero frivolezze e distrazioni dalle quali tenersi lontani. Si correva il rischio che gli anziani ti accusassero di debosciamento, di esserti appiattito su posizioni borghesi o peggio ancora di sinistra. In quegli anni, per intenderci, un Luigi Tenco o un Bruno Lauzi, due cantautori notoriamente di destra, non trovavano nel partito né attenzione né protezione. Non così per quelli di sinistra, che nel partito e dal partito traevano successo e guadagni.
Rauti, che pure aveva dedicato diversi anni della sua vita ed importanti iniziative di studio alla grande storia, alla grande politica, ai grandi ideali dello spirito, con “Linea Futura” volle iniziare un percorso nuovo. Quello dei problemi della gente e soprattutto dei giovani per contendere palmo a palmo il terreno alla sinistra, che delle riferite problematiche per anni aveva avuto il monopolio. L’approccio doveva essere metodologico prima di tutto. Bisognava creare strutture parallele, formalmente staccate dal partito, sostanzialmente però ad esso funzionali ed organiche. Questo non solo perché nel partito, fortemente ancorato alla grande politica d’ispirazione almirantiana, simili iniziative non trovavano sostegno, ma perché in questo modo era più facile l’azione di conquista di spazi sociali nuovi. Queste strutture dovevano appunto occuparsi dell’universo politico giovanile e dimostrare che c’era una destra che non parlava soltanto di Stato e di Nazione, di storia e di fascismo, di Gentile e di Evola, ma anche di musica, di ambiente, di comunicazione, di disagio e via di seguito. Come Gramsci, Rauti riteneva che il potere politico si conquista dopo aver conquistato quello culturale. E’ per questo, più che per altri aspetti, che Rauti è passato nel linguaggio giornalistico, sempre ad effetto ed esemplificativo, come il “Gramsci nero”. In buona sostanza, se Almirante contendeva il terreno politico alla Democrazia cristiana, con la sua politica moderata e rassicurante, nei palazzi della nobiltà romana e nelle piazze del popolo, Rauti quel terreno lo voleva contendere al Partito comunista nei luoghi della società minuta. A sinistra si accorsero della minaccia e Giorgio Galli su “la Repubblica” del 16 gennaio 1979 parlò di “Fascisti in camicia rossa”. Sicché nel primo numero di “Linea” Rauti gli rispose con un lungo articolo: “Non ci mettiamo in camicia rossa, ci riprendiamo quello che è nostro” (1° marzo 1979); in cui indicava, esemplificando, il “popolo”, ma alludendo chiaramente a quelle aspettative popolari che già il fascismo aveva saputo soddisfare e che il comunismo non era più in grado di farlo.
Chi furono i rautiani? Occorre riflettere prima di concludere, come oggi con leggerezza si tende a fare, che i finiani di oggi sono i rautiani di ieri solo perché con Fini, dopo l’espulsione dal Popolo della Libertà, si sono schierati alcuni che allora fecero la scelta di Rauti. In Fini e “amici” deve regnare la confusione totale se “Generazione Italia”, che è un po’ l’organizzazione sul territorio del loro costituendo partito, ha preso come simbolo quello di “Democrazia Nazionale”, di quel partito cioè che nel dicembre 1979 fece la scissione proprio perché non sopportava il radicalismo di Rauti.
A “Linea Futura” e successivamente ad “Andare oltre” aderirono soprattutto giovani. Alcuni in maniera acritica, suggestionati dalla novità e dal fascino che esercitava allora Pino Rauti, politico “immeritatamente” coinvolto nel terrorismo nero, reduce di Salò, ma soprattutto intellettuale sottile, moderno e quadrato. Aderirono quelli che solitamente cercano spazio politico ed opportunità di carriera politica. Questi, a rigore non potevano dirsi rautiani, come poi dimostrarono approdando altrove. Altri furono rautiani veri. Ma anche qui va fatta una distinzione, fra quelli che si limitarono al rautismo tattico (occuparsi di problematiche sociali e attuali) per conquistare gli spazi lasciati vuoti dalla sinistra in crisi, e quelli che rautiani lo furono fino in fondo, anche a livello strategico. Mi spiego: occuparsi di ambiente o di cinema non era di per sé rautismo; era rautismo se a simili problematiche si dava il taglio indicato dalla linea rautiana, che gli osservatori politici hanno sempre rubricato come radicalismo di destra.
Rautiani veri o integrali – per capirci – non ce ne sono più in circolazione, spazzati via dalle variabili della politica che hanno trasformato soggetti e strumenti di questi ultimi vent’anni, compresa la destra, ex missina ed ex aennina. Mentre ci sono alcuni che rautiani lo furono solo per tattica. Essi, come Adolfo Urso, Silvano Moffa, la Flavia Perina, stanno con “Futuro e Libertà” ovvero con Fini. L’essere stati rautiani ieri e finiani oggi induce a pensare che rautiani e finiani siano la stessa cosa. Nulla di più approssimativo. E’ completamente cambiato il teatro politico, la società, le aspettative della gente, se non vogliamo proprio dire che essi stanno con Fini, nella convinzione di avere un futuro che nel Popolo della Libertà pensano di non poter avere. La Perina, poi, direttore de “Il Secolo d’Italia”, non può mettersi contro il suo editore.
Quanto a Fini, a parte ogni specifica considerazione, che sarebbe di cattivo gusto, è l’esatto contrario di Rauti. Rauti cercava di conquistare spazi politici contendendoli alla sinistra; Fini cerca di conquistare la sinistra per sottrarre spazi alla destra e a chi oggi, degnamente o indegnamente, la rappresenta. Rauti non cercava di conquistare spazi politici semplicemente sostituendosi agli altri, ma scacciando le idee degli altri con le proprie. E’ di tutta evidenza che il caso Fini attiene a quel profilo della politica che si esaurisce nella conquista del potere personale, che è il profilo più feroce, irrazionale e fanatico. Ma la politica, per fortuna, nonostante i cambiamenti e le variabili, ha altri profili, che si esprimono e si esercitano sempre in senso plurale e sociale.
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