domenica 30 maggio 2010

Pedofilia: pagliuzze e travi

La campagna denigratoria contro la Chiesa per la pedofilia dei preti non ha precedenti per estensione planetaria e virulenza. Tanto insistente che l’altra questione, legata alle finanze del Vaticano, assai grave per gli agganci criminosi – si pensi allo Ior, ai Calvi, ai Marcinkus, alla banda della Magliana – è passata in secondo ordine.
Gli effetti non si sono fatti attendere: già in varie parti d’Europa è calato l’8 per mille per la Chiesa cattolica. E probabilmente un primo obiettivo è stato raggiunto. Al Cerbero che l’azzanna è stato dato quel che voleva: la terra nelle bramose canne.
Questo, ovviamente, non è tutto e nemmeno significa che il problema della pedofilia non ci fosse e non andasse sollevato, tutt’altro. Andava, però, contenuto e contestualizzato.
Incominciamo col dire che non è nuovo né peggiore di prima e che durante il lungo pontificato di Giovanni Paolo II se ne parlò pochissimo. Continuiamo col dire che Benedetto XVI, già prima ancora di diventare Papa, in occasione della Via Crucis del 2005, pronunciò parole durissime, senza specifici riferimenti, contro il marcio della Chiesa. Il sospetto, perciò, che la campagna antipedofilia sia in buona sostanza contro Benedetto XVI è talmente ingombrante da non far vedere altro. E che essa nasconda altri obiettivi è talmente evidente che nessuno è disposto ad escluderli: matrimonio gay, procreazione assistita, uso di anticoncezionali, celibato dei preti, sacerdozio femminile, eutanasia, oltre a divorzio e aborto.
Su tutti questi problemi Benedetto XVI, come già Giovanni Paolo II, è intransigente. Questo Papa teologo, però, a differenza del suo predecessore, è un professore che spiega perché la Chiesa non può derogare dalle sue millenarie prerogative. Perciò irrita, con la sua fredda docenza. Giovanni Paolo II si limitava ad enunciare i “no” e con volto bonario e suadente, dall’alto del suo carisma, convinceva della loro giustezza. Questa, in buona sostanza, la differenza tra Benedetto XVI e il suo predecessore; se non si vuole anche tener conto dell’immaginario collettivo: il Papa polacco è già da amare perché appartiene ad un popolo vittima dei prepotenti, il Papa tedesco è già da odiare perché appartiene ad un popolo boia di innocenti.
Va da sé che un papa non può assolutamente, senza negare se stesso e chi e cosa rappresenta, dispensare autorizzazioni a peccare. Ve lo immaginate un Papa che parli come Dario Fo o Marco Pannella? Come Franca Rame o la Sabina Guzzanti?
Allora, il problema dei preti pedofili è vero ed è grave. C’è poco da discutere! E’ giusto pertanto che la società, tenuta da un Papa severissimo custode dell’ortodossia dei costumi tradizionali entro steccati di quotidiane rinunce, pretenda dalla Chiesa di dare il buon esempio, di essere intransigente con se stessa, a partire da ciò che accade entro le sue quattro mura, prima di lanciare anatemi sugli altri. Qui, invece, la Chiesa ha dimostrato di essere in grave difetto.
Le colpe della Chiesa sono soprattutto di carattere omissivo. Il che presuppone l’oggetto omesso, che è la materia del contendere. Il suo comportamento è piuttosto secolarizzato; esso s’inserisce in una morale dissimulatoria propria di una certa cultura occidentale: il danno che fa il male nascosto è minore di quello che lo stesso male produce se reso pubblico. “Intus quod libet foris quod licet” insegnava Torquato Accetto. Certe “porcherie”, del resto, non accadono solo negli spazi chiesastici (sagrestie, seminari, locali parrocchiali), ma nelle famiglie e nelle scuole. Di simili “porcherie”, in genere, trapela assai poco, perché si ritiene che nasconderle e soffocarle conviene di più che renderle pubbliche e farne oggetto di discussione e perfino, ove ricorrano gli estremi, di processi con relative sentenze e pene.
Ma se la Chiesa denuncia i vizi della società – ed è giustissimo che lo faccia – come può, poi, essa stessa praticare gli stessi vizi? Come può la Chiesa farsi società senza venir meno alla sua specificità di agenzia educatrice per eccellenza? La Chiesa pensa alla Civitas Dei, la società alla Civitas hominum. Ci deve pur essere una differenza.
Questo iato, Benedetto XVI lo ha capito da tempo. Nel male come nel bene, è appena il caso di ricordare che Benedetto XVI appartiene al popolo di Martin Lutero, uno che i conti li faceva con se stesso e lo insegnava agli altri. Di qui il suo forte impegno a pulire prima di tutto le sue “stalle”. Il suo continuo tornare sull’argomento, benché rivolto più immediatamente ai fedeli, è un messaggio che mira a colpire gli operatori della Chiesa, ossia i preti.
Ma gli effetti mediatici di tanto insistere su un argomento di per sé scabroso possono essere anche rischiosi. Uno può essere quello deviante di far passare una falsa verità, ossia che il problema riguardi solo la Chiesa, la sua gente e i suoi luoghi. Non occorre molta fantasia o particolari conoscenze per immaginare che laddove esista uno spazio chiuso, all’interno del quale, operano degli esseri umani, si possano verificare delle “porcherie”. In un seminario ci sono ragazzi dagli undici-dodici anni ai diciotto-diciannove. Come non immaginare che lì si verifichino “pratiche”, direi anche normali, per l’età dei soggetti e per la loro condizione? Non accade la stessa cosa, sia pure in condizioni diverse, nelle scuole pubbliche? E i presidi e i professori non si comportano esattamente come i loro omologhi in seminario, ossia tendono a nascondere? Suvvia, non siamo ipocriti! Eppure nessuno ha fatto finora il chiasso che è stato fatto per i preti pedofili, i quali, evidentemente, prima di essere preti sono stati seminaristi; e i presidi e i professori, prima di essere tali, sono stati studenti e sono passati dai bagni scolastici.
L’altro effetto deviante di questa campagna è che a farla è la stessa gente che alla questione sesso non pone nessun limite e nessuna regola. Come dire: vede la pagliuzza nell’occhio della Chiesa e non s’accorge della trave che è nell’occhio della società, ossia di se stessa.
Benedetto XVI fa bene ad insistere nella condanna della pedofilia, però credo che adesso si stia prestando alla speculazione di chi vuole male alla Chiesa. Pur considerando che per un prete pedofilo ci sono centinaia di preti bravi, onesti e veramente ligi al servizio di Dio e degli uomini, occorre insistere non tanto sulle parole quanto sui fatti. Colpire un prete pedofilo in modo puntuale e definitivo vale più, ma molto di più, che chiacchierare sul problema, che se non è falso è tuttavia offensivo nei confronti di una istituzione che merita rispetto e riconoscenza.

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