domenica 6 giugno 2010

Salviamo il soldato Saviano

Farei in limine una distinzione a proposito di Roberto Saviano tra l’intellettuale e l’«eroe di carta», come lo definisce nel suo pamphlet Alessandro Dal Lago, un raffinato intellettuale di sinistra. Il primo esiste, è vero, è l’autore di “Gomorra”, il libro che per un verso gli ha procurato una condanna a morte da parte della camorra e per un altro è diventato appunto l’eroe di carta, in grazia o a causa della macchina massmediatica; il secondo è anche qui per un verso la conseguenza inevitabile della fama e per un altro è l’altrettanto inevitabile sua strumentalizzazione. Chi, però, pensa di lacerare la carta, di cui sarebbe fatto l’eroe Saviano, finisce per ucciderlo, ossia per fare quello che per altre ragioni intende fare la camorra. Esattamente come accade al Dr. Jekyll quando uccide Mister Hyde, posto che l’eroe di carta possa essere paragonato all’essere ripugnante della fantasia di Stevenson.
Di carne e di carta, Saviano oggi è nel mirino non solo della camorra ma anche di certa politica (il premier Berlusconi), di certa cultura (il saggista Dal Lago) e di certa società (i calciatori Cannavaro e Borriello). Il problema per lui si fa serio, ha commentato Massimo Gramellini su “La Stampa”.
A me il libro che ha reso celebre Saviano non piace per come è strutturato. E’ un libro atipico, una sorta di pot-pourri, in cui c’è di tutto. Per apprezzarlo, anche dal punto di vista estetico, occorre sbranarlo, farlo cioè a brani. Nell’insieme appare un abborracciamento di materiali ripresi dalla cronaca e da inchieste giornalistiche, posti l’uno dopo l’altro, non potendo stare uno sull’altro. Ma nei contenuti il libro è importante, non solo e non tanto perché narra fatti veri, con nomi non di fantasia ma di uomini della camorra, quanto per l’efficacia che esercita sul lettore e sulla società.
Di libri come “Gomorra” dovrebbero essercene di più, ben inteso come denunce forti e coraggiose di fatti assolutamente intollerabili in una società moderna. Altro discorso è il valore estetico, di cui si è detto. Vorrà dire pur qualcosa se lo storico della letteratura Alberto Asor Rosa, che è pure lui di sinistra, non lo ha inserito nella sua recente Storia europea della letteratura italiana. Ma questo è un altro discorso.
Sarebbe da ingenui pensare che basterebbe il libro o mille libri come quello di Saviano ad annientare la camorra in Campania, la mafia in Sicilia o la ndrangheta in Calabria. Non sarebbe mai possibile, perché l’Italia è sì il paese – diceva il toscano Dante – “là dove ‘l sì suona” e il tedesco Goethe “wo die Zitronen blühen” (dove fioriscono i limoni), espressioni belle e suggestive, tra l’amore e la fiaba; ma è anche il paese dove “blühen” le più varie forme di criminalità organizzata. E fioriscono pure perché ci sono politici, intellettuali e uomini dello spettacolo e dello sport che antepongono ai valori duraturi e qualificanti della libertà, dell’ordine, della convivenza pacifica, della crescita civile, gli interessi più immediati del prestigio nazionale nel migliore dei casi o della ruffianeria cialtrona nel peggiore. Del resto lo stesso Sciascia metteva in guardia dai professionisti dell’antimafia. E Sciascia era tutt’altro che ruffiano.
Il nostro, purtroppo, è un paese condizionato; lo è per le minacce costanti delle tante mafie, grandi e piccole, che dominano un po’ dappertutto. Quando si attacca Saviano per la sua esposizione mediatica, per i riconoscimenti immeritati (immeritati dal punto di vista letterario), o quando si attaccano i professionisti dell’antimafia, ci sono indubbiamente delle ragioni.
Ma si possono esternare simili ragioni quando si è assediati e minacciati dall’esterno? Mi piace ricorrere anche qui ad un precedente letterario, al “napoletano” Leopardi de “La ginestra”, quando ad un certo punto per sottolineare la stupidità degli uomini dice: «Stolto crede così, qual fora in campo / Cinto d’oste contraria, in sul più vivo / Incalzar degli assalti, / Gl’inimici obliando, acerbe gare / Imprender con gli amici, / E sparger fuga e fulminar col brando / Infra i propri guerrieri»; prosaicamente e sintetizzando: stolto chi nel campo assediato, nell’infuriare degli assalti nemici, questi trascura e con la spada si rivolge contro gli amici e colpendoli mette in fuga i propri guerrieri. Gli stolti sono i Berlusconi-Dal Lago-Cannavaro-Borriello; i nemici sono i mafiosi, i camorristi, gli ndranghetisti; i propri guerrieri sono i Saviano e quei pochi altri che combattono e cadono sul fronte della lotta ad ogni criminalità organizzata.
Sarebbe la vittoria di tutti se Saviano & Compagni riuscissero a vincere. La società sarebbe più libera, meno condizionata e perfino i politici, gli intellettuali e gli uomini di spettacolo sarebbero più liberi di esprimersi. Ecco perché è necessario assumere impegni forti non solo contro ogni forma di criminalità, ma anche fraternizzare con chi si trova a combattere la stessa battaglia. I Saviano, criticabili quanto si vuole, sono i “guerrieri” della civiltà.
Viviamo oggi in una società deidealizzata e desacralizzata. Ogni buon principio ed ogni valore vengono irrisi come atteggiamenti retorici, nei quali nessuno più crede. Tutti buoni ad inseguire effimeri successi, legati al mondo dello svago (movide e notti bianche), del successo e del guadagno facili (veline e velini), del piacere (sesso ad ogni dimensione e droghe) nessuno più è capace di avere uno straccio di ideale; e se pure qualcuno c’è, si guarda bene dal dirlo per non essere irriso e indicato come un debole fuori dal mondo.
La società ha bisogno di retorica, invece, sissignori di retorica, avete capito bene; ovverossia di quella carica morale che fa compiere gesti nobili e importanti, e che solo gli incapaci e i pusillanimi bollano appunto come retorica. Schierarsi con Saviano è oggi un gesto di forza e di coraggio, anche per non isolarlo. Ché dall’isolamento e nell’isolamento la condanna, che gli grava, potrebbe trovare tragico compimento.
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