domenica 20 giugno 2010

Intercettazioni: ma in che paese viviamo?

Dico subito che non amo né le intercettazioni né i pentiti o altrimenti detti collaboratori di giustizia. Le intercettazioni, perché l’articolo 15 della Costituzione al suo primo comma dice: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili”. Qui mi fermo perché il secondo comma vanifica il primo, come spesso accade in Italia ad ogni “buon” principio; e meno male che in questo caso non c’è un terzo o quarto comma. I pentiti, perché ormai fanno parte della fenomenologia criminale, secondo calcoli e strategie ben precisi: delinquo, mi arricchisco, uccido e faccio uccidere; poi mi pento e non escludo di poter continuare a prendermi gioco dello Stato, che piego fino a comprometterlo e a negare se stesso o di inserirmi addirittura nel dibattito politico. I criminali del Sud sono un po’ pelidi (vita breve ma gloriosa) e un po’ laerziadi (vita da furbi e spregiudicati).
Torniamo alle intercettazioni. Esse sono indispensabili per la scoperta dei criminali e per trovare le prove per condannarli. Senza, diventerebbe un vero problema per le autorità inquirenti; sono perciò irrinunciabili. A questa prima necessità ne subentra un’altra, irrinunciabile anch’essa, quella dell’informazione. Intercettare, dunque, non solo per scovare e neutralizzare i criminali, ma anche per consentire ai massmedia di informare. Fin qui nulla quaestio. I problemi si pongono allorquando queste due necessità collidono con una terza, quella della difesa della libertà privata dei cittadini, anch’essa irrinunciabile. Tutta la questione si gioca nel triangolo: giustizia, informazione, privacy. Essa ricorda la storiella di quel tale che doveva traghettare da una sponda all’altra di un fiume un lupo, una capra e dei cavoli, non potendo portare più di un soggetto per volta e impedendo al lupo di mangiarsi la capra o a questa di mangiarsi i cavoli. Di qui il detto “salvar capra e cavoli”.
Personalmente sarei del parere che un criminale dovrebbe prioritariamente rispondere e pagare per tutto il male fatto, senza sconti, abbuoni, indulgenze. Possibilità di pentirsi? Sì, al Padreterno! Ma mi rendo conto che con una legislazione ipergarantista, come quella vigente, sarebbe veramente un’impresa giungere a risolvere qualche caso di criminalità e a fare un minimo di giustizia. Allora: a mali estremi, estremi rimedi! Vediamo, però, dove si va a parare.
Da due anni si discute su una nuova legge sulle intercettazioni, in presenza di una magistratura che eccede in autorizzazioni, in magistrati che passano le intercettazioni ai giornali, anche quando non dovrebbero, di giornali che pubblicano indiscriminatamente, e di molti ignari cittadini, che nulla c’entrano con le indagini, i quali si trovano sbattuti in prima pagina con tutto il loro contorno di miserie umane.
Se la legge vigente sulle intercettazioni venisse osservata da tutti gli addetti ai lavori cum probitate e non cum iniquitate non ci sarebbe bisogno dell’ennesima legge berlusconiana, che crea scompiglio e fa gridare la capogruppo Pd al Senato Finocchiaro con toni poco muliebri: “la democrazia è massacrata!”.
Ma – riflettiamo! – anche Berlusconi, di fronte alla mala applicazione della legge vigente, è costretto a ricorrere all’estremo rimedio di limitare le intercettazioni e di appesantire le pene per tutti coloro, dai giudici ai giornalisti, che la violino. Di qui le grida di sdegno, di allarme, di ricorso a corti costituzionali, referendum e via di seguito nel repertorio a cui da anni la politica, prima radicale e poi dipietrista, ci ha abituati. E i cittadini? Ciuchi in mezzo ai suoni.
Quando Berlusconi dice che non è da paese civile una magistratura che tiene sotto controllo i telefoni di 150.000 utenze, che le intercettazioni vanno a finire sui giornali in maniera selvaggia e senza alcun rispetto della legge e dei cittadini, dice una cosa giusta; ma dimentica di dire che non è neppure da paese civile avere due terzi del territorio nazionale sotto controllo di organizzazioni criminali efferate, che agiscono servendosi di tutti i mezzi, che tengono in “schiavitù” o sotto minaccia intere popolazioni.
Le anomalie italiane sono ben di più e ben più gravi di quelle che dice Berlusconi. Esse si tengono come pali divaricati alla base e raggruppati al vertice. E’ democraticamente anomalo violare la privacy delle persone – su questo non si discute – ma è altrettanto anomalo non garantire loro sicurezza. Quando si vedono magistrati con scorte che neppure Cesare aveva, si ha l’idea precisa di uno Stato che non è in grado di imporre il dominio della legge. Ecco perché è sbagliato che un Capo del Governo s’indigni per l’abuso delle intercettazioni e non riesca, invece, a contestualizzarle e a rendersi conto che questo nostro paese non è civile perché ben altri e assai più gravi sono i problemi che lo attanagliano da sempre. Non è civile il nostro Paese perché ha una classe politica incredibilmente discorde, rissosa, bugiarda, mediocre; ha una classe imprenditoriale che fonda i suoi successi economici sulla frode fiscale e sulla corruzione dei politici; ha una magistratura che opera all’insegna di un revanscismo proletario di tipo gramsciano; ha una Lega che opera per dividere il paese; ha delle istituzioni nella mani di cialtroni e una popolazione che si adegua come il mutar d’abito al cambiar di stagione.
Questa situazione, che sembrava dovesse cambiare con l’avvento di Berlusconi, persiste fino a costringere lo stesso “onnipotente” a fare pubbliche dichiarazioni d’impotenza. Ma anche qui sbaglia quando se la prende con la Costituzione. Se non riesce a governare come vorrebbe la colpa è sua perché non ha saputo creare una classe politica compatta su alcuni importanti valori condivisi ed è sempre più ricattato dai soliti politicanti di mestiere, vuoti di sostanza ma inappuntabili nella forma. I quali si sono adagiati sul suo corso politico come relitti sulla corrente di un fiume, tesi verso la foce del successo personale.
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