domenica 23 maggio 2010

Corruzione, al disopra d'ogni sospetto: nessuno!

Nessuno – dice un noto proverbio – può stare in un mulino senza infarinarsi. La politica in Italia è da intendersi come mulino? E la farina è la metafora del malaffare? Direi di sì. Si dice che i costi della corruzione oggi nel nostro paese superino i quaranta miliardi di euro all’anno. Come dire, due manovre finanziarie per aggiustare i conti dello Stato. Purtroppo di questo non si stupisce più nessuno. Qualcuno ancora si indigna. Ma anche l’indignazione in Italia è quel che resta di un vaso dopo che è andato in frantumi.
Stupisce sempre, invece, l’industriosità di dove s’annidi e di come si organizzi il malaffare. Riflettiamo un attimo sulla vicenda Fasano-Siciliano, che ha tenuto banco in questi giorni nel Salento e che ha riguardato due uomini, che, benché provenienti da storie politiche diametralmente opposte, Fasano dal Pci, Siciliano dal Msi, si sono incontrati alla Teano del malaffare.
I fatti: ai tempi in cui l’avv. Flavio Fasano di Gallipoli era assessore provinciale ai lavori pubblici (Presidente della Provincia Pellegrino) viene bandita una gara d’appalto per eliminare da tutte le strade della provincia (2.000 chilometri) i cartelloni pubblicitari abusivi (7.000) e per gestire il regolare servizio pubblicitario sulle stesse. L’affare è di circa venti milioni di euro; la parte relativa alla rimozione di circa tre. Fasano vuole che la gara se l’assicuri l’azienda Five riconducibile a Siciliano e tramite la Cotup a Lagioia, con cui l’assessore provinciale sarebbe in combine, tramite un…Piccolo prestanome. Ha bisogno perciò che il responsabile Servizio strade della Provincia Stefano Zampino elabori il bando di gara e lo faccia conoscere agli interessati per poter giungere alla conclusione desiderata. Chi si frappone al disegno “non capisce un cazzo” (Phasanus dixit).
Ciò che colpisce di più in questa storia, pur grave nel suo complesso, è la parte che riguarda i cartelloni abusivi. Tre milioni di euro per rimuoverli. Incredibile! Per capire c’è davvero bisogno di uno sforzo non indifferente. Significa che per anni si è tollerato che sulle strade provinciali venissero installati cartelloni pubblicitari abusivamente e a volte in maniera difforme dai regolamenti e perciò pericolosi per gli utenti della strada. Significa che si è lasciato fare apposta, fino a quando il “mostro” non è cresciuto tanto da proporsi come un bell’affare di milioni di euro. Un caso di strategia malavitosa.
Ma come? Perché la Provincia, che ha perfino una sua polizia, non interviene, volta per volta, ad invitare i responsabili, che sono identificabili dalla titolarità del cartellone, a rimuoverli entro un dato numero di giorni, pena la rimozione forzata con l’aggravio delle sanzioni previste e il risarcimento delle spese? Già, perché?
La risposta è tanto semplice quanto intollerabile. Perché ci sono i vari mugnai della politica che devono infarinarsi, che devono crescere in orizzontale, arricchendosi di beni, e in verticale, scalando le gerarchie del potere politico.
In Italia – e specialmente nel Mezzogiorno – si scambia l’omissione di reato per sana tolleranza. Il cittadino, fin da bambino, viene abituato (non più educato) a vivere e a lasciar vivere, che tradotto in comportamenti significa fare quel che si vuole e lasciare che gli altri facciano quel che vogliono. Il bambino, essendo il prototipo del popolo, diventa un modello ben preciso di società. Il popolo degli adulti si comporta infatti come una moltitudine di bambini in un asilo senza assistenti.
I vari casi di corruzione e di malaffare che investono la società italiana a tutti i livelli sono la prova provata che dai comportamenti tollerati giungono segnali di impunità e di disgregazione progressiva delle norme condivise. Benché sia provato che lasciato un vetro rotto di una finestra il giorno dopo sono rotti tutti gli altri, perché chi passa e vede recepisce il messaggio di impunità e rompe i restanti, da noi si continua a lasciar fare.
Solo per un malinteso senso di tolleranza? Così si pensava. Non più. Ma per un ben preciso calcolo d’affari. I vetri rotti da noi sono un business. Siamo in presenza di una dimostrazione come la teoria dei vetri rotti qui da noi è applicata dal potere politico per arricchirsi ai danni dei cittadini. La sciatteria amministrativa genera mafie, camorre; crea situazioni di guadagno illecito.
Qui non c’è solo una mentalità anarcoide ma una precisa idea di criminalità sociale, con tanto di percorso tattico e di obiettivo strategico.
In una simile società, debole nella sua tenuta strutturale, ci sono delle élites che – nel migliore dei casi – con la copertura dell’amministrazione pubblica e della soluzione dei problemi della gente, organizzano le attività pubbliche in modo tale da riservare a sé una quota di benefici, una sorta di integrazione delle proprie indennità di mandato.
In questi ultimi tempi la corruzione ha attinto uomini e zone tradizionalmente al di sopra di ogni sospetto (vedi Frisullo, Fasano, Siciliano), rafforzando la tesi che è assolutamente impossibile oggi fare politica, a qualsiasi livello, senza rimanere in qualche modo coinvolti nel malaffare. Rispetto a prima c’è un autentico salto di qualità in peggio. Si è passati dallo stare al gioco o tacere per paura di subire qualche ritorsione, anche fisica, come in qualche caso è successo negli anni passati, alla consapevole accettazione del più redditizio minuetto dell’io do una cosa a te e tu dai una cosa a me, in un intreccio di rapporti in cui si passa, come in un labirinto da luna park, per zone ora illuminate da luce accecante, ora opache, ora buie completamente. I magistrati, per vedere qualcosa, hanno bisogno dei raggi – lo dico senza ironia – infrarossi.
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