sabato 13 dicembre 2025

Chi comanda censura

Sono sempre più convinto che i tanti fascisti che c’erano durante il fascismo, in piena dittatura, fossero solo persone che amavano il quieto vivere, la sicurezza, l’ordine, il lavoro, che il regime garantiva con le buone e con le cattive. Metodi, peraltro, che l’autorità non doveva usare con eccessivo impegno e rigore dato che la stragrande maggioranza dei cittadini, in ogni ordine e grado della società, del regime era contenta se non entusiasta. Attacca l’asino dove vuole il padrone, vivi e lascia vivere. C’erano anche gli antifascisti, certo, convinti e militanti, come potevano esserlo in un regime che aveva i mezzi per tenere sotto controllo il Paese. Di essi i più tacevano per prudenza e per convenienza; gli altri, i meno, conoscevano le patrie galere. La gente pensava a farsi i fatti suoi, ben attenta a non farsi coinvolgere. Se qualcuno esprimeva giudizi contro il regime veniva isolato perfino dai parenti. Se impiegato, poteva perdere il posto. A nessuno piaceva rischiare. Essere antifascisti durante il fascismo era come avere una patente di untore. Chi più scansava il reprobo per non compromettersi, anche se gli si riconosceva probità e valore. Gli antifascisti eroici, quelli che sfidavano il regime, dovevano guardarsi da tutti potendo essere denunciati. Si sapeva che dappertutto c’erano spie e informatori. Così il professore antifascista stava attento al bidello, l’impiegato vedeva in ogni usciere un possibile nemico, il medico non si fidava di infermieri e portantini. Questo lo apprendiamo sia dai libri di storia sia dalla narrativa, dai tanti romanzi scritti sia durante che dopo il fascismo, e dai film ambientati negli anni tra le due guerre mondiali. Straordinario il film “Una giornata particolare” con Marcello Mastroianni e Sofia Loren. Gli italiani di oggi sono esattamente quelli di ieri, né più né meno. Fino all’altro ieri fascisti, ieri antifascisti e oggi di nuovo “fascisti”. Mi si consenta la provocazione, dato che essi fascisti non sono se non per capirci. Se così non fosse, mai si sarebbe potuto verificare che il nemico principale, se non l’unico, inserito perfino nella Costituzione, previsto in più leggi dello Stato, ovvero il fascismo o tale considerato, conquistasse democraticamente il potere. I nuovi “fascisti” non hanno avuto bisogno di grandi sforzi, hanno cambiato come si cambia modo di vestirsi ad ogni cambio di stagione. Basta vedere l’affluenza di personaggi di ogni settore della vita pubblica presenti alla festa di Atreju, la kermesse annuale di Fratelli d’Italia. Ovviamente mi riferisco a quelli che agli ex missini si sono accodati successivamente. Come è comprensibile, non tutti gli antifascisti “veri” stanno zitti, alcuni protestano, sottoscrivono, denunciano, si indignano per quello che accade. Alla mostra romana “Più libri più liberi” c’è stata una levata di scudi che ha fatto parlare i giornali per giorni e giorni per la presenza in fiera dell’editore “Passaggio nel bosco” considerato neonazista, che mi pare ancora più grave di fascista. Il risultato di tanto rumore è stato che dall’anno venturo ci saranno dei criteri di ammissione alla fiera, ovvero ci sarà una commissione che deciderà in anticipo quali editori accogliere e quali respingere, la censura in parole povere. La censura in una democrazia? E come? Qui davvero il mondo va alla rovescia, senza nemmeno scomodare Vannacci. “Più libri più liberi” non significa solo quantità, ma anche qualità, diversità. E se si istituisce la censura si limita la categoria dell’arricchimento, si impoverisce la libertà. Bisognerebbe cambiare il titolo “Meno libri meno liberi”, giacché non si può dire “Meno libri più liberi”, è una contraddizione in termini. È un bel guaio, in cui i difensori della democrazia si ritroveranno di qui a un anno. La censura, infatti, è quanto di meno democratico si possa immaginare. Intendiamoci, è stata sempre esercitata durante la Prima Repubblica, anche se con attente coperture, che passavano perché le atmosfere dominanti lo favorivano. Il Msi era regolarmente inquisito da una certa magistratura quando alle elezioni conseguiva qualche piccolo successo, come accadde agli inizi degli anni Settanta, che quasi sempre avveniva a danno della Democrazia cristiana. La differenza tra una dittatura e una democrazia è che la prima se dissenti ti sbatte dentro, la seconda ti sbatte fuori. Non stiamo qui a dire se è meglio l’una o l’altra soluzione, in entrambi i casi c’è sempre qualcuno che viene sbattuto.

domenica 7 dicembre 2025

L'Europa tra Scilla e Cariddi

Chi è Scilla per l’Europa e chi Cariddi, i due mostri marini che giravano sottosopra le navi che passavano dallo Stretto per poi ingoiarsele? Il mito non dice quale dei due fosse più pericoloso e noi, per mettere i piedi per terra, fuor da ogni metafora, diciamo che per il pericolo che sta correndo l’Europa uno vale l’altro: Putin che invade l’Ucraina e minaccia l’Europa, Trump che espone l’Europa a rischi ben maggiori. Il disegno di Putin è chiaro. Lo è da sempre. Vuole ricomporre la Russia degli zar o l’Urss dei comunisti. L’una e l’altra prevedono l’annessione come minimo, oltre che dell’Ucraina, delle repubbliche baltiche, di parte della Polonia e di altri territori confinanti. Quel che dice Putin per rassicurare non vale niente. È uno spergiuro da delinquente politico, che della parola mancata fa una sorta di valore, di cui si gloria. Quel che dice Trump è ancora peggio: l’Europa non è in grado di avere una politica sua, sta rinunciando alla sua civiltà, d’ora in poi se la deve cavare da sola coi mille problemi che ha; gli Usa hanno altro a cui pensare. Questo significa che l’Europa deve attrezzarsi per fare a meno degli Usa e per scoraggiare ulteriori avventure russe ai nostri danni. Questo significa che dobbiamo armarci non tanto per prepararci alla guerra, che deve essere scongiurata, quanto proprio per scongiurarla. I pacifisti italiani, che stanno un po’ dappertutto sono contrari. Tutti papalini sulla pace disarmata e disarmante. Si sentono tutti Leone I che ferma Attila. Il voltafaccia americano è quello che fa più male, perché è giunto da un momento all’altro, all’improvviso. Nessuno alla vigilia dell’elezione di Trump pensava che gli Usa avrebbero recuperato la dottrina del Monroe, l’America agli americani. Un secolo circa di politica e due guerre mondiali, che convincevano di un’unione inseparabile tra Europa e America, sono stati spazzati via con un colpo di spugna. L’Europa rischia di frantumarsi, parte dei paesi affascinata dalle sirene di Putin e parte da quelle di Trump. Finora la situazione è rimasta inalterata, formalmente tiene, anche se amici di Putin e di Trump ci sono in ogni paese europeo e addirittura in ogni schieramento politico. In Italia leghisti e grillini, i primi in centrodestra, i secondi in centrosinistra, continuano ad avere simpatia per Putin anche se la mascherano con la pace, che, a loro dire, sarebbe più concretizzabile avendo Putin per amico. Allo stesso modo cresce in tutta Europa il numero di chi ritiene che in questo momento sia più conveniente avere governi autocratici che democratici old style. In Italia Giorgia Meloni incomincia a faticare per convincere che Trump non vuole rompere con l’Europa. Il pensiero di Trump, più volte esplicitato in questi ultimi tempi, invece non dimostra amicizia per il vecchio continente. Questo, nonostante i cambiamenti ai suoi lati, non dimostra di volersi adeguare ma insiste e persiste a mantenere pigramente la sua vecchia politica, come se nulla fosse cambiato, come se negli Usa ci fosse ancora Reagan e nella Russia ancora Gorbaciov. Facile dire che i soldi invece di spenderli in armi vanno spesi per aumentare i salari, gli stipendi, le pensioni, migliorare la salute e la sicurezza, come fanno i partiti di centrosinistra. Certo, si può vivere anche bene da paesi satelliti di questa o quella potenza straniera, da servi, purché lo si dica apertamente. I grillini sfondano porte aperte quando dicono che è meglio spendere in welfare che in armi; ma poi? Come risponde il nostro Paese ai nuovi imperi? Come risponde l’Europa di cui siamo parte fondante? Chiediamo alla Quarta Roma un trattamento di favore? Chi non vuole che l’Europa si armi per fronteggiare il nemico deve dire anche come la vede debole ed esposta alle prepotenze degli altri. Non si tratta di questioni astratte, ma concrete e brucianti. Quali sarebbero le nostre condizioni di vita in un mondo dominato dalla Russia o dall’America o da entrambe, noi essendo in una posizione subalterna? Finora l’Europa, pur con molti problemi, ha garantito una crescita importante, un tenore di vita per i suoi popoli quale non era stato mai conosciuto prima. Questo non può essere scisso dalla sua capacità di conservare la libertà. In questo momento ci sono paesi dell’Europa minacciati da una potenza straniera che gioca coi popoli come il lupo con l’agnello. È la Russia di Putin. La risposta che dobbiamo dare, forte e credibile, è che non siamo affatto disposti a cedere il bene della libertà e della crescita in cambio di una pace fasulla, che pace non è ma sottomissione e povertà.

sabato 6 dicembre 2025

Taurisano, 8 dicembre 1905: Immacolata di sangue

L’8 dicembre 1905, or sono centoventi anni, è ricordato a Taurisano come l’Immacolata di sangue, per i tragici fatti che si verificarono in quel giorno. La festività, tradizionalmente sentita e rispettata da una popolazione per lo più di contadini e agricoltori, favorì la manifestazione contro il governo, allora presieduto dal giolittiano Alessandro Fortis. Questi, l’8 novembre 1905, aveva concluso con la Spagna il trattato commerciale detto “Modus vivendi”, con cui l’Italia esportava manufatti dell’industria del Nord e importava vini a dazi di favore (40%). Ne usciva penalizzata l’agricoltura del Sud, che già malamente viveva di prodotti agricoli. La solita politica giolittiana di quegli anni, carota al Nord, bastone al Sud, che tanti incidenti provocò in tutto il Mezzogiorno, con decine di morti e feriti. L’8 settembre 1902 a Candela (Foggia) cinque morti e dieci feriti; il 5 agosto 1903 a Cassano Murge (Bari) un morto e quattro feriti; il 18 agosto 1905 a Grammichele (Catania) quattordici morti e sessantotto feriti. Tutte manifestazioni politiche represse dalla forza pubblica, più o meno con le stesse modalità. All’epoca il potere politico a Taurisano se lo contendevano i membri della famiglia ducale Lopez y Royo. Sindaco, in quella circostanza, era Filippo Lopez y Royo di tendenza democratica. Questi aveva fatto approvare dal Consiglio comunale per quel trattato commerciale una dura delibera di condanna nei confronti del governo. Parole che non potevano essere approvate dalle istituzioni governative. Vi si legge: “Il Consiglio considerato che il Modus vivendi commerciale stipulato con la Spagna, nel mentre pregiudica gravemente e solamente gli interessi del Mezzogiorno d’Italia, dimostra ancora una volta la politica regionalista e partiggiana [sic] imperante nel Regno di sfruttamento delle regioni del Sud a vantaggio delle Provincie Settentrionali, per acclamazione Deplora il provvedimento subdolo e partiggiano [sic] preso dal governo proprio quando più gridava di voler fare i nostri interessi – Delibera di persistere nell’agitazione, e invitare il Deputato del Collegio ad associarsi agli altri rappresentanti del Sud finchè l’improvvido provvedimento non sarà rigettato […]”. La Sottoprefettura di Gallipoli sospese la delibera (2 dicembre) e la Prefettura di Lecce la annullò (4 dicembre). Era quanto bastava per far esplodere la situazione. La mattina dell’8 dicembre, approfittando della festività, si formò un lungo corteo che un banditore, con un tamburo di latta, annunciava per le vie del paese. Giunto nella piazza fu inscenata una simbolica manifestazione, furono sversate per terra delle botti di vino mentre i partecipanti, arrabbiati ed ebbri, gridavano frasi minacciose contro il governo, come erano stati imbeccati dai loro padroni nei giorni precedenti: per colpa del governo, ora che dobbiamo fare col nostro vino, lavarci i piedi? La mattinata, tuttavia, era trascorsa senza incidenti. I militari, arrivati per prevenire disordini, si erano accasermati, parte nel palazzo del Sindaco e parte nel Municipio, che erano attigui. Avevano ricevuto l’ordine di non uscire per evitare provocazioni. Fu inutile, verso sera, secondo le testimonianze, si radunarono nei pressi del Municipio alcune decine di persone che ripresero a vociare contro il governo e i militari. Nella folla che s’ingrossava c’erano dei ragazzi, che si misero a gridare insulti e a buttare pietre contro il portone del Municipio. Fu allora che uscirono dei militari e si misero a sparare all’impazzata ad altezza d’uomo, non sapendo da dove provenisse la sassaiola. Si vedono ancora le scheggiature dei proiettili sui muri delle case di via Roma. La folla spaventata si disperse in pochi minuti per le vie adiacenti, lasciando per terra esanime il contadino Michele Manco e alcuni feriti. Seguì il terremoto politico. Il tragico evento ebbe un’eco nazionale. Ne parlarono tutti i giornali. Il “Secolo Illustrato della Domenica” del 17 dicembre gli dedicò la copertina. Alla Camera ne discussero con toni accesi i principali politici del tempo, specialmente di sinistra, e i deputati del Collegio. La battaglia fu vinta dagli oppositori del “Modus vivendi”, che fu bocciato il 17 dicembre successivo. Lo stesso Fortis si dimise il giorno dopo per riavere l’incarico a fare un nuovo governo il 24; ma il 2 febbraio 1906 dovette dimettersi definitivamente. Anche Giolitti preferì per il momento mettersi da parte e lasciare l’iniziativa ad un governo di destra, presieduto da Sidney Sonnino. Che, a sua volta, durò qualche mese.