sabato 24 febbraio 2024

La dittatura del politicamente corretto

Vige oggi in Italia la “dittatura” del politicamente corretto. Che cos’è? Vittorio Feltri ha scritto un libro per spiegarlo, “Fascisti della parola”. Fascisti, ovviamente gli altri. Più che cosa è, è interessante sapere dove sta: sta a sinistra, a destra neppure per l’anticamera. È l’osservanza del galateo politico affermatosi nei lunghi anni di dominio del centrosinistra. Esprime una cultura pretenziosamente igienizzante. Mai pane al pane e vino al vino. Parole, espressioni, che sostituiscano la realtà delle persone e delle cose, neutralizzandone i caratteri. Dopo la morte di certi valori del passato, affogati nella Stigia antiideologica, il vuoto è stato riempito da una sorta di piatta, mortifera e sciapa ideologia del nulla. Che non è nichilismo, ma artificiosità. Questa si è diffusa come la gramigna, erba infestante che non consente altra vegetazione tutt’intorno. Così il pensiero unico del politicamente corretto non consente la nascita di altri pensieri e di altre parole. È un linguaggio artificiale, con cui si vuole riportare tutto in una sorta di formulario, come una volta nelle curie. Una regressione incredibile se si pensa che per il padre Dante – per carità, nessuna allusione ad avi della destra – l’italiano elaborato settecento anni fa nel suo “De vulgari eloquentia”, doveva essere illustre, cardinale, aulico e curiale, adatto ad ogni ambito e forma di comunicazione. Col politicamente corretto siamo ridotti al solo curiale. Ne ha subito il danno più grave la scrittura. Essa una volta tirava fuori l’anima dello scrittore e descriveva la realtà vera, libera, creativa, brillante, vivace, con tutti i suoi infiniti colori e le tante sfumature. Oggi è ridotta al tristissimo grigio del monotono e scontato. Ci immaginiamo i Papini, i Prezzolini, i Montanelli, i Malaparte, i Longanesi, i Flaiano, i Pasolini, la Fallaci scrivere tutti in politicamente corretto? Non c’è più un giornale che abbia gli elzeviri, un articolo che informi e diverta, uno scrittore che sappia esprimere un concetto fuori dall’ordinario. Un nuovo Concilio di Trento si è abbattuto sulla cultura, che deve osservare le rigide disposizioni dei nuovi Bellarmini. Quel che è più grave non è la sorveglianza di chi deve scovare l’eretico e colpirlo ma la spontanea pratica del conformista che punta i reprobi che non ci stanno e li guarda in cagnesco. Si dice che è esagerato parlare di dittatura, che è addirittura offensivo per tutti quelli che la dittatura l’hanno vissuta davvero sulla loro pelle, col carcere, con la deportazione, con la tortura e con la morte. Io l’ho messa tra virgolette. Ci mancherebbe altro! Esagerato anche parlare di Trento e della Santa Inquisizione. Nessuno oggi corre il rischio del rogo. Ma resta che disattendere le “verità” indiscutibili della nuova ideologia comporta, a seconda dei casi, perfino il codice penale e sempre la discriminazione delegittimante di fascismo, di razzismo, di sessismo, di patriarcato, a tutti i livelli, in tutti gli ambienti, in tutte le circostanze, ovunque ti trovi. Guai ad esprimersi con parole o concetti che possano essere lontanamente diversi, critici o eretici. Bisogna stare attenti attenti (due volte). Meno male che da professore sto in pensione, se no come me la caverei a scuola col dolce stilnovo, il sessismo pseudoangelicato? Che direi della scorrettezza dell’imperatore Carlo che voleva assegnare Angelica al paladino che più si fosse distinto in battaglia? E che cos’era l’Angelica, una decorazione? Ma andiamoci piano pure col Decalogo. Onora il padre e la madre è fascismo puro, è patriarcato. Non desiderare la donna d’altri è maschilismo. Vuoi scherzare? La donna non è di nessuno. E poi, perché non vale anche non desiderare l’uomo di altre? Non osservare il politicamente corretto si è maleducati? Maleducati proprio no, ma qualche problema si pone. Una cosa è comunicare all’interno delle istituzioni un’altra è comunicare liberamente in ogni altro luogo. Nelle istituzioni il linguaggio deve essere gessato per non prestarsi ad equivoci, fuori deve rispondere ai criteri di sempre, essere utile e piacente e soprattutto saper essere personale pur nella primaria funzione di comunicare chiaro e comprensibile. Ovvio che non si tratta tanto di parole, si sa che verba sunt consequentia rerum, ma di persone, di cose e di fatti, che le leggi stabiliscono come esprimerli, per cui una cosa, un fatto, una persona non puoi che indicarli in una codificata maniera. Più aumentano le cose, gli spazi, i fatti e le persone che devi indicare come impone la legge e più si riduce la libertà di pensiero e di parola dell’individuo.

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