sabato 17 febbraio 2024

Aldo D'Antico, il visionario di Parabita

Il 31 gennaio scorso è morto a Parabita Aldo D’Antico. Insegnante, scrittore, editore, operatore culturale. Aveva 77 anni, molti dei quali vissuti nell’impegno sociale più vario, soprattutto promotore e organizzatore di eventi oltre che di strutture culturali, come biblioteche, musei, premi. C’era in lui come un invasamento che gli faceva superare tutte le difficoltà che un volenteroso incontra in questa nostra terra così avara di comprensione e di risorse. Le sue molte iniziative testimoniano di un’intelligenza visionaria che si appagava financo del germoglio, se pure la pianta non giungeva a frutto. Era insaziabile. Avrà raccolto diverse decine di migliaia di libri, in gran parte per donazioni, fra cui i fondi di Gino Pisanò e di Leandro Ghinelli. Può essere anche di altri. Quando sapeva che qualcuno aveva intenzione di liberarsi dei libri e non solo, arrivava lui e portava via tutto nel Palazzo Ferrari, a Parabita, ultima sede delle sue numerose iniziative, librarie e museali. A me soffiò una bella raccolta de “il Borghese”, il settimanale fondato da Leo Longanesi e diretto per anni da Mario Tedeschi. Mi precedette di poco. Che espressione brutta “liberarsi dei libri”! A lui non piaceva, ma ne traeva giovamento. “Dateli, dateli a me, quanti sono sono!”. In realtà giunge sempre il momento in cui i libri diventano un problema. Accade quando diventano ingombri. La lettura è come una bella donna, la ami, la accudisci, la rendi perfino più bella e affascinante per anni e anni, i libri sono le sue dolcezze; poi arriva il momento che te ne devi staccare e ti preoccupi di lasciarla. A volte i figli, volti ad altre discipline, non sanno che farsene della biblioteca paterna. Sì, non è una bella espressione ma può arrivare il momento che non sai davvero come liberarti dei libri e anche di altri oggetti che con tanta cura e tanti soldi hai accumulato nel corso della vita. Verrebbe di fare come il Mazzarò verghiano, che giunto a vecchiaia e prossimo a morire voleva portarsi appresso la sua roba. I libri richiedono molto spazio e molto ordine. Senza ordine essi non hanno nessun valore, sono ingombri, neppure molto igienici. Alla voracità della raccolta Aldo non riusciva a far corrispondere un adeguato ordine. E come poteva? Chi li digitalizzava e sistemava negli scaffali? Spesso rimanevano accatastati. Così le riviste. Non aveva personale. Si faceva aiutare da ragazze e ragazzi volenterosi saltuariamente. Accarezzava l’idea di un centro di lettura e di studio grandioso, ma spesso non sapeva neppure se un libro lo avesse o meno e se lo aveva dove trovarlo. Nei nostri paesi biblioteche ed archivi sono le strutture più penalizzate, spesso non hanno neppure un addetto, figurarsi un bibliotecario o un archivista! Aldo ha messo su una biblioteca che il Comune di Parabita fa male a non acquisire e ordinare con professionalità. A lui auspicabilmente verrà intitolata una via o un edificio; ma assai più proficuo sarebbe portare a compimento il suo lavoro. Sarebbe il riconoscimento più importante e più bello. Fra le tante iniziative Aldo pensò anche di creare un premio, il Mercurio d’Argento, perché secondo lui è importante che a chi si distingue per il bene della collettività venga riconosciuta un’attenzione sociale particolare. A egregie cose… Era così lui: idee interessanti e grandiose in condizioni modeste. Anche qui per mancanza di soldi. Ma lui non si scoraggiava, era convinto della bontà dell’iniziativa e tanto gli bastava per continuare, per progettare nuove imprese. Le pubblicazioni della sua casa editrice sono delle vere chicche e hanno fatto conoscere personaggi e fatti della sua Parabita. Autentico democratico, era un meridionalista passionale e acceso. Numerose le presentazioni di libri, conferenze e dibattiti pubblici da lui organizzati, cui partecipavano intellettuali di tutte le fedi ed orientamenti politici. Era invaghito del Sud, della sua terra, perfino dei Borbone, la cui opera non è stata certamente meritoria; perfino dei briganti, che per dieci anni dopo l’unificazione tennero il Paese nel travaglio di una sanguinosa guerra civile. Tutto ciò che riguardava il nostro Sud era per lui qualcosa di sacro, un valore non negoziabile. Così anche Borbone e briganti, che, secondo lui, andrebbero considerati in un’ottica diversa. Anche in politica, coerentemente col suo carattere e le sue idee, si appagava del confronto e non smetteva mai di credere di essere nato nel posto più bello del mondo, il Salento, "non per voler ma per fortuna".

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