sabato 3 febbraio 2024

Meloni e la destra del risentimento

Una delle accuse più ricorrenti a Meloni & C. è di essere risentiti e arroganti, di non avere i modi del bon ton, che in politica non è solo forma, di essere sempre pronti alla rissa, come se stessero ancora all’opposizione. Se tanto si dice, qualcosa di vero c’è; inutile negarlo. Il problema è chiedersi perché. La risposta non può essere che nel percorso fatto dalla destra a partire dal dopoguerra, che copre il cinquantennio fino al cosiddetto sdoganamento del partito erede del fascismo secondo la vulgata berlusconiana. A questo partito, in quanto erede del fascismo, si attribuiva tutto il male e solo il male. Intellettuali, scrittori, scienziati, economisti, giuristi, artisti, imprenditori, che erano stati fascisti, tutti negativi, da dimenticare, anzi, da non nominare nemmeno. Vent’anni di storia cancellati, maledetti. Perfino D’Annunzio era da ridere, per non parlare dei futuristi, sbeffeggiati a scuola, durante le lezioni di storia dell’arte, come persone stravaganti e violente. Talché il giovane che per oneste e spontanee ragioni militava in quell’area politica si andava convincendo di essere un disadattato, figlio di un dio minore. I giovani di quella tendenza politica erano arrivati perfino a mettere in dubbio le proprie capacità di fare politica a livello amministrativo come i loro coetanei democristiani, socialisti, comunisti, liberali e repubblicani. Mentre questi si occupavano di problematiche importanti della vita dei loro paesi, eletti nelle loro liste e nominati sindaci e assessori, gli esclusi di destra finivano per trovare nella protesta sfogo alla loro rabbia e nella storia del fascismo una qualche consolazione. La nostalgia passiva in cambio della partecipazione attiva. Un danno immenso per intere generazioni, a cui è stato impedito di svilupparsi secondo le loro capacità. Era la democrazia, si diceva e si dice. Pochi voti, poche opportunità. Questo però valeva solo per i missini. Per repubblicani, liberali e socialdemocratici bastavano pochi voti e pochi eletti per condizionare le maggioranze. Come giustificare poi il formarsi di assurde coalizioni politiche pur di impedire il formarsi di un’amministrazione di destra? Per cinquant’anni chi era di destra non era “figlio di Dio” e nemmeno “figlio di mamma”, era figlio di…beh, abbiamo capito. Doveva convincersi a lasciare il partito e le idee in cui credeva per avere gli stessi diritti di tutti gli altri. E, a dire il vero, ce ne sono stati tanti che alla fine, stanchi di essere discriminati e vessati, si sono piegati. La Democrazia Cristiana era spesso il refugium peccatorum. Diciamo, senza scomodare parole grosse, come razzismo o apartheid, che, democrazia o dittatura, in politica quando si vuole escludere una parte non c’è scrupolo che tenga. I resistenti, quelli che non si sono piegati o i loro figli e nipoti ora sono al potere. Il risentimento che spesso emerge in taluni di essi ha una sua ragione storica, che non c’è bisogno di essere Freud o Jung per capirla. Il detto latino immitis quia toleravi (cattivo perché troppo ho sopportato) è più che sufficiente. Questo rancore durato per tutto il cinquantennio della belle époque partitocratica ha lasciato il segno. La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni è stata solo sfiorata da quel cinquantennio. Lei viene da un ambiente, dove non si parlava certo di San Domenico Savio o di Santa Maria Goretti, ma nemmeno di preparazione di scontri e agguati, come accadeva negli anni di piombo. Viene dalla politica dura, variamente violenta, fatta di discriminazioni dell’establishment. Viene da un’opposizione sterile, fine a se stessa, come l’aveva resa la partitocrazia arcocostituzionale. Anche in lei, tuttavia, riaffiora il risentimento “ereditario” e molte volte invece di far finta di niente risponde subito, colpo su colpo, come se in lei parlasse il missino discriminato, il giovane del Fronte della Gioventù sprangato. “Adesso le carte le dò io” non è una bella espressione, ma nella banalità dell’avverbio c’è tutta una storia. Ciò nonostante è innegabile che in poco tempo la Meloni abbia dato di sé un’immagine complessivamente positiva, come le è riconosciuto in tutto il mondo. Si è adeguata al ruolo e anzi deve stare attenta a non dare di sé un’immagine troppo imborghesita. C’è una destra a cui non piace l’imborghesimento. Ha dimostrato l’aspetto buono della politica, la capacità di adeguarsi al possibile. Ha messo da parte molte sue priorità elettorali per una politica improntata alla pragmaticità e alla concretezza. Non ha fatto finora grandi cose, ma ha dato vivacità all’azione e soprattutto ha dimostrato che è stato un sopruso discriminare per cinquant’anni gente assolutamente normale.

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